La partita sul lavoro sta arrivando alle strette finali. Sul piatto il disciplinamento definitivo dei salariati – l’articolo 18 – e l’erosione degli ammortizzatori sociali.
Anarres ne ha discusso con Pietro Stara.
Un’analisi che ha travalicato la contingenza per investire gli ultimi vent’anni, vent’anni nei quali si è ridefinito il ruolo e lo status dei maggiori sindacati, che, dopo la stagione concertativa, stanno, non senza conflitti e difficoltà, passando ad un ruolo di vera e propria complicità.
La propensione genetica a farsi Stato dei maggiori sindacati italiani, Cgil, Cisl, Uil, pur nettamente inscritta nel loro DNA, si accentua alla boa tra gli anni ’70 e ’80. L’autorganizzazione operaia, l’autonomia reale dei soggetti sociali che avevano segnato il ritmo tra il ’69 e il ’79 cede il passo alla vischiosa palude degli anni ’80.
Il sindacalismo di stato, la cui natura è ben dimostrata dalla continua osmosi dei suoi maggiori dirigenti a cariche direttive nelle aziende pubbliche, smessa la veste di regolatore del conflitto sociale che ne aveva caratterizzato l’azione sin dal secondo dopoguerra, di fatto si è trasformato in azienda di servizi ed interfaccia dell’apparato statale verso i lavoratori.
Il sindacalismo di Stato è tale perché sostituisce un chiaro interesse di parte, quello delle classi sfruttate, con l’interesse “generale”, ben descritto dalla formula della “responsabilità verso il Paese”. Si va dal “compromesso socialdemocratico” alla cogestione dei meccanismi di controllo della conflittualità del lavoro.
Il sindacato, che pure era stato determinante nel sopire le spinte anticapitaliste in cambio di diritti, garanzie, salario diviene elemento decisivo nell’ammortizzazione di ogni forma di conflitto foss’anche di mera difesa delle briciole di libertà e reddito strappate dalle lotte dei lavoratori.
La vicenda dei fondi pensione ben esemplifica l’attitudine dei sindacati concertativi a porsi come veri collettori e distributori di risorse economiche.
I sindacati “di stato” hanno allargato sempre più la loro sfera di influenza e il loro ruolo di mediatori e narcotizzatori del conflitto sociale. Chi si chiede perché Roma non si accende come Atene, chi si chiede quale è il limite di sopportazione dei lavoratori del nostro paese, deve tenere conto che in Grecia l’autonomia della società civile, la capacità di autorganizzazione, ha mandato in soffitta ogni spinta alla delega a partiti e sindacati di “sinistra”.
Ad Atene come a Roma governano i tecnici voluti dalle banche, dall’UE, dal Fondo Monetario, dalla governance mondiale che salta ed elude le istanze locali, foss’anche quelle dello Stato/nazione.
Ma a Roma, seduta al tavolo con Monti c’è Camusso. E poco, indietro, Angeletti e Bonanni.
La palla è in mano ai lavoratori. Spetta loro comprendere che la partita è truccata, che tutti i campionati sono truccati da anni, che i capitani delle squadre vanno a cena negli stessi ristoranti
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