Sabato primo novembre
Giornata internazionale di solidarietà con Kobane
Torino – presidio in piazza Castello
Venerdì 14 novembre
ore 21 corso Palermo 46
Autogoverno e resistenza popolare in Rojava
Ne parliamo con Daniele Pepino, curatore dell’opuscolo “Dai monti del Kurdistan”
Rojava. Per una libertà senza confini
Il Rojava resiste. La gente di Kobane, assediata dalle forze bene armate del califfo, sta pagando un prezzo durissimo. Centinaia di migliaia di profughi, migliaia di morti, devastazioni infinite ne sono il segno. E’ una lotta impari tra un esercito mercenario bene armato e ben pagato e le milizie di autodifesa popolare, divise in battaglioni femminili e maschili, che contendono metro dopo metro, casa per casa il terreno agli islamisti. L’Isis intende massacrare e rendere schiavi tutti.
Siamo nel nord della Siria, una regione abitata in prevalenza da gente di lingua curda ma anche assira, caldea, turca, armena, araba.
La posta in gioco in quest’area del pianeta è molto alta. Lo sanno bene gli uomini e le donne in armi che difendono la propria autonomia non solo dalle truppe dell’ISIS ma anche dalle pressioni degli Stati Uniti, che subordinano il proprio appoggio alla resistenza alla rinuncia alla propria esperienza di autogoverno popolare. Le frontiere con la Turchia restano serrate per i volontari e le armi dirette a Kobane, la città assediata da quasi due mesi. Vorrebbero che a Kobane andassero le truppe del Kurdistan iracheno, una regione controllata da vent’anni dal partito filo statunitense di Barzani.
Vorrebbero sopratutto che il silenzio calasse sulla storia di gente che si organizza dal basso in comuni e comitati per decidere da sé come amministrarsi. Vorrebbero che nessuno sapesse che in Rojava si pratica la parità di genere negli organismi elettivi, la partecipazione di tutte le componenti linguistiche, etniche e religiose. Nessuno deve diffondere notizie sui cantoni del Rojava e laq loro sperimentazione politica e sociale. Potrebbe essere contagioso.
Negli ultimi anni si sono sviluppati movimenti di lotta che sia nelle modalità organizzative, sia negli obiettivi hanno modi libertari. Partecipazione diretta, costruzione di reti solidali su base locale, mutazione culturale profonda che investe le relazioni di dominio nel corpo sociale ne sono il segno distintivo, oltre alla durezza dello scontro con le istituzioni statali e religiose che controllano i vari territori.
La caratteristica importante di questi movimenti è il radicarsi in aree del pianeta dove negli ultimi quindici anni si sono sviluppati movimenti reattivi all’occidentalizzazione forzata di stampo religioso.
Si va dalla Kabilia, la regione berbera dell’Algeria, al Messico all’India, sino al Rojava.
Qui, nel 2012, profittando del “vuoto” lasciato dal governo di Damasco per la guerra civile che sta insanguinando il paese, uomini e donne stanno sperimentando il confederalismo democratico. Ispirato alle teorie del municipalismo libertario dell’anarchico statunitense Murray Bookchin, l’autogoverno in Rojava rappresenta un tentativo laico, femminista e libertario di praticare un’alternativa ai regimi autoritari che si contendono la Siria.
Intendiamoci. In Rojava non c’é l’anarchia. C’é tuttavia un percorso di partecipazione diretta di segno marcatamente libertario.
Non solo. Per la prima volta tra la gente di un popolo senza stato, diviso da frontiere coloniali, c’é chi dichiara esplicitamente di non volere un nuovo Stato, di rifiutare ogni frontiera, di lottare perché la gente si autogoverni su base territoriale, senza più frontiere. Se non ci sono frontiere non possono esserci nemmeno stati. Un’attitudine rivoluzionaria che inquieta il califfato e i loro ex amici a Washington.
Per la prima volta l’illusione che lotta di classe e indipendentismo siano ingredienti di una stessa minestra rivoluzionaria, capaci di catalizzare una trasformazione sociale profonda, tipica della sinistra autoritaria, si scioglie come neve al sole, aprendo la possibilità di un percorso libertario.
L’integralismo religioso e le satrapie mediorientali non sono un destino.
La difesa di Kobane ci riguarda tutti, perché la storia che hanno cominciato a costruire apre uno spazio di libertà e uguaglianza importante per tutti. In ogni dove.