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Il grande complotto. Ebraico

Prendete un pizzico di paura, la convinzione che qualcuno abbia interesse a distruggere la vostra vita, mescolate con i fantasmi che vi offrono tv e tabloid, mescolate con cura e cuocete a fuoco lento. Se la ricetta funziona vi sarete costruiti un piccolo inferno personale. Capita a tante persone. Alcune finiscono drogate di farmaci e segregate nei repartini, altre se la cavano e riprendono a vivere, altre ancora riempiranno le pagine della cronaca nera.
La nostra cultura bolla con lo stigma della follia chi si sente perseguitato, controllato, manipolato.
Vivere con agio la propria vita non è sempre facile.
Se la stessa ricetta viene assunta collettivamente da interi gruppi umani, poiché la follia non può essere contagiosa, diventa evidente l’esistenza di un complotto.
Ogni “prova” che confuti il complotto ne dimostra l’esistenza. I complottisti sono impermeabili a qualunque argomentazione: nulla intacca la convinzione che qualcuno trami per far scomparire sia loro sia il loro mondo. La cospirazione è la chiave che apre tutte le porte, che mette ordine nel caos. Credere che tutto quello che succede faccia parte di un piano terribile è al contempo spaventoso e rassicurante. Le teorie del complotto danno ordine al caos, danno senso alla paura, offrono un nemico da combattere e annientare.
Chiunque neghi il complotto fa ovviamente parte del complotto. Nel migliore dei casi è un fantoccio mosso da fili invisibili.
Chi ordisce un complotto disegna la trama di un tappeto che altri tesserano per lui. Nell’iconografia complottista alcuni simboli sono ricorrenti: c’è il burattinaio, la figura invisibile che muove i fili delle vite altrui, l’ombra che regge le sorti del mondo. Anche l’occhio massonico è molto gettonato.

Il complottismo non è frutto di una banale infatuazione per la letteratura fantastica. Le teorie del complotto si basano quasi sempre su elementi reali, ma irrealizzati in una narrazione che trae alimento da una virtuale cassetta degli attrezzi dove è depositato un universo simbolico da usare ed adattare al momento.

La maggioranza delle persone non riesce né a conoscere né a controllare i fatti che ne decidono la vita. I complotti sono come le religioni: spiegano tutto e indicano la via della salvezza.
Morire di tumore perché si mangiano cibi pieni di pesticidi, perché si beve acqua e si respira aria inquinata è un fatto.
Armi chimiche uccidono le popolazioni di paesi nemici. Anche questo è un fatto.
Sostenere che gli scarichi degli aerei civili siano scie chimiche prodotte per ucciderci ne è la declinazione complottista.

Il mondo virtuale dell’economia finanziaria ha effetti enormi nelle vite di miliardi di persone. È innegabile.
L’idea che le banche e chi le controlla abbiano il progetto di dominare il mondo assoggettandolo al potere di una ristretta elite intrinsecamente perversa ed etnicamente coesa è alla radice di un filone complottista che ha giustificato pogrom e campi di sterminio.

Hitler è morto nel 1945 nel bunker della Cancelleria a Berlino ma la credenza in un complotto giudaico per dominare il mondo (ri)vive nel complottismo contemporaneo. Per evitare l’accusa di antisemitismo tutto resta sottotraccia. Non detto, sussurrato. Detto e poi negato.
La demonizzazione dei ebrei è opera della religione cristiana nelle sue varie confessioni. La chiesa cattolica condannava l’usura e prometteva l’inferno agli usurai. Questo stigma ha fatto sì che gli ebrei, cui era vietato in Italia e in vari altri paesi possedere e coltivare la terra, facessero i mestieri loro consentiti, tra cui il prestare denaro per interesse.
La diffidenza cattolica per la finanza si mescola con il pregiudizio antiebraico sino a divenire un amalgama indistinguibile.
I “Protocolli dei Savi di Sion”, un documento fabbricato in Russia nel 1903, riconosciuto come falso già nel 1921, ha avuto uno straordinario successo internazionale. I “Protocolli” hanno continuato a girare per decenni. Quel testo, il cui nucleo era il complotto ebraico per prendere il controllo del mondo, era la “prova” di convinzioni molto profonde.
Un cortocircuito logico che è alla base di ogni teoria del complotto, che, come un uroboro, si morde la coda avvolgendosi all’infinito su se stesso.
Gli ebrei erano perfetti per il ruolo che veniva (e viene ancora) loro attribuito. Strani e stranieri in tutti i luoghi dove hanno vissuto erano il nemico per eccellenza, quello che vive accanto a te e cospira per farti fuori. I ghetti, i roghi, le persecuzioni, i campi di sterminio sono stati pulizia etnico religiosa preventiva.
La nascita dello Stato di Israele, nella striscia di terra tra il fiume Giordano e il Mediterraneo a sud del Libano, ha segnato un forte distacco culturale dall’ebraismo della diaspora, perché ha fondato un nazionalismo ebraico con un legame con la terra e i suoi mestieri, oltre alla rinascita di una lingua quasi morta.
Questo fatto di portata epocale non ha scalfito le convinzioni dei complottisti. Anzi! È stata loro offerta l’occasione di dare un luogo, una testa, un cervello ad una cospirazione i cui tentacoli sono diffusi ovunque in Europa e negli Stati Uniti.
Occorre tuttavia riconoscere che Israele è anche investito di una profonda ambivalenza simbolica, perché offre un luogo per mantenere la “tradizione”, per cancellare il cosmopolitismo di tanta parte delle comunità sparse per il mondo.

Si potrebbe pensare che il complotto ebraico sia un attrezzo spuntato, roba da vecchi fascisti. Invece no.
Le teorie della cospirazione trovano ogni giorno nuovi adepti, il virus complottista si diffonde nel web e si moltiplica e rafforza di click in click.

Non è certo un caso che nel nostro paese il grande complotto raccolga consensi soprattutto tra gli esponenti del Movimento 5 Stelle, che giustificano ogni aporia, ogni fallimento, ogni contraddizione con la grande cospirazione delle banche, dei media e dei partiti contro la monarchia ereditaria virtuale di Grillo e Casaleggio. Il comico si è distinto in numerose occasioni per le proprie uscite antisemite e razziste.
Dopo la morte di Rothschild, gli orfani dell’uomo simbolo di ogni cospirazione pluto-giudaico-massonica avevano perso la pietra miliare dei complotti del secolo.
Morto un Paperone ebreo, se ne trova subito un altro. È il turno di George Soros.

Il giornalista Del Grande, in vacanza nelle prigioni turche per un paio di settimane, non ha mai nascosto la propria avversione per la dinastia Assad. È stato attaccato dalla “sinistra” filo russa e filo siriana perché un suo progetto sarebbe stato finanziato proprio da Soros, il Paperone statunitense di origine ungherese.
Altri giornalisti, finiti nei guai lavorando in zone di guerra, pur pagati da capitalisti e banchieri, proprietari di radio, TV e giornali, non sono entrati nel mirino delle falangi rosse e rosso brune, nostalgiche dell’Unione Sovietica.

Grillo, seguito a ruota dal procuratore capo di Catania Zuccaro, ha sparato a zero sulle ONG, che raccolgono naufraghi nel Mediterraneo, accusandole di essere colluse con gli scafisti.

Salvini ha fatto di meglio alzando la posta. Il 2 maggio ha dichiarato: “Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli. Questa non è un’immigrazione emergenziale ma organizzata che tende a sostituire etnicamente il popolo italiano con altri popoli, lavoratori italiani con altri lavoratori. È un’immigrazione che tende a scardinare economicamente il sistema italiano ed europeo”. I flussi migratori innescati da guerre, desertificazione, povertà sono sempre stati il babau leghista. In queste affermazioni c’è tuttavia un salto di qualità. Un grande complotto per eliminare gli italiani, per sostituirli con altri. Gli immigrati poveri sono i le pedine di un grande burattinaio intenzionato a distruggere l’Italia dall’interno con un esercito di immigrati.
Salvini fa il nome del burattinaio. È George Soros. “Non c’entrano guerre, diritti umani e disperazione. È semplicemente un’operazione economica e commerciale finanziata da gente come Soros. Per quanto mi riguarda metterei fuorilegge tutte le istituzioni finanziate anche con un solo euro da gente come Soros. Non dovrebbero poter mettere piede in Italia né loro, né le associazioni da gente come lui finanziate”. Gente come lui. Cosa significa? Salvini, prudente, non dice la parola che apre tutte le porte, la parola che spiega tutto, la chiave che rende credibile ogni cospirazione.
Lo farà qualche giorno dopo il Fatto Quotidiano, il giornale più vicino alla galassia pentastellata.
La pubblicazione di un pacco di mail hackerate alla “Open Society Foundation” del magnate statunitense è l’occasione buona. Il Fatto cita Dc Leaks che giustifica la pubblicazione delle mail sottratte dal database dell’organizzazione filantropica perché “Soros è l’architetto di ogni colpo di Stato degli ultimi 25 anni”. Con un titolo così ti aspetteresti rivelazioni bomba. Niente di tutto questo. C’è un elenco di dossier sui finanziamenti elargiti, sulle politiche di questo o di quello, sulla posizione dei paesi europei di fronte alla crisi in Ucraina. Dc Leaks scrive che Soros è di origine ebraica. Quelli del Fatto evidenziano in neretto.
Non servono prove, il Paperone è ebreo. Basta la parola. Nei commenti qualcuno si indigna, molti alzano ancora di più il tiro. L’ebreo continua ad essere il nemico. Sempre straniero, estraneo, pericoloso, aspira come il diavolo a controllare il mondo.
Siamo all’eterno ritorno dell’eguale. I fantasmi del Novecento non sono stati seppelliti ad Auschwitz.
La lunga fila di morti nei lager non è stata un orrendo rito di espiazione. Il coltello sacrificale affondato in corpi umani trattati come capri da offrire per placare le ire di un dio iracondo è un’immagine suggestiva, ma estranea alla logica complottista.

Lo scorso maggio l’incendio doloso di una roulotte dove viveva una famiglia rom è stata spiegata dai media come affare “interno” alla comunità. Un po’ di falsità mal condite ha liquidato con leggerezza l’omicidio di due bambine e di una ragazza. Sui social media le incitazioni al genocidio sono diventate normali. Quasi banali.
I nazisti giustificarono lo sterminio dei rom, perché, pur ariani, avevano contaminato i loro geni, viaggiando e mescolandosi con altri. Il razzismo del terzo Reich era sostanzialista, si basava sulla convinzione che vi siano gruppi umani naturalmente inferiori. I rom, diversamente dagli ebrei che sono costitutivamente perversi, sono diventati mostri perché hanno tradito la loro natura.
Follia? Si è folli da soli, quando la “follia” è condivisa diventa un movimento politico. É come l’omicidio. Se a uccidere è uno solo l’omicidio resta un crimine gravissimo, se benedetto da una bandiera e da una divisa, si trasforma in eroismo.

Il razzismo differenzialista oggi è molto più raffinato e, quindi, pervasivo, grazie ad un sapiente utilizzo di attrezzi teorici che attingono ad un patrimonio culturale più ampio.
Teorici come Alain De Benoist, esplicitamente schierati a destra, sono riusciti a fare breccia anche in ambienti apparentemente molto distanti.
De Benoist è attento alle questioni ambientali, critico dell’industrialismo, fautore di un razzismo differenzialista su base culturale.
Sul Fatto Quotidiano scrive regolarmente Massimo Fini, il fondatore di Movimento Zero, una formazione che raccoglie vecchi attrezzi della destra profonda, cercando audience nei movimenti ambientalisti, facendo leva sulla critica alla modernità e sul ritorno al primitivo.
Il nocciolo del pensiero di De Benoist ne spiega il crescente successo, la capacità di dar vita ad una corrente rosso-bruna al passo con i tempi. Al centro è la tradizione. Non una tradizione, ma tutte. Tutte buone, tutte positive, purché restino integre. I flussi migratori spezzano le tradizioni, le meticciano e annullano nel grande mondo della merce tutta eguale ad ogni latitudine. Le migrazioni, nel pensiero della Nuova Destra, vanno bloccate e respinte, nell’interesse di tutti, migranti compresi.
Non serve più costruire lager nel cuore dell’Europa, allo sterminio provvederanno guerre, fame, carestie, desertificazione.

Il nemico per De Benoist è la mescolanza, il confronto, che annacqua le varie culture, le annienta di fronte alla pervasività anomica della finanza, del mondialismo, della fine del rapporto identitario tra popolo e terra.
L’economia finanziaria diventa il nemico per eccellenza, perché recide le radici, perché globalizza l’economia, quella buona, quella che produce.
Facile cogliere l’assonanza con i temi di certa sinistra, orfana dello Stato, padre, madre, nazione. Poco importa che la delocalizzazione delle produzioni abbia volatilizzato anche la produzione manufatturiera. Il nemico sono le banche, non i padroni che producono, rubando la vita di chi lavora, senza nessuna attenzione al colore della pelle o al suono della lingua.
L’antisemitismo riprende forza grazie alla sottigliezza di una destra, che articola il razzismo in modo più sottile, abile, intrigante.
Il populismo di destra e di sinistra si abbevera alla stessa fonte. La grande cospirazione della finanza è il tratto che accomuna le formazioni che in Europa, ma non solo in Europa, si battono contro la moneta unica, l’apertura delle frontiere, la libera circolazione di uomini e capitali.
Fanno leva sulla paura, sull’incertezza per il futuro, sulla fine delle tutele e delle garanzie. E trovano un nemico. L’immigrato povero che sbarca sulle nostre coste. Il magnate ebreo che usa l’immigrazione per distruggere le tradizioni, per governare il mondo.

M. M. (quest’articolo è uscito sull’ultimo numero di Arivista)

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