Si è concluso martedì 4 giugno al tribunale di Torino il processo contro sette No Tav accusati di resistenza per la giornata di lotta alle trivelle del 7 febbraio 2010.
Quattro condanne a cinque mesi, una da un mese, due assoluzioni, questa la decisione del giudice.
Quel giorno il freddo era intenso all’autoporto di Susa, dove si tenevano le assemblee di movimento per decidere le iniziative di contrasto di quel primo gigantesco sondaggio politico nei confronti del movimento No Tav, che resistette con molta determinazione, al punto da obbligare il governo a interrompere le verifiche geognostiche quando ne erano stati fatte poco più di un terzo.
In quei giorni di gennaio, febbraio e marzo la polizia dispiegò centinaia di uomini in armi a difesa di pochi metri quadri di terreno dove venivano fatti i lavori, luoghi scelti con cura tra quelli più facilmente isolabili e controllabili.
Un corteo partì sull’autostrada verso la zona delle trivelle, quando un gruppo dell’antisommossa si parò davanti e fece una carica breve ma violenta, travolgendo anche un compagno disabile sulla carrozzella. In tanti avevano in mano i grossi randelli con cui erano soliti percuotere il guard rail come colonna sonora della protesta. Tre scudi di plexiglas furono danneggiati, la polizia si ritirò e il corteo proseguì sin di fronte alla trivella circondata da centinaia di uomini e mezzi per poi tornare all’autoporto.
Per questa giornata di lotta cui parteciparono centinaia di No Tav sono stati processati sette attivisti. Il PM Ferrando ha tentato di portare in tribunale la tesi falsa dei cattivi estremisti in testa ad un corteo di buoni e mansueti valligiani. Un’immagine falsa, che diventa verità nelle aule di giustizia grazie al ruolo chiave giocato dalla polizia politica, che segnala i compagni più noti, solo perché presenti a questa o quella manifestazione.
Ferrando è riuscito solo in parte nell’intento, perché le condanne sono state molto più lievi delle pesanti richieste.
Ascolta l’intervista realizzata dall’info di radio blackout con Nicoletta Dosio del Comitato di Lotta Popolare di Bussoleno, che quella sera, come tante altre volte, era in prima fila e venne travolta dalla carica.
E’ stata anche occasione per fare il punto sulle ultime notizie diffuse dai media sul cantiere di Chiomonte, la firma del trattato italo-francese, spostata dalla Reggia di Venaria a Roma.