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Belgrado. I rifugiati nella morsa del gelo

La rotta balcanica si sarebbe chiusa nel marzo del 2016, quando l’Unione europea pagò il governo turco per fermare l’arrivo dei profughi sulle coste greche. Per alcuni, come la Germania e la Svezia, l’accordo ha funzionato e il numero dei profughi arrivati nel 2016 è drasticamente calato rispetto all’anno precedente. Tuttavia centinaia di persone hanno continuato a utilizzare questo percorso per raggiungere l’Europa nordoccidentale, affidandosi ai passeur e percorrendo sentieri pericolosi e impervi nel corso di uno degli inverni più rigidi degli ultimi anni. Secondo alcune stime, i profughi bloccati lungo la rotta balcanica sono al momento centomila.

Per molti la rotta balcanica si è fermata a Belgrado. Migliaia di profughi, provenienti dall’Afganistan, dal Pakistan, dalla Siria, dall’Iraq vivono in un capannone abbandonato della vecchia stazione ferroviaria della capitale serba. Niente acqua, niente di niente, solo un pasto distribuito da alcuni volontari. E il gelo. In questi giorni le temperature notturne hanno raggiunto i meno 20. Quelli che arrivano a Belgrado sono i più fortunati: chi resta impigliato in Ungheria rischia la galera.
Nel paese, secondo i dati dell’Unhcr, ci sono in questo momento circa settemila persone bloccate sulla rotta dei Balcani: la maggior parte sono migranti in transito che vorrebbero raggiungere il Nord Europa.
Quest’estate si erano accampati nei parchi cittadini, da dove sono stati sgomberati con la forza. L’approdo nei capannoni della ex stazione è stato una scelta necessaria per prendersi un tetto, anche se precario e lurido, e per resistere ai tentativi di internamento nei campi.
Il governo serbo ha minacciato più volte di cacciarli, nessuno di loro, compresi ragazzini e bambini, vuole andare nei centri ufficiali, perché sanno che calore e zuppa sarebbero l’anticamera della deportazione.

Sull’intera area è pronto un progetto di riqualificazione, che comporterà lo sgombero dei rifugiati e la cacciata degli abitanti poveri della zona. Il “Belgrade Waterfront” è finanziato dallo Stato, che fornirà i terreni, e dalla Eagle Hills, società di Abu Dhabi specializzata nello “sviluppo di centri urbani”. Il nuovo complesso comprenderà case e alberghi di lusso, centri commerciali, uffici e una torre di 200 metri, il “Kula Beograd”. Trent’anni di lavoro e di 3,5 miliardi di euro di spesa.

Intanto ogni notte qualcuno prova a passare in Croazia, incastrato sotto ad un camion, pagando qualcuno, ma solo pochi riescono a continuare il viaggio. Molti erano già arrivati in Austria, ma il feroce gioco dell’oca dell’Europa delle frontiere li ha ricacciati indietro.

Invece gli arrivi dall’Ungheria continuano con lo stesso ritmo del periodo prima della chiusura delle frontiere. L’unica differenza è che oggi il passaggio è clandestino e i passeur si fanno pagare a caro prezzo.

Nevica ormai da un mese. Molti sono morti assiderati lungo il viaggio. Vite che non valgono nulla, presto dimenticate. Da tutti, ma non dai parenti ed che li hanno visti partire e da quelli da cui non arriveranno più. Le frontiere d’Europa sono segnate dal dolore e dalla sofferenza della gente in viaggio. Dolore e sofferenza che potrebbero volgersi in rabbia e rivolta. Dipenderà da tutti noi che rabbia e rivolta non si declinino nel lessico della jihad ma in quello della libertà.

Posted in immigrazione, Inform/Azioni, internazionale.

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  1. Belgrado. I rifugiati nella morsa del gelo | Umanità Nova linked to this post on 22 Gennaio 2017

    […] tratto da Anarres […]