Esodo, autogestione, conflitto
Senza servi, niente padroni
Renzi ha calato le sue carte. Carte pesanti che incideranno nel profondo nella carne viva di chi, per vivere, deve lavorare.
Nel nostro paese i numeri dei disoccupati, dei precari, dei senza casa, dei senza futuro non sono statistica ma innervano il tessuto sociale, attraversando le vite di chi deve fare i conti con i fitti non pagati, le rate che scadono, le bollette sempre più care, la spesa per i figli a scuola. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Quest’anno gli asili – troppo cari – non si sono riempiti; i malati rinunciano alle cure e alla prevenzione per non pagare i ticket, tanti non riescono a pagare il fitto e finiscono in strada.
Chi resiste agli sfratti, chi occupa le case vuote rischia la galera o il manganello. Esemplari in tal senso le vicende di Roma e Torino e quella, recentissima, del Giambellino a Milano.
Le reti familiari, smagliate e indebolite, non riescono più a reggere il peso della solidarietà sociale, sempre forte, nonostante l’appeal degli slogan del Presidente del consiglio.
Il suo gioco è abile. Dopo decenni di erosione di libertà, quei pochi che ancora ne godono vengono dipinti come “vecchi” privilegiati. Chi è nato precario, chi ha una laurea e risponde al telefono in un call center, chi finisce l’apprendistato e viene sostituito da un altro apprendista, non ha mai avuto la tutela dell’articolo 18.
Dopo aver demolito un sistema di garanzie costruito in decenni di lotte – quando l’ammortizzazione del conflitto era l’unico modo per contenere la lotta di classe – oggi il PD targato Renzi, sta chiudendo gli ultimi conti, cercando di contrapporre i figli disoccupati ai padri costretti a lavorare sino alla tomba.
E’ la fine di ogni finzione socialdemocratica. I figli della crisi stanno imparando ad attraversarla, agendo forme di conflitto che provano a ri-definire un terreno di lotta che getti la questione sociale nel tessuto vivo delle nostre città. Una strada ancora in salita in cui la violenza della polizia si intreccia con la rassegnazione di tanti. Ancora troppi.
Il movimento di lotta per la casa è il segno – per ora ancora troppo debole – di un agire che si emancipa dal piano meramente rivendicativo e scende sul terreno della riappropriazione diretta.
I facchini che bloccano i gangli della circolazione delle merci, ultimo nodo materiale nella smaterializzazione e parcellizzazione delle produzioni e dei contratti, dimostrano che è possibile mettere in difficoltà i padroni, quando si riesce a disarticolare un punto sensibile.
Lo spettro della Grecia
La retorica dell’antipolitica, il populismo più becero, la paura del grande complotto, alibi per le destre di ogni dove, comunque si coniughino nella geografia dei giochi parlamentari, mostrano una trama già logora, ma continuano a sedurre.
Più consistente è il pericolo della destra sociale, che alimenta steccati e soffia sul fuoco della guerra tra poveri. Se non sapremo creare un ponte tra soggetti sociali separati da anni di frammentazione fisica e culturale, se non sapremo intrecciare le pratiche e i percorsi, rischiamo una rivolta sociale di destra.
Il segnale delle piazze dei forconi è stato forte e chiaro. Il fascino dei blocchi selvaggi ha sedotto certa sinistra, che gode delle rotture di piazza nonostante tricolori e saluti romani, ma non è certo riuscita a mutare di indirizzo alla protesta dello scorso anno, cavalcata con facilità dalle destre. Sarebbe molto miope non vedere che, oltre la rivolta fiscale, c’é un immaginario che si nutre di militari al potere. Quelle piazze sono affondate nel ridicolo ma presto potremmo avere il discutibile piacere di un bis. Il buon Marx sosteneva che la storia, quando si ripete, declina in farsa la tragedia: nulla osta che una farsa non possa invece volgersi in tragedia.
Le adunate di Salvini, la campagna contro i rom e gli immigrati, gli assalti al centro per rifugiati di Tor Sapienza, la campagne d’odio che serpeggiano selvagge per la rete, sono una campana d’allarme che richiede riflessione e iniziativa.
I successi dell’estrema destra più violenta in Grecia sono un monito che non possiamo ignorare. Le periferie povere e rabbiose sono il terreno di coltura per fascisti e razzisti. Gli ultimi, gli immigrati, i senza tetto diventano il capro espiatorio per i tutti i mali.
Si tratta, senza indulgere ai facili populismi di certa sinistra in cerca d’autore, di insistere sulla pratica della partecipazione diretta e sulla possibilità di fare da se nella solidarietà.
L’occupazione del comune di Carrara e la nascita di un’assemblea di cittadini avrebbe potuto avere ben altro esito se non fosse stata innervata da una chiara proposta libertaria.
La partita di Camusso e soci
Questo governo sta puntando in modo secco sulla repressione del conflitto sociale e chiude i conti con la lunga stagione della concertazione.
Questo spiega perché il sindacalismo di Stato, la CGIL, la CISL e la UIL, siano nel mirino del rottamatore.
Renzi vuole che CGIL si rassegni ad una secca perdita di status e colpisce gli interessi materiali del sindacato.
Camusso, dopo le legnate ai funzionari della Fiom, ha infine indetto sciopero. La CGIL gioca una partita la cui posta è bloccare i tagli a distacchi e finanziamenti, i lucrosi spazi di cogestione che Renzi sta attaccando. Resterà da vedere se i tanti iscritti al maggiore sindacato italiano non sapranno esprimere un protagonismo che vada al di là della mera difesa della burocrazia sindacale.
La scelta della FIOM di scioperare il 14 in contemporanea con il sindacalismo di base e quella di Camusso di annunciare lo sciopero due giorni prima del 14, ha riportato nei ranghi settori di CGIL che avrebbero aderito allo sciopero indetto dai sindacati più conflittuali.
Gli scioperi tardivi della CGIL non devono farci dimenticare che il precariato e il caporalato legale, sono stati sdoganati con gli accordi del 31 luglio 1993 e del 3 luglio 1994. I vent’anni di tabula rasa di diritti e tutele che sono seguiti li hanno sempre visti in prima fila.
L’auspicio è che sempre più lavoratori non si rassegnino al recinto del sindacalismo di Stato.
I sindacati di base scontano tuttavia una certa difficoltà a confrontarsi con le problematiche emergenti dalla condizione precaria. Lo slogan dello sciopero sociale al momento è una mera suggestione che agisce sul piano dell’immaginario, ma, su un terreno più pratico, trova sponda ancora nella CGIL. Questa sponda potrebbe cedere come gli argini dei nostri fiumi strangolati dal cemento, di fronte a pratiche diffuse di solidarietà attiva, che diano impulso forte alle lotte dei precari, dei disoccupati, dei senza casa.
Oltre la crisi. Conflitto e autogestione
La crisi e la macelleria sociale che ci è stata imposta, la perdita irreversibile di un ampio sistema di garanzie e tutele, la fine dello scambio socialdemocratico tra sicurezza e conflitto, potrebbero offrirci nuove possibilità. Possibilità inesperite da lungo tempo, seppellite nelle pieghe della memoria della lotta di classe, dello scontro con la struttura gerarchica della società e della politica.
Negli ultimi anni abbiamo assistito all’abbozzarsi di reti territoriali, che intrecciano legami solidali nella pratica quotidiana, nella relazione diretta, nella costruzione di percorsi di esodo conflittuale dall’istituito.
La scommessa è costruire nel conflitto, fare dell’esodo, della fuoriuscita dalla morsa delle regole del capitalismo e dello Stato, il punto di forza per l’estendersi delle lotte.
Uno spazio pubblico strappato alla delega democratica, che in alcune occasioni si è creato nelle lotte per la difesa del territorio, è stato laboratorio di idee e proposte radicali. Aumentano coloro che riconoscono l’incompatibilità tra capitalismo e salute, tra capitalismo e futuro, offrendo spazi all’emergere di un immaginario, che mette all’ordine del giorno, come necessità di sopravvivenza, la rottura dell’ordine della merce.
Le lotte contro gli sfratti e per l’occupazione di spazi vuoti spesso non si limitano a cercare di sottrarre alcuni beni al controllo del mercato, ma negano legittimità alla nozione stessa di proprietà privata.
La fine delle tutele apre uno spazio – simbolico e materiale – per riprenderci le nostre vite, sperimentando i modi per garantirci salute, energia, cura degli anziani e dei bambini fuori e contro il recinto statuale. La scommessa è tentare percorsi di autonomia che ci sottraggano al ricatto del “peggio”, ai processi di servitù volontaria (leggi, ad esempio, lavori/tirocini/stage non pagati etc.), alla continua evocazione dell’apocalisse che abbatte chi non segue i diktat della politica nell’epoca del liberismo trionfante, della finanza anomica, della logica del fare per il fare, perché chi fa mette in moto l’economia, fa girare i soldi, “crea” ricchezza.
Sappiamo che questa logica “crea” solo macerie.
Lasciamo che Renzi e i suoi le spalino, noi abbiamo un mondo nuovo nei nostri cuori, nelle nostre teste, nelle nostre braccia.
Maria Matteo
(quest’articolo è uscito sul settimanale Umanità Nova)