Il vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile è divenuto lo spunto per una riflessione a tutto campo sui concetti di sviluppo, civilizzazione, sostenibilità ambientale.
Il fallimento del vertice di Rio sulla terra era un evento annunciato: chi ancora nutrisse illusioni sulla capacità e volontà dei governi di rimediare ai disastri di cui sono responsabili si metta il cuore in pace.
Parimenti inutili i contro forum, che in maniera sempre più stanca, da Porto Alegre a Rio, tentato di comporre ricette alternative, ma finiscono con il riprodurre un piccolo milieau di specialisti della politica o, se si preferisce, dell’umanitario e del sociale, spesso avulsi da quel radicamento territoriale delle lotte in cui si po’ giocare la scommessa di mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio che stritola il pianeta e, soprattutto, chi ci vive. A stento.
Ne abbiamo parlato con Salvo Vaccaro dell’università di Palermo.
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Il filo del ragionamento si è poi dipanato intorno alla critica primitivista della civilizzazione, malata di una malattia culturale che ciclicamente investe l’occidente, la nostalgia di un futuro primitivo, arcadico, archetipico nel suo immaginare un’età dell’oro attingibile solo alla fonte dei desideri.
Frutto di un’etnologia fantastica, che non trova sostegno né nelle ricostruzione storica delle società primitive né nell’analisi comparativa sui primitivi contemporanei.
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