Era nato in Georgia 37 anni fa.
La sua vita è finita alle prime ore del 18 gennaio.
V. E. è stato ammazzato di botte dalla polizia. Era rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Siamo sul confine orientale, dove approdano quelli che riescono ad entrare in Europa dalla rotta balcanica.
Il CPR di Gradisca è gestito dalla cooperativa EDECO di Padova.
La fine di V.E. ce la raccontano i suoi compagni di prigionia.
Otto poliziotti in tenuta antisommossa sono entrati nella sua cella e l’hanno accerchiato e picchiato. Lui è caduto, sbattendo la testa contro un muro. Mentre era a terra alcuni poliziotti gli hanno messo i piedi sul collo e sulla schiena, l’hanno ammanettato e portato via.
Poi è morto. Forse già al CPR, forse poco dopo.
La sua morte non è stata comunicata ai compagni reclusi, che ne sono comunque venuti a conoscenza e confermano che V.E. ha subito violenze da parte delle forze dell’ordine.
Le veline di polizia, immediatamente riprese dalle agenzie e dalla stampa dicono che sia morto in seguito ad una rissa con altri prigionieri.
Un alibi preconfezionato dalla polizia per assolvere se stessa.
Il prefetto, ossia il rappresentante del governo, ha negato il pestaggio, non dando credito alle testimonianze di chi ha assistito al pestaggio.
Non ci stupiamo: nella storia della detenzione amministrativa non è la prima volta che capita. A Torino non abbiamo dimenticato la storia di Fathi e quella di Feisal.
Nel tardo pomeriggio del 18 gennaio, appena è filtrata la notizia dell’assassinio di V.E., un folto gruppo di solidali si è raccolto sotto al CPR per far sentire forte la solidarietà con i prigionieri.
Oggi – domenica 19 gennaio alle alle 14,30 – è stata lanciata una manifestazione al lager di Gradisca, dove a poco più di un mese dall’apertura, si sono susseguite proteste, rivolte ed evasioni, duramente represse dalla polizia che, ieri, ha ammazzato di botte un prigioniero, che non piegava la testa.
l Cpr di Gradisca era stato aperto il 16 dicembre. Vi sono stati subito trasferiti alcuni senza carte, già rinchiusi nei Cpr di Torino e di Bari-Palese, dove da mesi in molti resistono alla propria reclusione e alle deportazioni.
Il 17 dicembre, l’assemblea No Cpr ha fatto un presidio per lanciare un messaggio di solidarietà ai senza documenti che vi venivano rinchiusi.
Mercoledì 18 dicembre Atif, che viveva nel Cara di Gradisca, proprio a fianco del Cpr, è morto annegato nell’Isonzo. Prima di lui, nell’Isonzo erano morti Taimur nel 2015, Zarzai nel 2016 e Sajid, qualche mese fa.
Domenica 28 dicembre, la sindaca Linda Tomasinsig (Pd) ha scritto su facebook: “Tutti sanno quale sia la mia posizione sul CPR: lo vorrei chiuso e basta. […] Ma i mezzi con i quali manifestare questo forte, assoluto dissenso non possono contemplare il danneggiamento e la violenza. Perciò condanno in modo altrettanto forte il gesto di chi, presumo la notte tra giovedì e venerdì, ha lordato con lo spray i muri di un palazzo storico e di una attività commerciale a Gradisca.” Il Partito democratico è da sempre favorevole ai Cpt e Cie, e i Cpr sono infatti un prodotto della legge Minniti-Orlando.
Domenica 30 dicembre, alcune delle persone recluse a Gradisca hanno ingoiato lamette, palline da ping pong e sapone per essere portate in ospedale, fuori dal Cpr. Questi atti di autolesionismo sono forme di resistenza che le persone recluse hanno sempre praticato.
La notte di capodanno Ahmad, un giovane algerino, è scivolato in un burrone sul Carso, a pochi metri dal confine. É morto sotto gli occhi della moglie e di un amico. Chi, come loro, arriva in Italia attraverso quella o altre rotte rischia poi, se non può regolarizzare la sua condizione, di finire in un Cpr.
Due sezioni del Cpr di Gradisca sono al momento piene. La terza non è agibile per un problema al riscaldamento. A pieno regime, il Cpr di Gradisca conta 150 posti.
In Italia, stanno aprendo nuovi Cpr. Dopo quello di Gradisca, è stata annunciata l’apertura di quello di Macomer in Sardegna e di quello di Milano.
Sabato 11 gennaio un corteo ha raggiunto il Cpr di Gradisca, riuscendo a mettersi in contatto telefonico con i reclusi. Dal vicino CARA diversi richiedenti asilo si sono uniti alla protesta.
Nella notte tra l’11 e il 12 gennaio, i militari sono entrati nelle celle del CPR di Gradisca, hanno picchiato ed hanno preso le sim card di alcune delle persone con cui i manifestanti erano riusciti a parlare durante la manifestazione.
Domenica 12 gennaio tra le 14 e le 16 c’è stata una rivolta, nell’ala più vicina alla strada dove ci sono cinque celle da sei persone ciascuna. I prigionieri sono riusciti a rompere i vetri, a staccare i letti a raggiungere il muro: in otto lo hanno saltato, provando a riprendersi la libertà. Tre sono stati subito riacciuffati, riportati al centro e pestati, altri cinque sono riusciti a scappare, tra di loro alcuni ragazzi molto giovani. Uno dei tre 3 presi subito è stato portato in ospedale, un altro sta male. Lunedì 13 gennaio un ragazzo marocchino ha tentato di suicidarsi ed è stato fermato dagli altri. Lo stesso giorno sono stati dati alle fiamme molti materassi per riscaldarsi: la polizia ha sparato gli estintori dentro le celle.
Sabato 18 muore ammazzato di botte V. E. Il CPR era aperto da un mese.
Uno dei reclusi che hanno raccontato quanto accaduto nel CPR ha detto: “V. è morto per niente. Aveva accettato di essere deportato in Georgia. Ora il suo corpo è in una cella frigorifera. Oggi è toccato a lui, domani potrebbe toccare a chiunque di noi. Bisogna far sapere a tutti quello che è successo.”
Un messaggio inviato alla radio riferisce di una scritta comparsa nella serata di sabato 18 gennaio sul portone dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino.
Ascolta lo speciale realizzato dall’info di Blackout domenica 19 gennaio con l’intervista a Raffaele dell’Assemblea No CPR No Frontiere del Friuli Venezia Giulia:
Ascolta la testimonianza di un recluso del CPR di Gradisca sull’assassinio di V. E.:
https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/01/19/testimonianze-sappiamo-chi-e-stato/
Riportiamo un sunto del suo racconto:
Di seguito un sunto pubblicato sul sito dell’assemblea No CPR No Frontiere del Friuli Venezia Giulia:
“È inizio settimana, V. non trova il telefono, non vuole tornare in cella, resiste, viene picchiato finché non ne può più. Viene buttato in cella, nella rabbia prende un ferro in mano e si fa male allo stomaco. Dopo viene portato in infermeria, non più di una ventina di minuti, torna e si mette a dormire, forse per i farmaci. Raccontano che il suo corpo era rosso dai lividi.
Il giorno dopo si sveglia, aveva accettato di essere estradato e riportato in Georgia, i compagni di prigionia dicono che gli fosse stato detto di fare le valigie per partire. Alle 20 però torna.
Sta presumibilmente due giorni nel CPR. (Secondo altre fonti potrebbe essere stato portato in carcere). Comunque il 17 gennaio è al CPR. Sta male, per le manganellate e per il colpo nello stomaco, chiede aiuto senza essere soccorso.
Allora comincia a gridare, arriva la polizia che chiede a un suo compagno di cella di collaborare passandogli fuori un ferro. Quando V. lo vede aiutarli si arrabbia e i due iniziano a litigare, allora la polizia entra e in otto accerchiano V., iniziano a picchiarlo a sangue, si buttano su di lui con forza finché non sbatte la testa contro il muro.
Lo bloccano con i piedi, sul collo e sulla schiena, lo ammanettano e lo portano via. “Lo stavano tirando con le manette come un cane, non puoi neanche capire, questo davanti a noi tutti” ci ha spiegato un altro suo compagno recluso.
Non dicono più niente a nessuno, raccontano agli altri detenuti che lo stanno processando. Poi ieri qualcuno origlia una conversazione e scopre che è morto. I compagni avvisano la moglie a casa, lei chiama il CPR e nessuno le risponde.
V. è stato ammazzato di botte dalle guardie del CPR”