Come ogni venerdì, il 23 dicembre siamo sbarcati su Anarres, il pianeta delle utopie concrete, dalle 10,45 alle 12,45 sui 105.250 delle libere frequenze di Blackout.
Identità e differenze. Con l’antropologo Stefano Boni abbiamo discusso di del processo, eminentemente culturale di costruzione delle identità. Identità, che quando percepite come “naturali” si tramutano nelle linee di frattura che spesso portano al razzismo, alla xenofobia. Sono comunità escludenti, che rifuggono l’incontro, il confronto, l’attraversamento delle identità che ci costituiscono, ma non sono un destino.
La materialità del proprio posizionamento sociale, se assunta come osservatorio sulla realtà, consente di tracciare linee di frattura che non si incardinano nella cultura, ma nella divaricazione di classe, nella spinta a costruire percorsi comuni con chi, pur culturalmente diverso, si trova nella stessa condizione.
D’altra parte “ciascuno può sempre fare qualcosa su quello che è stato fatto di lui”.
L’individuo, nella sua astrazione liberale, è si risolve nell’esercizio della cittadinanza – con relative esclusioni – nei limiti del politico definito dalle democrazie moderne
Lo stesso individuo, nel cerchio prospettico delineato dal liberismo, scompare nell’universo variegato ma globalmente standardizzato delle merce.
In una prospettiva libertaria l’individuo non è un punto di partenza, un’astrazione, che trova concretezza nelle urne, nella merce, nell’urna o nelle identità escludenti che hanno raggrumato la spinta reattiva (e reazionaria) che fornisce senso agli esclusi rancorosi dalle luci del circo capitalista.
Africa. Aiutiamoli a casa loro. Immaginario post (neo) coloniale della dipendenza africana.
Vi proponiamo uno scritto di Karim Metref, blogger, insegnante di origine kabila, che da molti anni vive a Torino.
Lo abbiamo letto e commentato ad Anarres.
Qui potete leggere il testo, uscito dul blog “divagazioni”.
Gli indefessi sostenitori del “Grande Complotto” contro il Movimento Cinque Stelle hanno trovato alimento nella mancata approvazione del bilancio del comune di Roma, da sei mesi governato dalla giunta presieduta da Virginia Raggi.
Sebbene ci sia chi considera lungimirante la parlamentare grillina Taverna, che ha sostenuto la tesi che la stessa elezione di Raggi fosse un complotto, ordito dal PD per rovinare la reputazione della compagine grillina, una diarchia ereditaria, e metà tra lo show e l’imprenditoria, noi abbiamo cercato di capirne di più e ci siamo rivolti a Francesco, per capire di quale materia si tratti.
Francesco ha scritto in merito:
“Diversi amici, dimostrando un’ingenuità degna di miglior causa, hanno condiviso un meme che chiede dove fossero, quando venivano approvati i bilanci che hanno causato il buco di 13.6 miliardi di euro nelle casse del comune di Roma, i revisori contabili che ieri hanno bocciato il bilancio della Raggi.
Ho deciso di chiarire qualche dubbio a chi mastica poco della materia.
L’Organo di Revisione Economico-Finanziaria del Comune di Roma è nato con lo statuto di Roma Capitale nel 2013 ed è composto da tre revisori dei conti in carica per tre anni. I tre attuali sono stati nominati lo scorso anno dal Prefetto Tronca.
Il debito del Comune di Roma è sotto gestione commissariale dal 2008. I 13,6 miliardi di euro sono i debiti che si sono accumulati dal 1960 al 2008.
L’OREF non esisteva quando si approvavano i bilanci che hanno causato il buco.
Il problema è proprio che, senza revisori che controllano, il deficit di bilancio aumenta perché (come nel bilancio bocciato) si sovrastimano le entrate e si sottostimano le uscite.
E’ bene sapere anche qualche altra cosa. Il bilancio, anche se ha il parere negativo dell’OREF, può essere comunque approvato dall’assemblea capitolina. Basta che dia adeguata motivazione alla mancata osservanza dei rilievi dei revisori. Non è stato approvato proprio perché i consiglieri sanno che quello che hanno scritto i revisori è vero e che, se avessero approvato un bilancio fatto con i piedi, sarebbero stati responsabili di fronte alla corte dei conti per le spese in eccesso.
Oltretutto non è che l’OREF si è svegliato adesso: è dall’insediamento della Raggi (e l’avevano fatto quelli di prima con Marino) che segnala la necessità di prevedere alcune spese e di controllare meglio le entrate.
La responsabilità della bocciatura è proprio della Raggi che, quando era vacante il posto di assessore al bilancio, si è rifiutata ripetutamente di ricevere il Ragioniere Generale Fermante che le voleva parlare proprio dei debiti fuori bilancio. Quando poi Fermante si è dimesso, Di Maio ha commentato “Se un burocrate se ne va, c’è da essere contenti”: chissà come ride adesso.
La stessa Raggi ha la responsabilità per il balletto delle nomine ad Assessore al Bilancio (in soli sei mesi: Minenna, De Dominicis, Tutino, Mazzilli).
In questo diventare tutti esperti revisori nessuno si è andato a leggere cosa prevedesse il bilancio bocciato. Il bilancio preventivo è l’atto politico con cui una giunta esprime la propria idea di città. Dal bilancio si capisce che vuole fare la Raggi a Roma.
Vi invito però a riflettere su tre cose:
– nonostante le promesse e tutte le supercazzole sulla democrazia diretta non c’è stato alcun dibattito pubblico sul bilancio, nessuna raccolta di suggerimenti, nessun coinvolgimento popolare.
– uno dei motivi della bocciatura è la mancata previsione degli stipendi per gli autisti della TPL che non ricevono il salario da mesi: questa è la sensibilità verso i lavoratori della giunta Raggi.
– Per mettere in sicurezza i trasporti romani (spesa a carico del Comune e non di Atac) servono 255 milioni. Non essendoci i soldi, ai tempi della giunta Marino venne chiesto di indicare le emergenze più pericolose e venne quantificato in 58 milioni il costo per la soluzione di queste. Tronca ha azzerato la spesa. A luglio vennero assegnati d’urgenza 18 milioni di euro. Mancano 40 milioni che non sono stati indicati in bilancio. Tra le cose più urgenti da fare c’è la sostituzione dei 56 scambi della metro A che sono giunti “a fine vita tecnica”. Uno scambio che non scatta fa scontrare due treni. Se succede una tragedia sapete da adesso di chi è la colpa.”
Questa puntata di Anarres è dedicata alla memoria di Pietro Ferrero, operaio anarchico, segretario della FIOM e aderente alla UAI – Unione Anarchica Italiana, torturato ed ucciso dalle squadracce fasciste, capitanate da Brandimarte, il 18 dicembre del 1922. Quello stesso giorno altri 17 anarchici, comunisti, sindacalisti vennero uccisi dai fascisti.
Ferrero e gli altri pagarono la grande paura dei padroni per l’occupazione armata delle fabbriche, per determinazione a non mollare, a non cedere né di fronte ai padroni, né alla scelta della CGL di abbandonare le fabbriche.
In piazza XVIII dicembre una lapide ricorda quella strage. Ogni anno c’è una cerimonia “ufficiale”. Quest’anno la sindaca Chiara Appendino non si è fatta vedere, suscitando l’indignazione della CGIL. Noi non possiamo che ringraziarla: la sua presenza, come quella dei sindaci PD che invece non l’hanno mai disertata, stonava di fronte alla lapide di chi, per dirla con il titolo del libro di memorie di Maurizio Garino, aveva avuto “il sogno nelle mani”. Quello di un mondo senza padroni, burocrati, governi.