Venerdì 28 febbraio punto info contro i CIE.
A Torino, in via Po 16, dalle 17.
Di seguito il volantino distribuito
CIE Tutto cambia? Tutto resta come prima!
La pietra di Sisifo
I CIE sono le prigioni per i senzacarte, uomini e donne, colpevoli di aver cercato un’opportunità di vita nel nostro paese. Quando vennero aperti con una legge firmata dai Democratici Giorgio Napolitano e Livia Turco, la reclusione era di un mese, che poi diventarono due, nel 2009 Maroni li fece salire a sei, da tre anni sono diventati 18. Una condanna senza processo.
A gennaio il governo Letta ha cancellato il reato “immigrazione clandestina”, limitandolo alla recidiva. Un fiore all’occhiello senza nessuna conseguenza reale, poiché dopo l’adeguamento forzato alla direttiva europea sui rimpatri, non era più previsto il carcere ma una multa che nessuno pagava, perché non estingueva il reato.
Nel nostro paese si è clandestini per legge. Entrare “legalmente” è, nei fatti, impossibile: secondo la legge Bossi-Fini per avere le carte in regola serve un contratto di lavoro firmato nel paese d’origine. Quanti padroni conoscete che assumono a scatola chiusa un lavoratore mai visto, in un paese a migliaia di chilometri dall’Italia?
Nessuno di quelli che arrivano ha le carte in regola: tutti lavorano in nero, super sfruttati, nella speranza di una sanatoria che li faccia emergere dal limbo.
Chi incappa in un controllo prende il foglio di via, se viene ripescato finisce al CIE.
La storia del CIE – un tempo CPT – è storia di rivolte, fughe, pestaggi, scioperi della fame, gente che si taglia, altri che ci cuciono la bocca. I CIE italiani sono stati distrutti e ricostruiti più e più volte. Quando la prospettiva di reclusione è salita a 18 mesi, le fiamme si sono levate sempre più alte dietro le mura di queste prigioni, simbolo dell’apartheid nel quale sono racchiuse le vite dei migranti.
Il CIE è un limbo che precede la deportazione, una sala d’aspetto con sbarre e filo spinato in attesa di un viaggio che nessuno vuol fare.
Oggi rimangono aperte, ma sono gravemente danneggiate, solo quattro galere per immigrati senza documenti (Torino, Roma, Pian Del Lago, Bari, Trapani Milo), le altre, una dopo l’altra, sono state fatte a pezzi e bruciate dai reclusi. Il governo ha dovuto chiudere i CIE di Gradisca, Trapani Vulpitta, Bologna, Modena, Crotone, Milano.
A dicembre Letta aveva dichiarato che avrebbe ridotto ad un mese la reclusione nei CIE.
Tra ottobre – strage di Lampedusa – e dicembre – bocche cucite al CIE di Roma – al Partito Democratico è spuntata una coscienza, misteriosamente sopita per 14 anni. All’improvviso si sono accorti di quello che succede ogni giorno nei CIE. Indignazione, dichiarazioni sull’urgenza di un intervento, tante belle parole. Nessun fatto.
Nel frattempo, senza troppo clamore, hanno stretto un nuovo accordo militare con la Libia: droni italiani nel deserto, soldati libici sulle navi italiane, prigioni libiche dove torture, stupri, estorsioni, ricatti sono il pane quotidiano di profughi e migranti.
Le elezioni europee si avvicinano e il rispetto dei “diritti umani”, si tratti di CIE, di carceri o di OPG, non porta voti.
Dopo la strage di Lampedusa si sono inventati l’operazione Mare Nostrum: la marina militare è entrata in azione nel canale di Sicilia. La missione, inutile dirlo, è umanitaria. Come in Afganistan: si fa la guerra ma la si chiama pace.
Ora i migranti non annegano più: vengono fermati, scortati, a volte caricati a bordo. Una volta a terra provano a buttarli fuori, se non ci riescono li liberano con un foglio che intima loro di lasciare il paese entro cinque giorni. Comincia così la loro nuova vita da clandestini certificati.
Di un fatto siamo sicuri.
I governi sono sempre più in difficoltà: la macchina delle espulsioni ha costi elevatissimi e non funziona. Non sanno più che pesci prendere di fronte ad una questione che, come la pietra di Sisifo, continua a rotolargli addosso.
Se un giorno venissero cancellati i 18 mesi di CIE questo non sarebbe certo dovuto alla buona volontà del governo di turno, ma alle lotte degli immigrati, che in questi anni li hanno fatti a pezzi, pagando un prezzo durissimo. Botte, umiliazioni, arresti, condanne.