Lunedì 28 ottobre ore 9,30 al tribunale di Torino – corso Vittorio 130 – maxi aula 3 prosegue il processo a 67 antirazzisti torinesi.
In quest’udienza verranno sentiti gli ultimi testimoni dell’accusa per il presidio al Museo Egizio del 29 giugno 2008.
Il 29 giugno era una domenica assolata. Sulla pedonale su cui affaccia il Museo egizio non c’era troppa gente. Uno striscione con scritto “Gli egiziani li volete o schiavi o morti”, un volantino che raccontava la storia di Said Halim. Halim abitava a Gerenzano, come suo fratello, che lavorava nell’edilizia ma non veniva pagato. Il figlio dell’imprenditore lo uccise a colpi di pistola per aver osato chiedere il salario del fratello.
Gli antirazzisti sono sotto accusa per aver scelto una cornice insolita per raccontare questa storia di ordinaria ferocia, nell’Italia ai tempi dell’immigrazione.
Poi la parola passerò ai testimoni del presidio alla lavanderia “La Nuova”, che lava i panni del CIE di Torino.
Rompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
I due processi alle stesse lotte vanno in scena in parallelo, il 16 ottobre c’é un’udienza del primo, il 20 dicembre entra nel vivo il secondo.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
L’Assemblea Antirazzista – attiva tra maggio del 2008 al maggio del 2009 – fu il fulcro da cui si dipanarono numerose iniziative.
Iniziative che, sia pure di minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.
Vogliono criminalizzare il dissenso, per provare a tappare la bocca e legare le mani a chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto, predatorio, razzista.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
L’intero impianto accusatorio della procura sui basa su banali iniziative di contestazione.
Nel mirino il “cacerolazo” – 2 giugno 2008 – alla casa del colonnello e medico Baldacci, responsabile del CPT, dove un immigrato era morto senza cure il 23 maggio; l’occupazione simbolica dell’atrio del Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. In tutto decine iniziative messe insieme per cucire addosso ad un po’ di antirazzisti un apparato accusatorio capace di portarli in galera.
In questi anni l’attitudine a trattare in termini di ordine pubblico l’opposizione sociale si è accentuata: non si contano più i procedimenti penali a carico di chi lotta contro un sistema sociale ingiusto e feroce.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
In questi mesi abbiamo portato il loro processo nelle strade di questa città. Là dove non ci vogliono noi continueremo ad essere.