Giovedì 26 settembre
ore 16,30 in via Po 16
Punto info contro la violenza patriarcale e il racconto tossico e mistificatorio delle violenze di genere.
Uccise due volte. La narrazione che nega e cancella le vite delle donne
Ti amo da (farti) morire
I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. Donne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che le ha private della vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. L’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere una guerra, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale. I media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro chi non si adegua alla norma eterosessuale, ai ruoli imposti. I media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza di genere. Lo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di quelle che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. La violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. I media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa. La violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale. Se la violenza domestica cade sotto il segno della malattia, la violenza operata da sconosciuti si inscrive nella metafora della giungla, del branco, della bestialità. I violenti, specie se stranieri, lontani, diversi diventano il perno di una narrazione mediatica, che li pone costitutivamente fuori dal consesso sociale. Qui la violenza maschile esce dallo stereotipo del folle, per assumere quello della bestia. La società è sana: chi uccide le donne o è un pazzo o è una bestia. Non umano, fuori dall’umano. L’ordine è salvo. Il lutto è privato. La violenza sulle donne diventa strumento per rinforzare il razzismo verso i migranti: lo straniero è descritto come
“bestia”, per poter invocare la chiusura delle frontiere ed espulsioni di massa.
Noi non ci stiamo. Non accettiamo che la libertà e la sicurezza femminile possano divenire alibi per moltiplicare la pressione disciplinare, i dispositivi securitari e repressivi, il crescere del controllo poliziesco sul territorio. La violenza patriarcale attraversa i generi, le frontiere, le classi, le culture. La libertà che le donne si sono conquistate ha incrinato e, a volte, spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà e dell’autonomia femminile è ancora molto lunga. E in salita. La narrazione della violenza proposta da tanti media rende questa salita più ripida.
A ciascun* di noi il compito di scrivere una storia diversa, che non è storia di vittime, ma storia di una lotta per la
libertà che fa paura perché sta spezzando l’ordine simbolico e materiale del patriarcato.”
Wild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torino