punto info antipsichiatrico al Balon
dalle 10,30 alle 13
di seguito il volantino che verrà distribuito
La psichiatria imprigiona e uccide
Andrea Soldi è morto il 5 agosto 2015 in piazzale Umbria a Torino, ucciso dai vigili urbani che lo stavano sottoponendo a un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio), perché non si era presentato alla mensile somministrazione forzata (tramite iniezione a lento rilascio) di Haldol, un potente e dannoso neurolettico che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali.
Imputati per omicidio colposo sono i 3 vigili autori della manovra contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra che ha disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste dalla legge. Durante le udienze preliminari il Comune e l’Asl To2 hanno offerto ai familiari della vittima la somma di 400.000 euro. Il fatto che due enti che versano in ristrettezze economiche propongano massimali di risarcimento ancor prima che si sia potuta accertare l’effettiva responsabilità degli imputati, ci fa capire il peso che questo processo potrebbe avere nell’attaccare l’istituzione psichiatrica e i suoi (ab)usi, ponendo l’attenzione sul TSO, ovvero quel trattamento che da agli psichiatri il potere di catturare, imprigionare e drogare le persone contro la loro volontà.
Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria, di continui ricatti, violenze e vessazioni che la maggior parte degli utenti psichiatrici sono costretti a subire. Non è neanche un caso isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di gente “normale” che hanno assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, visto che la repressione psichiatrica avviene nella solitudine degli utenti, nel silenzio delle loro famiglie, all’interno di reparti chiusi e di luoghi isolati. Per questo motivo la storia di Andrea ha occupato le pagine di cronaca dei giornali, come quella di Mauro Guerra, ucciso nei campi vicino alla sua abitazione a Carmignano Sant’Urbano (in provincia di Padova) mentre scappava, raggiunto alle spalle da un proiettile sparato da un carabiniere che cercava di catturarlo per costringerlo a “curarsi”. Così come quella di Francesco Mastrogiovanni, le cui ultime ore di vita all’interno del repartino dell’ospedale di S. Luca nel Vallo della Lucania, sono state immortalate da una telecamera: 87 ore di agonia durante le quali, pesantemente sedato con farmaci antipsicotici, è stato legato mani e piedi al letto, senza cibo né acqua, fino alla morte il 31 luglio del 2009. Anche Franco è morto durante un ricovero coatto, anche in questo caso il comportamento della vittima era tranquillo e conciliante, e anche stavolta il provvedimento non era legittimo. Anche qui un altro processo iniziato a novembre 2014 che vede imputati 12 infermieri e 6 medici (per reati di sequestro, falso in atto pubblico e morte in conseguenza ad altro reato – il sequestro), in cui si cerca sempre di circoscrivere la tortura subita all’interno di un ospedale come un episodio unico di disservizio ed inefficienza. A novembre scorso la Corte d’Appello di Salerno ha condannato gli 11 infermieri (pene dai 14 mesi ai 15 mesi) che in primo grado erano stati assolti e ha confermato le condanne per i sei medici, a cui però le pene sono state ridotte (dai 13 mesi ai due anni). Per tutti però la pena è stata sospesa, per cui continuano a lavorare all’interno del SSN, e addirittura uno dei medici si è trovato coinvolto nel giugno 2015 nella morte di Massimiliano Malzone avvenuta nel SPDC di Sant’Arsenio di Polla probabilmente a causa di una somministrazione letale di farmaci.
Nonostante quindi in Italia i manicomi siano stati chiusi alla fine degli anni Settanta, l’orrore psichiatrico non è mai finito e come si moriva nei manicomi e negli ex Ospedali Psichiatrici Giudiziari, si muore oggi nei nuovi luoghi della psichiatria, strutture più piccole capillarmente diffuse sul territorio, all’interno delle quali continuano a perpetrarsi sia l’etichetta di “malato mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria.
E così all’interno della prima REMS piemontese presso la Clinica privata di San Michele di Bra, aperta circa un anno fa in vista della chiusura e superamento degli ex OPG, i reclusi (per cui la Regione Piemonte paga rette di 300 euro al giorno) ci segnalano situazioni di abbandono e maltrattamento: qualche settimana fa un uomo si è tolto la vita impiccandosi nella doccia, senza che nessun giornale ne abbia parlato, e un giovane è stato tenuto per circa un mese in una cella di isolamento 2×2 m con un campanello non funzionante come unico modo per poter comunicare all’esterno.
La psichiatria potrà anche cambiare i nomi dei luoghi e dei trattamenti, potrà godere di maggiori consensi di medici, tribunali, giornali e fautori del contenimento e del mantenimento dello status quo, ma non riuscirà mai a persuadere chi ha avuto la sfortuna di incapparvi e vive ogni giorno i suoi soprusi, così come chi odia la reclusione, chi vuole abbattere mura, gabbie e confini e lotta ogni giorno per la libertà di tutti.
Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
Per contatti: telefono 345 61 94 300 – mail antipsichiatriatorino@inventati.org