Sabato 19 gennaio
serata antimilitarista
ore 21 piazza Santa Giulia
Leggi il volantino che verrà distribuito:
Atomiche, bombardieri e guerra
I 5 Stelle in campagna elettorale hanno dichiarato che avrebbero diminuito le spese militari. Siccome la campagna elettorale non è mai finita continuano a dirlo, ma i fatti sono ben diversi dalle chiacchiere.
Gli acquisti dei cacciabombardieri F35 continuano, ma la colpa è del governo precedente. Resta il fatto che governo gialloverde non ha messo alcuno stop, ma ha promosso l’ennesima analisi costi-benefici, che arriverà tra qualche mese. Intanto i giocattoli di morte continuano a essere prodotti e comperati. Esattamente con gli Eurofighter e, new entry, i Tempest! di produzione italo-britannica.
Forse qualcuno si illude che, fatta l’analisi, ci potrebbe essere un taglio all’acquisto di questi cacciabombardieri. La partita che si gioca è ben altra. Nella base statunitense di Ghedi in provincia di Brescia, arriveranno presto le nuove bombe nucleari. Le porteranno gli F35. La portaerei italiana Cavour è in cantiere per essere adattata ad ospitare gli F35. I lavori, per un importo pari a 74 milioni di euro, dureranno fino all’estate 2020. Sul tavolo del ministero della difesa c’è un progetto da 30 milioni di euro per l’adeguamento dei Tornado del Sesto Stormo al trasporto delle atomiche.
Il ministero della Difesa butta un po’ di polvere negli occhi sulla riduzione delle spese tagliando un po’ di posti in ufficio di militari di carriera non più operativi. In realtà, in un’intervista a “Il Giornale” del 15 gennaio, la ministra Trenta ha dichiarato che nel 2019 assumerà tremila civili per il settore amministrativo. Nessun taglio ma solo una banale razionalizzazione, peraltro già intrapresa dal governo Gentiloni. In compenso le missioni militari all’estero continueranno ad essere finanziate, ma verranno “riviste rispetto all’interesse nazionale dell’Italia” perché “è cambiata la prospettiva”. Subito dopo afferma che verrà rafforzato il contingente in Niger, perché “punta a ridurre i flussi migratori verso l’Italia”. Le stesse ragioni per le quali, nell’estate del 2017 il governo Gentiloni promosse l’intervento militare in Niger. Il governo è cambiato ma, non ce voglia Elisabetta Trenta, la prospettiva è la medesima: ammazzarli a casa loro.
L’Italia è in guerra da decenni ma la chiama pace. Cambiano i governi, ma la musica è sempre la stessa.
È una guerra su più fronti, che smessi i panni dell’intervento “umanitario”, parla di “interesse nazionale”, si articola intorno alla retorica dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le sostiene la stessa propaganda: le questioni sociali, coniugate in termini di ordine pubblico, sono il perno su cui fa leva la narrazione militarista.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa, sono nel Mediterraneo e sulle frontiere fatte di nulla, che imprigionano uomini, donne e bambini.
Torino è uno dei principali centri dell’industria aerospaziale bellica.
Sono cinque le aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.
L’industria di guerra è un buon business, che non va mai in crisi. L’industria bellica italiana fa affari con chiunque. I soldi non puzzano di sangue e il made in Italy va alla grande.
L’Europa ha pagato miliardi il governo turco perché trattenesse i profughi che premevano alle frontiere chiuse. La verità cruda ma banale è che in Siria, in Iraq, in Afganistan, in Libia si combatte con armi che spesso sono costruite a due passi dalle nostre case.
Un business milionario. Un business di morte.
Lo Stato italiano investe ogni ora due milioni e mezzo di euro in spese militari. Alla faccia di chi si ammala e muore perché non riesce ad accedere a esami specialistici e cure mediche.
In tutto il paese ci sono aeroporti militari, poligoni, centri di controllo satellitare, postazioni di lancio dei droni.
Le prove generali dei conflitti di questi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia.
La rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Contro tutti gli eserciti, contro tutte le guerre!
Assemblea antimilitarista
mail: antimilitarista.to@gmail.com