Da tanti anni ci ritroviamo vicino alla spalletta di un ponte su un canale che non c’è più. Lì è caduto combattendo l’anarchico Ilio Baroni.
Non è mero esercizio di memoria, ma occasione per intrecciare i fili delle lotte, perché il testimone lasciato da chi non c’è più, è ora nelle nostre mani.
Un compagno racconta ed intreccia. Si volantina alla gente che passa, che ha volti e storie diverse ma la stessa condizione di sfruttamento e oppressione.
Parliamo di Eleonora, che tre giorni prima era partita dalla Barriera per andare a Monginevro, dove le frontiere sono chiuse per chi non ha le carte in regola. Dopo la marcia che ha bucato la frontiera è stata arrestata a Briancon con Theo e Bastien, due compagni svizzeri.
Poi si brinda e si va.
Ai giardini (ir)reali dove gli squatter torinesi hanno il loro appuntamento del 25 aprile, apriamo un gazebo che si trasforma in binario, stazione di Porta Nuova, un filo che sbarra il passaggio
e una mostra che racconta delle frontiere invisibili che attraversano la città, i controlli mirati,la pulizia etnica. Un’iniziativa dell’assemblea antimilitarista. Pochi giorni prima, il 18 aprile, con la rete Breacktheborder, eravamo entrati in stazione in barba alla polizia. Ai binari da dove partono i treni diretti in alta valle Susa, fili rossi e bianchi e cartelli con la scritta “frontiera”erano stati tirati per aiutarci a raccontare con megafoni e volantini, le storie di chi viene fermato e bloccato perché nato dalla parte sbagliata del mondo.
I fili rossi e neri della memoria si intrecciano ogni giorno nelle nostre lotte.
Di seguito i volantini distribuiti durante la commemorazione e ai giardini.
25 aprile. Oggi come ieri. Contro lo stato e i padroni
Ilio Baroni, operaio toscano emigrato a Torino negli anni venti, era comandante della VII brigata Sap delle Ferriere.
Le Sap, Squadre di Azione Patriottica sabotavano la produzione, diffondevano clandestinamente volantini antifascisti e si preparavano all’insurrezione. Ilio, nome di battaglia ”il Moro”, è protagonista di azioni di guerriglia.
Il 25 aprile a Torino la città è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, la città diventa a breve un campo di battaglia.
Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora e si guadagnano un successo. Giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita ad aiutare i compagni nel mezzo di una battaglia furiosa, e cade sotto il fuoco. È il 26 aprile.
Ilio Baroni non potrà vedere il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…
Ma il fascismo non è morto il 25 aprile del 1945…
Tra sfruttamento, lavori precari e pericolosi, morti in mare, leggi razziste, militari per le strade, guerra, la democrazia somiglia sempre più al fascismo.
Anche quest’anno il 25 aprile ci incontriamo alla lapide di Ilio Baroni. La pietra che lo ricorda è nel centro del quartiere operaio di Barriera di Milano, all’angolo tra corso Giulio e corso Novara.
Oggi rimane solo un pezzo di muro con la pietra, il nome, la foto scolorita.
Sino ad una trentina di anni fa quel muro era la spalletta di un ponte su un piccolo canale.
Era una zona di fabbriche ed un borgo di operai. Operai combattivi, gli stessi dell’insurrezione contro la guerra e il carovita del 1917, quelli dell’occupazione delle fabbriche, della resistenza al fascismo, gli anarchici che durante gli anni più bui della dittatura mantennero in piedi un gruppo clandestino, la gente degli scioperi del marzo ’43.
Oggi sono quasi del tutto scomparsi anche i ruderi di quelle fabbriche. Delle ferriere, dove lavorava Baroni, restano solo gli imponenti travoni di acciaio in mezzo ad un improbabile parco urbano tra ipermercati e multisale.
Il cuore del quartiere è cambiato. La Barriera aveva resistito agli anni dell’immigrazione dal sud, facendosi teatro di lotte grandi tra fabbrica, scuola, quartiere, eludendo il rischio della guerra tra poveri e del razzismo per costruire una stagione di lotte, che ormai trascolora nella memoria dei tanti la cui vita ne è stata attraversata.
Oggi vivere qui è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi che mancano e del lavoro che non c’è, e, se c’è è sempre più nero, pericoloso, precario. C’è un disagio diffuso che non sempre si fa percorso di lotta, ci sono fascisti, leghisti e comitati spontanei, che soffiano sul fuoco cercando di alimentare la guerra tra poveri, puntando il dito contro i tanti immigrati africani, magrebini, cinesi, rumeni, peruviani che ci abitano.
Il governo della città è stato per decenni nelle mani degli eredi di Togliatti, il comunista che ha graziato i fascisti, i repubblichini torturatori ed assassini. Fascisti meno pericolosi per la nuova repubblica degli anarchici seppelliti in galera per aver combattuto il fascismo prima e dopo le date ufficiali della resistenza. Togliatti e i suoi hanno imbalsamato la Resistenza, rinchiudendola in una teca avvolta nel tricolore.
Oggi governano Torino i populisti, razzisti e giustizialisti a 5Stelle, che si congratulano con la polizia che reprime i No Tav e arresta gli anarchici.
Il nuovo questore ha moltiplicato retate e controlli, per cacciare i senza carte e senza tetto. I giardini intitolati alla sadica Teresa di Calcutta – quella che negava l’anestesia a chi veniva operato nei suoi ospedali – sono stati riempiti di telecamere: i poveri devono cercare altri posti per passare la notte.
Lo scorso giugno la paura ha fatto migliaia di feriti e ucciso una donna in piazza San Carlo, durante la proiezione di una partita. Nessuno sparò, nessuno lanciò l’auto contro la folla, nessuno fece esplodere una bomba. Non accadde nulla, ma la paura uccide, il panico uccide. La paura è stata creata a tavolino da decenni di propaganda fascista, leghista e democratica.
Dieci mesi dopo quella notte di giugno, dal cappello dei prestigiatori della Procura torinese sono saltati fuori i capri espiatori, quelli “giusti”, quelli perfetti per il ruolo che devono recitare: due ragazzi stranieri, che avrebbero usato dello spray al pepe per mettere le mani su qualche portafoglio.
Loro sarebbero i responsabili della grande paura di piazza San Carlo. Tutto torna e il cerchio si chiude.
Un fatto da nulla, che certo non sarebbe bastato a scatenare il terrore, viene usato per non ammettere che i veri responsabili siedono in parlamento, nelle redazioni di tanti giornali, tv e radio. Sono loro gli imprenditori politici della paura. In loro difesa è scesa in campo una squadra di agguerritissimi PM, perché la paura è il cemento con cui si costruiscono muri, prigioni, guerre.
Torino si è trasformata da città dell’auto a vetrina di grandi eventi, un grande Luna Park per turisti, mentre le periferie sono in bilico tra riqualificazioni escludenti e un parco giochi per carabinieri, alpini e poliziotti.
Da qualche anno il vento timidamente sta cambiando anche se per ora è solo una brezza lieve.
Noi, ogni 25 aprile ci ritroviamo alla lapide: si parla, si brinda, si chiacchiera con chi passa. Non è solo una commemorazione. E’ la scelta tenace per i tanti di noi che in questo quartiere sono nati e continuano a vivere, di alimentare il venticello che segnala il mutare dei tempi.
Annodiamo i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.
Le lotte che vedono in prima fila altri partigiani, quelli che si battono contro l’occupazione militare in Val Susa, chi si mette di mezzo contro sfratti e deportazioni, contro il razzismo e il fascismo.
Oggi come allora i partigiani sono trattati da banditi, terroristi, delinquenti. Oggi come allora la gente delle periferie comincia a capire da che parte stare.
I partigiani di Barriera in quel lontano aprile hanno combattuto perché volevano un mondo libero, senza schiavitù salariata.
Il loro sogno continua ogni giorno nella lotta per una società di liberi ed eguali. Senza Stato né padroni.
Federazione Anarchica Torinese
Guerra e frontiere a Porta Nuova
Ogni giorno dalla stazione di Torino partono treni diretti in alta Val Susa. Ci salgono centinaia di persone che viaggiano per seguire i fili della propria vita. Qualcuno prosegue per la Francia per turismo o per lavoro.
Ma non tutti arrivano: alcuni non riescono neppure a partire. Vengono controllati da polizia e militari al binario o direttamente sul treno. Non importa che abbiano il biglietto, non importa che vogliano, come tutti, scegliere il posto dove vivere. Uomini e donne in divisa bloccano chi non ha le carte in regola.
Le stazioni, da luogo di scambio, di movimento, di passaggio diventano barriere escludenti, dove le persone sono selezionate in base al colore della pelle.
Un biglietto che costa pochi euro per noi tutti, diventa una tangente da 300 euro, per pochi consigli e poco più elargiti dai passeur alla gente che prova a bucare il confine.
Le frontiere chiuse dell’Europa uccidono uomini, donne e bambini che fuggono guerre, miseria, persecuzioni e dittature.
Capita ogni giorno. Nel silenzio e nell’indifferenza dei più.
Si muore in mare, nel deserto, nelle gallerie ferroviarie, sui valichi alpini.
Chi arriva Italia e vuole proseguire il proprio viaggio finisce intrappolato da gabbie fisiche e normative.
I trattati europei impongono di fare richiesta d’asilo nel paese d’arrivo. L’Italia è il primo approdo per tanta gente, la cui meta è più a nord.
In Piemonte i migranti provano a passare a piedi usando le rotte alpine al confine con la Francia.
Quelli che riescono a passare possono essere respinti più e più volte. I gendarmi riportano le persone al di là del confine.
Il confine è una linea sottile sulle mappe. Tra boschi e valichi, tra le acque del Mare di Mezzo, non ci sono frontiere: solo uomini in armi che le rendono vere.
Le frontiere tra i sommersi e i salvati sono ovunque, ben oltre i confini di Stato e le dogane.
Le frontiere sono quasi invisibili per chi ha la fortuna di possedere un documento, di essere bianco, di avere la cittadinanza. Per gli altri, per i senza carte, ad ogni passo si nasconde un’insidia, ogni giorno si rischia di incappare in un controllo, di essere rinchiusi nel CPR o deportati a migliaia di chilometri di distanza.
I militari per le strade affiancano polizia e carabinieri. Per i senza carte ogni banale controllo può trasformarsi in un tragico gioco dell’oca, quando i dadi ci riportano al punto di partenza
Ma ugualmente ogni giorno qualcuno cerca di muoversi per costruirsi un futuro.
Ogni strada è una frontiera, da attraversare con circospezione.
I militari che vedete a Porta Nuova sono gli stessi che fanno la guerra in Afganistan, Iraq, Libia, Niger.
Anche qui fanno la guerra. La guerra ai poveri, la guerra a chi fugge dalle bombe e dall’occupazione militare.
Guerra interna e guerra esterna sono due facce della stessa medaglia. Oggi usano i militari per fare la guerra ai poveri senza documenti, domani faranno la guerra a tutti.
Da qualche mese in Val Susa, nel brianzonese e a Torino c’è chi ha deciso di non stare a guardare la gente che crepa, i ragazzi cui amputano i piedi perché non hanno le scarpe adatte, che si perdono nella neve, che dormono in strada.
Mettersi in mezzo è possibile. Dipende da ciascuno di noi.
Il 25 aprile si ricorda l’insurrezione contro il fascismo. Il fascismo è stato colonialismo, leggi razziali, guerra e dittatura. Oggi abbiamo guerre per il controllo di risorse e territori, leggi razziste, prigioni amministrative, sempre meno spazi di libertà.
Oggi il fascismo ha il volto della democrazia.
Assemblea antimilitarista