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Torino. Primo Maggio: ai lavoratori della sanità uccisi dalla giunta Cirio

Uno striscione con la dedica del Primo Maggio ai lavoratori della sanità morti per le politiche criminali della giunta Cirio è stato appeso oggi all’assessorato regionale alla sanità in corso Regina Margherita 153.

Un piccolo gesto per le lavoratrici e i lavoratori, che in questa regione come nel resto d’Italia hanno pagato il prezzo più alto perché la tutela delle persone è stata sacrificata sull’altare del profitto da questa amministrazione, da questo governo e da quelli che li hanno preceduti. In Italia sono 16.953 i medici, infermieri, e OSS contagiati, ossia il 10,7% dei lavoratori contro il 4% della Cina.
In Piemonte il 70% dei lavoratori della sanità che si sono ammalati sono OSS che lavorano sotto costante ricatto e minaccia nelle RSA.
Chi chiede le mascherine o denuncia la situazione viene minacciato di licenziamento.
Nulla era stato fatto per essere pronti ad una pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva messo nel novero delle probabilità inevitabili ormai da anni.
Nulla è stato fatto per correre ai ripari quando, tra tagli al servizio sanitario e colpevoli omissioni, era troppo tardi per affrontare al meglio la crisi.
Sin dai primi giorni la scelta del Piemonte è stata chiara: fumo negli occhi e nessuna sostanza.
Le mascherine per i lavoratori e tutte le persone a rischio? In molti ospedali ancora le attendono, mentre fuori la gente si arrabatta come può.
Le nuove assunzioni? Non ci sono mai state, nonostante la carenza di personale sia la norma ormai da anni.
I tamponi? A due mesi dall’inizio dell’epidemia ci sono persone che attendono il tampone nonostante abbiano sintomi o siano entrate in contatto con persone positive.

Gli ospedali italiani sono luoghi pericolosi per la diffusione di malattie da ben prima dell’epidemia. Secondo il rapporto Osservasalute 2018 nel 2003 si contavano 18.668 decessi per infezioni ospedaliere, nel 2016 i casi sono diventati 49.301, quasi tre volte tanto. Il moltiplicarsi dei tagli alla spesa sanitaria ha reso poco sicuri gli ospedali. Eppure la Regione Piemonte ha puntato solo su questa carta. Le conseguenze tragiche sono sotto gli occhi di tutti.

Chi dichiara di vivere con una persona contagiata, deve continuare a lavorare, anche in ospedale, in attesa di un tampone che non arriva o arriva molto tardi.

I dormitori e le RSA si sono trasformate in focolai incontrollabili di contagio, nonostante le segnalazioni e gli appelli delle persone che ci lavorano e dei parenti degli anziani. Al carcere delle Vallette il virus corre dentro celle sovraffollate.

Chi si ammala, resta chiuso in casa senza visite, cure o tamponi. Le case non sono luoghi sicuri, perché chi si ammala resta in casa, esponendo chi vive nello stesso appartamento al contagio. Gli ospedali, dove lavoratori si ammalano e muoiono perché nemmeno per loro ci sono protezioni e controlli sanitari, non sono luoghi sicuri. Le strade, dove domina l’arbitrio di polizia e militari, non sono luoghi sicuri per i senza tetto, per i poveri che vivono in case sovraffollate, per chi lavora in nero per raggranellare qualche soldo.

Ci dicono che ora va meglio, che sono diminuite le persone ricoverate, quelle in terapia intensiva, ma mentono perché se diminuisce il numero di persone in ospedale, continua a crescere quello dei morti e dei contagiati. Il Piemonte, settimana dopo settimana è ormai al secondo posto dopo la Lombardia nella terribile conta dell’epidemia. In Italia ci sono quasi 100.000 persone chiuse in casa, malate e in buona parte prive di assistenza domiciliare. In tanti sfuggono alle statistiche ufficiali, perché si sono ammalati e sono guariti senza che venissero fatti esami o visite. Nelle RSA ora fanno i tamponi ai morti: ma nelle prime settimane omertà e silenzio erano la consegna imposta a tutti da amministratori preoccupati che la verità trapelasse.

Cirio ha fatto il suo spot con le ex OGR trasformate in ospedale da campo con i medici cubani, mentre la sanità territoriale, gli ambulatori, ormai da anni svuotati delle loro funzione di presidi sanitari territoriali, sono stati chiusi. Punto. Con buona pace di chi soffre di patologie croniche e della salute di tutti.

Dopo due mesi di domiciliari di massa il governo ha deciso che riaprirà le fabbriche ma ci lascerà ai domiciliari.
Le nostre vite, oggi più che mai, sono ridotte a mero ingranaggio di una macchina che deve andare avanti costi quel che costi. L’epidemia riporta l’ordine del mondo nei binari in cui è sempre stato, mettendone a nudo i meccanismi. Le nostre vite non contano, sono intercambiabili, sostituibili, sacrificabili. Il governo ammantando tutto sotto un sudario tricolore, di unità di popolo, di nazione, senza cesure di classe, ci vorrebbe docili, pronti al destino che ci è stato assegnato.
Il 4 maggio aprono le fabbriche, ma a fine turno tutti devono tornare nelle loro prigioni casalinghe, isolati e silenti.

Non c’è ragione sanitaria che tenga. Se non è pericoloso stare nel chiuso di una fabbrica, di un magazzino, di un supermercato, allora non può essere pericoloso vederci stando a distanza per discutere, scendere in strada a manifestare, a lottare perché le nostre vite non siano sacrificate, perché la nostra libertà non sia ridotta a consumo, perché le nostre vite vengano prima del profitto di chi, da sempre, ci imprigiona.

I lavoratori e le lavoratrici che hanno imposto con la lotta la chiusura delle fabbriche hanno contribuito alla salute di noi tutti.

Il governo ci vuole divisi, sospettosi, spauriti. Ci rubano la libertà e la dignità. Per il nostro bene. Non è facile sfuggire alla trappola della paura e del peccato. La radice del male è sin nella parola chiave di questa crisi, il grimaldello con il quale ci hanno ingabbiati, il distanziamento sociale.
Perché non parlare di distanza di sicurezza, di spazio tra i corpi?
Perché uno spazio fisico si può costruire ovunque, non solo in casa, invece la distanza sociale è ben più e ben altro: è la cancellazione delle relazioni, della polis, della comunità di lotta, del tempo che si riconquista insieme.
La distanza sociale nega il mutuo appoggio e promuove la carità, nega la libertà e ci obbliga all’obbedienza, nega valore alle nostre vite e ci chiude nel cerchio produci, consuma, crepa.

Il Primo Maggio nasce come giornata di lotta, nasce nel sangue dei lavoratori uccisi per conquistare una primavera di libertà, giustizia sociale, solidarietà e mutuo appoggio.
Un mondo senza stati né padroni.
Questo Primo Maggio, ovunque in Italia, ci sono anarchici che sfidano i divieti e scelgono di dare un segno. Magari piccolo, ma importante, perché se le nostre vite non contano, se la produzione deve andare avanti, se la libertà è solo la farsa del consumo e del contatto telematico, è tempo di scioperare, di rifiutare di essere agnelli sacrificabili sulla tavola imbandita dei padroni.
Vivere meglio, in modo libero e solidale tra eguali nelle differenze è possibile.
Dipende da noi. Il presente è nelle nostre mani. La primavera è ora.
Buon Primo Maggio di lotta!

I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese

Contatti: fai_torino@autistici.orghttps://www.facebook.com/senzafrontiere.to/

Posted in anarchia, Inform/Azioni, lavoro, torino.

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