18 marzo. Pioggia battente e freddo da ritorno d’inverno per il presidio che si è svolto in città in occasione della week of action antimilitarista contro le missioni militari italiane all’estero.
Una buona occasione per raccontare, anche con cartelli e mostre, le prossime partenze delle truppe tricolori per la Libia, la Tunisia, il Niger.
In serata sui muri della città sono apparse scritte e stencil contro gli eserciti e la guerra in Africa.
La piazza intitolata al generale Baldissera, uno dei protagonisti delle guerre coloniali dell’Italia e quella dedicata alla città eritrea di Massaua sono state cambiate in “Piazza vittime del colonialismo italiano”.
Alla Scuola di applicazione e istituto di studi militari dell’esercito italiano è comparsa la scritta “Scuola di assassini. No a tutti gli eserciti!”.
Di seguito il volantino dell’assemblea antimilitarista torinese:
“Un contingente di parà della Folgore partirà presto per il Niger. Seguiranno specialisti del Genio, addestratori, esperti delle forze speciali.
Sulla carta una missione contro il terrorismo nel cuore del Sahel. La missione in Niger è l’ultimo tassello di una strategia di esternalizzazione della repressione dell’immigrazione. Decenni di campagne mediatiche hanno trasformato le migrazioni in un fronte di guerra.
Porre le basi per nuovi campi di concentramento per migranti a sud della Libia è un programma più volte accarezzato dai governi in questi anni. Un’impresa improbabile in una regione desertica con un confine lunghissimo, dove le rotte possono cambiare rapidamente.
Resta tuttavia la volontà di piazzare truppe per rendere ancora più difficile il passaggio di profughi e migranti.
Quest’anno aumenta l’impegno militare in Libia e si inaugura un nuovo fronte in Tunisia, per difendere il Transmed, il gasdotto che porta il gas algerino in Sicilia.
“Aiutiamoli a casa loro”, lo slogan più gettonato e tragico degli ultimi anni, è destinato a finire in soffitta.
Lo scorso anno l’Italia ha stretto un accordo con il debole governo della Tripolitania per i respingimenti in mare.
In estate il governo ha cacciato dal Mediterraneo buona parte delle ONG che soccorrevano la gente dei gommoni, accusandole di collaborare con gli scafisti.
Qualche giorno fa Segen, un giovane eritreo, è morto subito dopo lo sbarco in Italia. Secondo i medici è stato ucciso dalla fame. Il sindaco di Pozzallo ha paragonato gli uomini e le donne sbarcati con Segen agli ebrei scampati ad Auschwitz. Ed è proprio così. Segen era rimasto in una prigione per migranti in Libia per 19 mesi.
Da agosto l’Italia paga le milizie di Zawiya e Sabratha che proteggono gli impianti dell’ENI e gestiscono il traffico dei migranti, affinché blocchino le partenze. Tutti sanno che la Libia è un inferno per la gente in viaggio: sequestri, ricatti, torture, stupri per ottenere un riscatto dalle famiglie.
Gli esecutori di questi crimini sono a Tripoli o a Sabratha, i mandanti sono in parlamento a Roma.
L’ipocrisia del governo maschera gli obiettivi, ma il nuovo target dei militari tricolori è chiaro: “Ammazziamoli a casa loro.”
Ma. La posta è molto più alta: mettere le mani sulle immense risorse di un continente depredato, schiavizzato e colonizzato da secoli. A sud del Sahara la gente non mangia quello che produce e non produce quello che mangia: il colonialismo impose monocolture di caffè e cacao e il riso prodotto nelle colonie asiatiche come alimento principale. In Africa il colonialismo non è mai finito.
Il Niger è un paese ricco di uranio, il combustibile delle centrali nucleari. Un minerale di importanza strategica per la Francia, che ha centrato sull’atomo la propria strategia energetica. Con la missione in Niger l’Italia mette i piedi nell’Africa “francese”. A sua volta la Francia dal 2011 tenta senza successo di mettere i propri in Libia, per contrastare il monopolio dell’ENI ed imporre la Total.
Nel 2018 la spesa militare crescerà dell’8,6%. Per missioni all’estero, mantenimento di basi e poligoni, nuovi sistemi d’arma verranno spesi 25 miliardi.
Soldi sottratti a pensioni e salute. Così anche in Italia i poveri muoiono prima. Usurati dal lavoro, senza soldi per la sanità privata, senza futuro per figli e nipoti. Ma la “colpa” è delle popolazioni africane depredate e private di risorse ed autonomia alimentare. La colpa è di chi fugge guerra e povertà, non di chi saccheggia, devasta e depreda un intero continente.
Le guerre dell’Italia per decenni sono state coperte da giustificazioni umanitarie: oggi il mantra è la “lotta al terrorismo”, nel cui nome si giustificano le città distrutte, i corpi dilaniati, i bambini spauriti, i migranti che muoiono in viaggio. Occupazione militare, bombardamenti, torture e repressione non fermano la Jihad ma la alimentano.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Militari italiani in Libia e Niger come nelle strade delle nostre città, dove vanno a caccia di senza documenti, e reprimono le insorgenze sociali. La propaganda è la stessa: le questioni sociali, coniugate in termini di ordine pubblico, sono il perno su cui fa leva la narrazione militarista.
La rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Assemblea Antimilitarista
antimilitarista.to@gmail.com
La prossima riunione – aperta agli interessati – sarà martedì 27 marzo alle 21 presso la Federazione Anarchica Torinese in corso Palermo 46”