Alle 10,30 in piazza Castello angolo via Garibaldi
per una mattinata di azioni
Ore 16,30 piazza 18 dicembre
Corteo cittadino sino in piazza Vittorio.
La Rete Non Una di Meno ha lanciato uno sciopero globale per l’8 marzo 2018.
Uno sciopero contro la violenza patriarcale.
In Italia ogni due giorni una donna viene uccisa.
Crescono gli stupri, le violenze, le molestie, le discriminazioni.
È la reazione del patriarcato alla libertà femminile.
Il termine femminicidio descrive l’uccisione di una donna in quanto donna. L’uccisione di una donna in quanto donna ha un significato intrinsecamente politico. Per paradosso il femminicidio è un atto politico, proprio perché ne viene nascosta, dissimulata, negata la politicità.
Sui corpi delle donne si giocano continue battaglie di civiltà. Sia che le si voglia “tutelare”, sia che le si voglia “asservire” la logica di fondo è la stessa. Resta al “tuo” posto. Torna al “tuo” posto. Penso io a te, penso io a proteggerti, a punirti, a disciplinarti.
Ammettere la natura intrinsecamente politica dei femminicidi e, in genere, della violenza maschile sulle donne aprirebbe una crepa difficilmente colmabile, perché renderebbe visibile una guerra non dichiarata ma brutale. Per questo motivo l’uccisione di una donna in quanto donna viene considerato un fatto privato. Un fatto che assurge a visibilità pubblica solo nelle pagine di “nera” dei quotidiani.
Femminicidi, torture e stupri diventano pubblici quando sono agiti in strada, fuori dagli spazi domestici, familiari o di relazione, quando i profili di chi uccide e violenta si prestano ad alimentare il discorso securitario, favorendo un aumento della militarizzazione, la crescita della canea razzista, nuove e più dure leggi.
La guerra contro le migrazioni ha bisogno di trasformare in nemico chi viaggia. I corpi delle donne diventano il luogo sul quale si gioca la contrapposizione tra chi “tutela” le donne e chi le attacca. La “civiltà” dell’Occidente contro gli estranei, stranieri, diversi, nemici. Quelli da tenere fuori, perché tutto sia in ordine.
Ben diverso è lo sguardo verso le immigrate, che abitano le nostre case e si occupano degli anziani, dei bambini, della casa, verso le ragazze di ogni dove sui marciapiedi in attesa di clienti. Corpi femminili docili e disponibili, a disposizione di chi ha potere e soldi.
Quando invece l’assassino, lo stupratore ha le chiavi di casa, i femminicidi e gli stupri vengono descritti con gli strumenti messi a disposizione dalla psichiatria: il violento è un malato. Raptus, follia, depressione rendono agilmente plastica la narrazione della violenza.
Il folle sfugge alle regole della comunità, perché il suo agire è privo di ragione e, quindi, non rappresenta una rottura del patto sociale. La narrazione della violenza come follia o criminalità agita da pochi soggetti estranei, rende invisibile la guerra contro le donne per la ri-affermazione di una relazione di tipo patriarcale.
Lo sguardo patriarcale si impone nelle istituzioni, che negano il carattere sistemico della violenza di genere, si esplicita nei media, deflagra nel dibattito pubblico sui social, dove la veloce interattività e la solitudine di chi scrive facilitano un linguaggio più crudo, non mitigato dal politicamente corretto.
La rete femminista Non Una di Meno si articola intorno alla necessità che nella guerra contro la libertà femminile si moltiplichino le relazioni, il mutuo soccorso, gli intrecci solidali per battere un nemico subdolo, annidato in ogni spazio che viviamo.
Non Una di Meno propone altresì uno sguardo transfemmnista e intersezionale, uno sguardo situato, che intreccia le varie forme dell’oppressione e dello sfruttamento.
Il lavoro, che, sempre più precario e sottopagato per tutt*, lo è ancor più per le donne. Pagate meno e sfruttate di più, spesso obbligate a mettere al lavoro la propria stessa immagine.
Quest’ anno a Torino uno dei focus della giornata sarà il lavoro di cura.
La rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare.
La riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.
Lo sciopero femminista scardina questo puntello e rimette al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.
“In occasione della giornata di sciopero femminista globale contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, scioperiamo non solo dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici (che ancora gravano soprattutto sulle donne) e dai ruoli di genere imposti.
Rendiamo visibile il lavoro invisibile, uscendo in strada portando con noi gli oggetti simbolo delle attività e dei lavori da cui l’8 marzo vogliamo scioperare.”