Il diritto uguale di tutti ai beni e alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle cose, la ragion d’essere dell’insurrezione del 18 marzo e il programma della terribile associazione che le ha fornito un esercito.
(Inchiesta parlamentare sull’insurrezione del 18 marzo 1871)
I comunardi abolirono l’esercito – allora la ferma durava dai 3 ai 5 anni – e lo sostituirono con la Guardia Nazionale, una struttura armata popolare e volontaria:.
Fu proclamata la totale separazione dalla chiesa abolendo i privilegi degli ecclesiastici; le fabbriche abbandonate dai padroni furono gestite da cooperative di operai. Fu soppresso il lavoro di notte nei forni e abolita l’istituzione dei sensali del lavoro. Furono occupati gli appartamenti liberi e sospese le sentenze di sfratto e morosità. Furono rimessi ai depositanti tutti gli oggetti del Monte di Pietà che non avessero un valore superiore ai 25 franchi. Gli alti funzionari, come i giudici, erano eletti e la loro carica era revocabile in qualsiasi momento: il loro salario non doveva essere superiore a quello di un operaio qualificato. Venne soppressa ogni distinzione tra figli legittimi e naturali, tra sposati e conviventi, si sostenne l’uguaglianza e la libertà femminile.
La Comune di Parigi venne soffocata nel sangue nell’ultima settimana del maggio 1871. Decine di migliaia di fucilati e deportati.
Ma la memoria di quella ribellione, di quel tentativo cosciente di scrivere e vivere un storia altra, è memoria resistente. Una ribellione, la cui inattualità colpisce come un pugno nello stomaco, interrogandoci sulle miserie del nostro presente e sulle possibilità intatte che – basta volerlo – quell’esperienza ci offre ogni giorno.
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