Sono state rese note in questi giorni le motivazioni della sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale contro l’unico imputato rimasto, il magnate svizzero Schmidheiny.
Quasi tremila morti, una strage che continua ed avrà il proprio picco tra il 2025 e il 2030, resteranno nei carteggi di un processo che, secondo la Cassazione, non si doveva neppure fare.
Sebbene la prima sentenza sulla pericolosità dell’esposizione all’amianto risalga al 1906, sebbene siano noti i tentativi di nascondere una strage che ha fatto ricchi i padroni della Eternit e ha condannato a morte migliaia di lavoratori e cittadini, un colpo dim spugna ha cancellato sia la sentenza di primo grado sia quella che in appello aveva condannato Schmidheiny a 18 anni di reclusione. A Casale Monferrato e in tanti altri luoghi dove si è lavorato questo minerale, poco costoso, impermeabile, ignifugo, perfetto per mille usi, ma mortale, la giustizia di classe celebra un altro dei suoi trionfi.
Il mesotelioma pleurico è un tumeore che non lascia scampo: ruba la vita, torturando a morte il condannato. I padroni di Eternit lo sapevano bene, ma la logica del profitto e le leggi che la tutelano ha segnato il destino di Casale.
Le motivazioni della sentenza possono apparire meri tecnicismi di fronte al dolore di parenti, amici, compagni di lavoro che si sono battuti, perché, sia pure tardivamente, un tribunale restituisse dignità ai loro cari. Un’illusione che la dice lunga su una giustizia che tutela i padroni e non i lavoratori. Alle vittime della Eternit e ai loro parenti non andrà neppure un soldo di risarcimento.
Tuttavia l’amianto è ancora ampiamente usato in molti altri paesi e continuerà ad uccidere chi per vivere è costretto a lavorare sotto padrone.
Ascolta la diretta dell’info di radio Blackout con Roberto Lamacchia, uno degli avvocati di parte civile nel processo Eternit.