Giovedì 12 marzo
ore 9 maxi aula 3
al tribunale di Torino
requisitoria del PM per la seconda tranche del processone agli antirazzisti torinesi.
Poi la prima delle arringhe della difesa
Martedì 13 aprile la sentenza
Il 22 aprile verrà emessa la sentenza per la prima tranche, per cui gli stessi PM hanno chiesto quasi 80 di reclusione, con pene tra l’anno e mezzo e i cinque anni e sei mesi.
Era il luglio del 2008. A Torino in via Germagnano, tra le baracche dei rom i bambini giocavano nel fango e tra i topi. L’alluvione di primavera per poco non si era mangiata tende e lamiere. Alcune famiglie, stanche di una miseria che aveva segnato ogni momento delle loro vite, decisero di prendersi la loro parte di futuro, occupando una palazzina dell’Enel in via Pisa. La casa era abbandonata all’incuria da molti anni. Ad un balcone c’era lo striscione con la scritta “casa per tutti!”
Uomini donne e bambini hanno dormito sotto ad un tetto sino al 15 luglio: per alcuni era la prima volta.
La mattina di quel giorno le truppe dello Stato in tenuta antisommossa fecero irruzione nell’edificio: i bambini, spaventati, si svegliarono urlando. Fuori li aspettava un pullman della GTT che li ha riportati alle baracche di via Germagnano.
Due giorni dopo, era il 17 luglio, in piazza d’Armi, nell’ambito del festival ARCIpelago era prevista una tavola rotonda. Politici e professori dovevano parlare di “Paure metropolitane”: tra loro Ilda Curti, assessore con la delega all’integrazione degli immigrati.
Non potevano mancare gli antirazzisti. Armati di striscione, volantini e megafono hanno parlato a Curti delle paure di chi, giorno dopo giorno, vive ai margini di una città che spende per giochi e spettacoli ma permette che i bambini crescano senza una casa.
Curti non tollera la contestazione, da in escandescenze ed abbandona il palco.
Il giorno dopo fila dalla polizia e sporge denuncia.
Cinque anni dopo la casa di via Pisa è ancora vuota. Gli antirazzisti sono stati rinviati a giudizio.
Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro tanti antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade.
I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale.
L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione.
L’occupazione simbolica dell’atrio del Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti.
Se la procura di Torino credeva di poter rinchiudere le storie di quella stagione di lotte in un’aula di tribunale si sbaglia. Queste storie gli antirazzisti le stanno portando per le strade e per le piazze di Torino. Una città dove, oggi come allora c’è chi lotta contro un sistema sociale feroce.