Mercoledì 18 gennaio ore 13
in aula 56 ingresso 22 del tribunale
di Torino corso Vittorio Emanuele 130
Il 18 gennaio si terrà l’ultima udienza del processo per l’occupazione dell’ex Cinema Zeta. Alla sbarra quattro anarchici accusati di “invasione di edificio” e danneggiamenti. Il PM, manco a dirlo è Antonio Rinaudo, noto cacciatore di anarchici. Facciamo un passo indietro.
Era il 10 dicembre del 2009: alle sei del mattino, l’ora degli sgomberi, Digos e agenti in assetto antisommossa buttano giù la porta di Cà Neira, lo stabile di via Zandonai occupato domenica 6 dicembre dalla FAI torinese.
Nel pomeriggio, in risposta allo sgombero del mattino, viene occupato l’ex cinema Zeta di via Colleasca, Cà Neira 2.
Dopo un paio d’ore la polizia interviene in forze con digos e celere in tenuta antisommossa: in quaranta contro quattro compagni, mentre all’esterno si raccolgono numerosi solidali. Danneggiando gravemente la saracinesca di ingresso, la polizia fa immediatamente irruzione.
Tre compagni vengono tirati giù dal tetto, poi tocca ad una compagna, che si era incatenata ad una finestra. I quattro compagni vengono fermati, perquisiti, portati in questura.
Non si può dire che non ce lo aspettassimo. Media e politici hanno provato a creare allarme sociale intorno all’occupazione di via Zandonai. Nonostante gli articoli infuocati dei maggiori quotidiani molti abitanti del quartiere ci avevano mostrato solidarietà e simpatia, in qualche caso condivisione. Per tanti era una vergogna che il prefabbricato di via Zandonai fosse abbandonato al degrado e all’incuria. Hanno quindi apprezzato che qualcuno, rimboccandosi le maniche, avesse cominciato a ristrutturarlo per renderlo agibile.
A Cà Neira 2, ex cinema porno chiuso da lunghi anni, per la prima volta a Torino la questura ha mandato la celere in assetto antisommossa a sgomberare un posto occupato da poco più di un’ora e mezza. È probabile che la scelta di occupare un altro edificio lo stesso giorno dello sgombero del primo li abbia innervositi un po’. Dopo due anni il processo contro quattro nostri compagni entra nel vivo.
La repressione, lo dimostra l’accanimento della Procura contro la resistenza No Tav, è la risposta alle lotte sociali. La città/vetrina di Chiamparino e Fassino non basta a far dimenticare che troppi non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Chi pratica il riutilizzo degli spazi abbandonati, chi si riprende una casa per abitarci, chi ristruttura un capannone per farci attività sociali fuori dall’orizzonte della merce mostra a tutti che un diverso modello di relazioni politiche e sociali è possibile. Due anni fa la dialettica politica tra governo e opposizione si articolava sulle occupazioni, autentica spina nel fianco della Torino “always on move”. Destra e sinistra unite per cancellare posti e case occupate, perché, non a torto, li considerano luoghi dove si praticano la sovversione sociale e la solidarietà con gli ultimi. Questi posti danno fastidio perché la maschera di belletto, che si vuole continuare a dare alla città, non può nascondere la realtà: una città dove migliaia di persone rischiano di restare senza casa, perché non ce la fanno a pagare il fitto o il mutuo. La gente viene gettata in strada mentre oltre 150.000 appartamenti sono vuoti. La crisi economica scava un solco sempre più profondo tra la città dei ricchi, circa il 20% della popolazione, e tutti gli altri. Il lavoro è sempre più “precario”, i servizi un lusso per chi li può pagare, il futuro una roulette russa, mentre il modello, un modello che ingoia se stesso è sempre quello iperconsumistico della città vetrina, dove i più sono mere comparse del consumo come evento e degli “spettacoli” sempre nuovi messi in cantiere. Le occupazioni fanno bene al corpo della città: con esse vengono proposti spazi liberati da ogni sfruttamento, gerarchia, consumismo. A Torino tra militari nelle strade, check point razzisti e morti sul lavoro, la scommessa è sempre la stessa. Costruire, con pazienza, una trama di relazioni solidali, che attraversino le nostre periferie, azzannate dalla crisi e stritolate dalla guerra tra poveri, perché l’opposizione sociale si radichi e si radicalizzi, non in occasionali fiammate, ma nella quotidianità di un conflitto che ri-ponga al centro la questione sociale. Le case occupate sono esempi concreti che dicono quanto nudo sia il re: per questo danno tanto fastidio ed è per questo che è importante liberare altri posti ed offrirli come occasione a tutti coloro che ci vivono intorno: a coloro che hanno un lavoro precario o non ce l’hanno; a chi non riesce a mandare i figli all’asilo; a chi non riesce ad arrivare a fine mese; a tutti coloro che pensano che questa città non sia un teatrino “sempre in movimento”, luccicante e artificiale, ma il posto dove vivere la propria vita diffondendo il virus invincibile della libertà.
Aggiornamento
Il processo per l’occupazione dell’ex cinema Zeta, Cà Neira, si è chiuso con un repentino dietrofront dell’accusa.
Il PM Rinaudo, sostituito per l’occasione da una collega, ha bucato ancora una volta l’obiettivo.
I quattro anarchici accusati di occupazione dell’ex cinema Zeta di via Colleasca sono stati prosciolti dalle accuse per non luogo a procedere.
Un processo che non avrebbe nemmeno dovuto cominciare, perché mancava la querela di parte, necessaria se gli occupanti sono meno di dieci e l’edificio non è di uso pubblico.
Rinaudo ci ha provato lo stesso, tentando di attribuire ai compagni anche la responsabilità dei danneggiamenti alla serranda di fronte all’ingresso principale forzata dai poliziotti al momento dell’irruzione per lo sgombero.
Le foto pubblicate da Cronacaqui ritraevano esponenti dell’antisommossa e della digos che forzavano la serranda. La relazione dei periti ha dimostrato in aula quello che tutti gli abitanti del borgo e buona parte dei Torinesi sanno bene: il vecchio cinema di via Colleasca è abbandonato da molti anni.
Quando si è accorto che le cose andavano male Rinaudo ha pensato bene di fare marcia indietro.
Resta il fatto che in questi anni la procura di Torino ha deciso di trattare come questioni di ordine pubblico le lotte politiche e sociali in questa nostra città, dove ci sono 150.000 appartamenti sfitti, mentre chi occupa le case vuote per restituirle ad un uso pubblico finisce alla sbarra.
Quando, nel dicembre del 2010, gli anarchici della FAI torinese lo occuparono non era la prima volta che la storia del vecchio cinema Zeta si intersecava con le lotte di libertà degli anarchici.
Ne approfittiamo per ricordare un episodio del lontano 1975.
Lo Zeta, allora cinema d’essai, dove proiettavano le pellicole che non passavano dai cinema del centro, venne affittato per una manifestazione antimilitarista. Oltre quattrocento compagni e compagne gremirono la sala.
In quell’occasione Mimmo Pucciarelli, un giovane anarchico campano, lesse una dichiarazione nella quale annunciava la decisione di non fare il servizio militare allora obbligatorio. Dopo l’intervento di Mimmo, la sala calò nel buio. Prima che la polizia potesse intervenire, Mimmo si era dileguato. Si rifugerà in Francia, dove vive ancora oggi, proseguendo nella lotta intrapresa tanti anni fa.
Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to@inrete.it