Domenica 10 marzo ore 18. Il tam tam antinuclearista riferisce che il treno nucleare non dovrebbe passare questa notte.
È quindi probabile che la partenza sia lunedì 11 marzo in tarda serata.
Il condizionale è d’obbligo perché notizie “ufficiali” non ne filtrano. Secondo gli antinuclearisti francesi il treno è comunque fissato in questi giorni. Continued…
Treno nucleare. Forse parte lunedì notte
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– 10 Marzo 2013
Pisa. I profughi resistono ed occupano
La fine dell'”Emergenza nordafrica” è stata stabilita per decreto governativo il 28 febbraio.
Alla gran parte dei ventimila uomini e donne arrivati in Italia due anni fa è stato negato il diritto d’asilo, perché nonostante fuggissero una guerra, erano nati in uno dei tanti paesi dell’Africa subsahariana.
In questi giorni si sono moltiplicate le proteste di chi si è ritrovato in strada con cinquecento euro e un permesso umanitario di un anno.
I profughi di guerra accolti in una struttura della Croce Rossa a Pisa hanno deciso di resistere, occupando i prefabbricati, per ottenere il completamento di un percorso di inserimento mai intrapreso davvero dagli enti che hanno lucrato sui grandi fondi messi a disposizione dei profughi di guerra provenienti dalla Libia.
La risposta del comune è stata l’immediato taglio del gas. Nelle prossime ore probabilmente taglieranno anche acqua e luce.
I profughi sono decisi a non mollare.
Ne abbiamo parlato con Luca, un compagno del gruppo anarchico Kronstadt di Pisa, che con tanti altri, specie studenti, sta dando una mano nell’occupazione.
Ascolta la diretta realizzata dall’informazione di radio Blackout
10 marzo. Aggiornamento
L’8 marzo le istituzioni locali e il presidente della Croce Rossa Cerrai, durante un incontro con i migranti che non avevano abbandonato il campo di Via Pietrasantina – gestito dalla Cri locale fino al 28 febbraio – hanno ceduto ad alcune richieste dei ragazzi.
All’incontro c’erano anche alcuni attivisti di associazioni e collettivi pisani che hanno lottato fino ad oggi al fianco e con i ragazzi.
La Provincia e il Comune di Pisa hanno individuato ulteriori tirocini di inserimento lavorativo con le caratteristiche definite dal programma toscano “Giovani Sì” che prevede sei mesi con una borsa mensile di 500 euro.
Sul fronte della casa non sono state fatte proposte ma, alla fine dell’incontro, la CRI ha concesso ai profughi di restare nei propri container finché non fosse stata trovata una sistemazione migliore.
Ovviamente hanno però intimato agli italiani di lasciare il campo…
Sembra inoltre che la denuncia contro ignoti fatta dalla CRI verrà ritirata e non saranno staccate le utenze di luce e acqua come avevano annunciato il 7 marzo gli stessi funzionari dell’ente.
La lotta senza deleghe paga, non solo perché riesce a piegare le istituzioni, ma perché crea percorsi di autogestione per rispondere alle esigenze dei migranti e per innescare virtuose relazioni umane basate sull’appoggio mutuo e la solidarietà.
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– 9 Marzo 2013
Rigassificatore. Una bomba in mezzo al mare
La scelta di costruire in Italia una decina di impianti di rigassificazione, nonostante siano inutili, dannosi e pericolosissimi, è l’ennesimo furto di denaro pubblico per interessi privati che caratterizza le scelte dei governi degli ultimi 20 anni.
Cos’è esattamente un rigassificatore? Chi ci guadagna? Dove li stanno costruendo?
Interessante l’intervento di Maurizio Zicanu, del comitato “No rigassificatore” di Livorno.
Ascolta l’intervista realizzata dall’info di radio blackout
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– 8 Marzo 2013
In arrivo un altro treno di scorie
Il tam tam degli antinuclearisti ha fatto filtrare la notizia che nella notte tra domenica 10 e lunedì 11 o in quella tra lunedì 11 e martedì 12 passerà per il Piemonte un treno pieno di scorie nucleari.
Domenica 10 marzo ci sarà un appuntamento di informazione e lotta alla stazione di Avigliana dalle 21 in poi per una lunga notte antinucleare con musica, volantini, cibo condiviso.
Se il trasporto verrà rimandato il presidio slitta a lunedì 11 marzo sempre ad Avigliana, sempre alle 20.
Restate comunque in ascolto di Radio Blackout – 105.250 FM – per gli aggiornamenti sui treni e sugli appuntamenti. Domenica nel tardo pomeriggio avremo i primi aggiornamenti
Il prossimo sarà il quinto trasporto di scorie dal deposito “provvisorio” di Saluggia all’impianto di riprocessamento di La Hague.
Nell’ultimo anno, pur avendolo appreso pochi giorni o persino poche ore prima, gli attivisti contro il nucleare si sono dati da fare per far sapere a tutti che una bomba atomica viaggiava a pochi passi dalle loro case.
Ogni trasporto ha trovato numerosi attivisti lungo il percorso, che si sono messi di traverso, per rallentare il treno, nonostante la repressione poliziesca.
L’85% delle scorie radioattive prodotte in Italia sono concentrate a Saluggia, Trino vercellese e Bosco Marengo. Dopo venticinque anni dalla chiusura delle centrali nucleari italiane la questione delle scorie non è stata risolta. E non lo sarà mai, perché le scorie restano pericolosissime per la salute umana e per l’ambiente per decine di migliaia di anni.
In nessun paese al mondo c’è un sito definitivo per lo stoccaggio. Costi altissimi e l’opposizione delle popolazioni coinvolte hanno fatto sì che le scorie rimanessero nei pressi delle centrali.
I trasporti che stanno facendo a nostra insaputa sono diretti in Francia. Nell’impianto di La Hague, le scorie vengono “riprocessate” e poi rimandate in Piemonte. Radioattive e pericolose come prima, perché a La Hague si limitano ad estrarre il Mox, un combustibile per le centrali, e il plutonio. Il plutonio serve ad una sola cosa: fare le bombe atomiche.
Il sito di Saluggia non è sicuro: nell’ultima alluvione le falde sono state contaminate.
Se uno dei treni diretti in Francia deragliasse, se qualcuno lo scegliesse come obiettivo e lo facesse saltare, se ci fosse una scossa di terremoto – anche lieve – mentre attraversa il basso Piemonte, da Vercelli, attraverso Asti, Alessandria, la provincia di Torino e la Val Susa migliaia di persone rischierebbero la vita.
Ascolta la diretta con Lorenzo attivista antinucleare realizzata dall’informazione di radio Blackout
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– 7 Marzo 2013
Ti ricordi di Fatih?
Sabato 2 marzo, piazza Castello a Torino. Davanti alla prefettura ci sono due blindati, altri quattro sono piazzati davanti al Palazzo della Regione. Carabinieri in assetto antisommossa sono messi a guardia di quello spicchio di piazza. La digos occhieggia ma si tiene alla larga.
Gli antirazzisti piazzano una gabbia, un tavolino, due sedie, qualche cartello e un mazzo di carte.
La storia di Fatih, l’immigrato tunisino morto nel CIE – allora CPT – di corso Brunelleschi nella notte del 23 maggio 2008, non la ricorda più nessuno. Ne resta traccia solo nelle carte del tribunale che ha deciso di processare 67 antirazzisti, che non vollero che su quella morte senza senso calasse il silenzio.
Oggi, complice la Samba Band e una giornata di inizio primavera, quella storia è tornata a vivere per le strade del centro cittadino. Un po’ di teatro di strada, tanti volantini e tanta gente che si fermava, domandava, commentava.
La lunga agonia del giovane tunisino, nel nuovo CIE di corso Brunelleschi, è il fulcro della manifestazione.
In centro c’è sempre il corpo di Fatih, emblema delle migliaia di immigrati senza nome morti nelle intercapedini dei Tir, annegati in mare, precipitati da un ponteggio, annegati in una fogna, caduti da un tetto per sfuggire alla polizia, per fuggire alla deportazione. Fatih non è stato espulso, è stato lasciato morire senza alcuna cura. Intorno a lui i suoi compagni gridavano aiuto, inascoltati, diranno poi “come cani al canile”. Due giorni dopo il colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino, userà parole sprezzanti contro gli immigrati che avevano raccontato la morte di Fatih.
Baldacci è ancora oggi responsabile del CIE di Torino, dove fughe, autolesionismo, botte, lacrimogeni, incendi e rivolte sono storia quotidiana.
Da piazza Castello si va per via Garibaldi, in testa la samba poi la gabbia/CIE e un centinaio di antirazzisti. Ci si ferma davanti al palazzo del Comune, dove un plotone di carabinieri in assetto antisommossa difende il portone. Di lì si va al mercato di Porta Palazzo, attraversandolo tutto. Un’ultima sosta nella zona dove i rom vendono qualcosa. Al nostro arrivo le donne applaudono, gli uomini ci lanciano grida di incitamento.
Le lotte non si processano. Se la Procura credeva di poter chiudere le ragioni della lotta contro i CIE dentro un’aula di tribunale si sbagliava di grosso, perché oggi le abbiamo portate nel salotto della città, davanti ai palazzi della Regione e del Comune, per poi ritornare nella grande piazza del mercato, dove i tanti volti della Torino dei poveri, di quelli che faticano a campare si mescolano e si incrociano.
Il processo agli antirazzisti è cominciato mercoledì 27 febbraio. Rimandato per questioni tecniche ricomincerà il 30 maggio. Sul processo ascolta una diretta dal tribunale da radio Blackout
Qui qualche immagine della giornata:
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– 3 Marzo 2013
Il CIE nel salotto di Torino
Sabato 2 marzo
Presidio antirazzista itinerante
per portare il CIE in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello
“Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!”
Questo striscione è stato appeso davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino.
Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto.
La mattina dopo Fatih era morto.
Non venne eseguita nessuna autopsia.
Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito.
Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà “gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa”.
Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove.
Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un “cacerolazo”. Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni.
La protesta di persone indignate per una morte senza senso.
Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade.
I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale.
L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione.
L’occupazione simbolica dell’atrio del Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti.
Nel CIE di Torino la scorsa settimana la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Il giorno dopo un’altra sezione è stata data alle fiamme. Giovedì un immigrato è riuscito a evitare la deportazione salendo sul tetto.
Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all’espulsione sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell’Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un’urgenza che ci riguarda tutti.
Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, porteremo il CIE nel salotto di Torino.
Antirazzisti contro la repressione
Ti ricordi di Fatih?
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– 1 Marzo 2013
Profughi in strada. Finita la festa per il terzo settore
Il prossimo 28 febbraio è prevista la fine della cosiddetta “Emergenza Nordafrica”: migliaia di rifugiati in tutta Italia rischiano di finire in strada.
Nell’anno e mezzo trascorso dall’inizio del Piano di Accoglienza sono stati parcheggiati senza prospettive, tra incuria, assistenzialismo e mera carità.
Strutture in condizioni indegne, senza acqua calda e riscaldamento, persone stipate in posti sovraffollati, disservizi e malaffare sono il risultato della gestione emergenziale imposta da un governo che ha deciso di elargire un miliardo e 300 milioni di euro ad una miriade di associazioni del terzo settore, che hanno ampiamente lucrato sulle vite dei rifugiati non garantendo nulla di quanto previsto per loro sulla carta.
Ai rifugiati provenienti dalla Libia non è stata data alcuna opportunità di rendersi autonomi, indipendenti ed inserirsi nei nostri territori. Niente corsi di formazione, nessuna traccia dell’inserimento lavorativo, zero inserimento abitativo.
Dulcis in fundo, il ritardo con cui il Governo ha disposto il rilascio dei permessi di soggiorno ha letteralmente ingabbiato i rifugiati: senza permesso, senza carta d’identità, senza titolo di viaggio, senza quindi poter scegliere di restare, di lavorare, oppure di ripartire verso altre mete.
Ascolta l’intervista dell’informazione di radio Blackout a Gianluca Vitale, avvocato da sempre in prima fila sul fronte dell’immigrazione.
Blackout ha fatto un ulteriore approfondimento con Federico un compagno di Trieste che lavora in una onlus, una delle poche che non hanno partecipato alla grande abbuffata, i cui “ospiti” hanno tutti trovato una sistemazione in Italia o sono stati da tempo aiutati a raggiungere i paesi dove avevano scelto di vivere.
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– 26 Febbraio 2013
Migranti. Il buio oltre il filo spinato dei CIE
Per lunghi anni i governi di centro destra hanno giocato le proprie fortune sul tema del contenimento dei flussi migratori.
Entrare legalmente nel nostro paese è quasi impossibile: il meccanismo che rende clandestini è stato oliato con cura, messo al centro di una macchina tanto crudele quanto inutile.
Inutile perché il calo attuale dell’immigrazione è frutto della crisi e non della repressione.
Nell’ultima campagna elettorale il tema dell’immigrazione è pressoché scomparso, dimenticato, relegato nel limbo delle questioni che è meglio tacere.
Non conveniva parlarne al PDL e alla Lega che in tanti anni di governo hanno fallito tutti gli obiettivi dichiarati nella repressione della libertà di circolazione, non conveniva neppure al PD, la cui complicità attiva nella costruzione dell’apparato legislativo che ha imbrigliato le vite di migliaia di uomini, donne, bambini, non consentiva alcuna possibilità di smarcamento retorico, peraltro rischioso nella raccolta dei consensi. Non interessava neppure al M5S, il cui guru si è sin troppo spesso lasciato andare a dichiarazioni scopertamente razziste.
Oggi le condizioni di lavoro dei cittadini italiani, in regola con le carte, la cittadinanza, le residenza sono molto più vicine di un tempo a quelle degli immigrati, ricattati dalle leggi classiste che regolano l’ingresso nel nostro paese.
La condizione del lavoratore immigrato è stata modello per ridefinire le relazioni tra chi lavora e chi sfrutta il lavoro altrui. Oggi l’immigrato non è più un fantasma di cui avere paura, ma un poveraccio la cui condizione non è più tanto diversa dalla nostra.
La stessa macchina delle espulsioni si rivela sempre più inefficace. I CIE sono sempre meno luoghi di transito e sempre più luoghi in cui si sconta una pena che nessun tribunale ha sancito. Discariche sociali, nelle quali il fuoco della rivolta non sopisce mai del tutto.
D’altra parte dalla distruzione di Gradisca nel 2011 i governi hanno scelto la linea dura. Non ci sono più le camerate? Dormi in mensa! Non ci sono più materassi e coperte? Dormi per terra! Non ci sono più tavoli e sedie? Bivacchi sul pavimento!
Da allora le rivolte rivendicative hanno sempre più ceduto il passo alle sommosse per tentare la fuga. A Gradisca, l’ultima fuga è del 19 febbraio, quando in cinque si sono guadagnati la libertà, a Roma la resistenza alla deportazione di un giovane nigeriano ha fatto scattare una piccola sommossa. A Torino ci hanno provato senza riuscirsi il 23 febbraio.
Ormai, come raccontava qualche settimana fa una giovane avvocata, nel CIE di Torino “i materassi bruciano ogni notte”.
A Trapani come a Gradisca le fughe si susseguono alle fughe.
Anarres ne ha parlato con Marco Rovelli, autore di due libri sul lavoro migrante e i CIE, e con un attivista antirazzista triestino, Federico. Ascolta la diretta con Marco e quella con Federico
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– 25 Febbraio 2013
Fiamme al CIE di Torino
Sabato 22 febbraio. In prima serata alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le grate, ma vengono ripresi dalla polizia. La reazione degli altri prigionieri non si fa attendere: alcuni salgono sui tetti, altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La polizia spara tanti gas lacrimogeni da rendere l’aria irrespirabile anche nelle zone vicine al CIE.
Un gruppetto di solidali si raduna sotto il CIE ma viene caricato da una squadra dell’antisommossa aizzata da una delle vicine di casa del CIE, indignata per la rumorosa solidarietà degli antirazzisti. Nessun turbamento per le urla, il gas e la violenza della polizia oltre il muro.
Il giorno dopo quattro rivoltosi saranno arrestati e condotti in carcere.
Domenica 24 va a fuoco l’area gialla. 20 dei 35 reclusi sono obbligati a dormire nei locali della mensa.
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– 25 Febbraio 2013
Nella tana del Grillo. Il governo a 5 stelle di Parma
Il sindaco del M5S di Parma, Pizzarotti, venne eletto con la promessa di fermare l’inceneritore. Tante brave persone impegnate nei movimenti e stanche di dover subire scelte che arricchiscono pochi ed avvelenano, uccidono, derubano tutti gli altri diedero fiducia al Movimento 5 Stelle e gli delegarono la lotta contro l’inceneritore.
Il prossimo marzo, pochi giorni dopo la consultazione elettorale nella quale alla gente viene chiesta ancora una volta un delega in bianco sul proprio futuro, il nuovo inceneritore di Parma sarà inaugurato.
Sul fronte delle politiche abitative a Parma, dopo una ventata di speranza, i senza casa, gli sfrattati hanno scoperto che nulla era cambiato. La resistenza agli sfratti e il moltiplicarsi delle occupazioni abitative, che ha Parma ha una storia ultradecennale, era ed è ancora la sola prospettiva possibile per chi fatica ad arrivare a fine mese.
La giunta Pizzarotti ha fatto quello che l’amministrazione di centrodestra finita nel mirino della magistratura non era riuscita a fare. Aumentare le rette per gli asili nido, abolendo le detrazioni concesse ai figli dei detenuti. Solo la lotta dal basso ha bloccato un analogo provvedimento contro i genitori soli.
Chi si illude sulle scelte concrete dell’Italia in salsa M5S, si guardi nello specchio nero di Parma a cinque stelle.
Pare siano tante le brave persone che in Val Susa e altrove vogliono ancora una volta delegare il proprio futuro al guru di turno. Ancora una volta saranno i fatti a spazzare via le teorie, tuttavia in Val Susa c’è già una ricchezza che sarebbe stolto dissipare.
Chi ambisce al potere dice che solo lo Stato con la sua polizia, il suo esercito e il suo governo può fare funzionare la società.
L’esperienza di partecipazione della Val Susa dimostra il contrario.
Le assemblee popolari, i presidi di lotta, i comitati di paese, le Libere Repubbliche di Venaus e della Maddalena sono un piccolo grande esempio di autogoverno popolare. In tanti anni tra un pranzo condiviso e una barricata in tanti abbiamo imparato a costruire spazi politici non statali. La politica dal basso, fatta di confronto e di ricerca paziente dell’accordo tra tutti, è la sola strada possibile perché le decisioni siano condivise, perché prevalga davvero il bene comune contro la logica del profitto e del comando.
In una rete di assemblee popolari federate e solidali si coniugano libertà e organizzazione.
Ascolta la diretta con Cristian, un compagno della rete “Diritti in casa” di Parma
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– 24 Febbraio 2013
Libertà o voto?
Il grande rito elettorale è ormai in corso. Sui media impazzano le previsioni, si fanno i possibili scenari, si calcolano le alleanze possibili.
Nella concretezza della vita quotidiana la democrazia reale si mostra sempre più per quello che è: un sistema di ricambio tra elite che hanno perso in buona parte il controllo dei propri sudditi e non hanno altro modo per mantenerne il simulacro che l’adozione di politiche rigidamente disciplinari per imporre scelte fatte nei non luoghi della governance mondiale, tra banca mondiale, fondo monetario internazionale, banca europea.
Persino la tensione moralizzatrice si scontra con un sistema di corruttela che, al di là del malaffare diffuso nel ceto politico, investe nel profondo l’intera società.
Oggi più che mai non vi sono margini di correzione dall’interno del sistema. La pratica dell’esodo conflittuale, che mette in campo la sottrazione all’istituito e la lotta contro di esso offre una prospettiva che può coniugare la spinta alla distruzione dell’esistente con la necessità di esperire nell’oggi relazioni egualitarie e libere.
Anarres ne ha discusso con Salvo Vaccaro. Ascolta la registrazione della chiacchierata
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– 24 Febbraio 2013
Torino. Striscione a casa Baldacci
Sabato 23 febbraio. Nel primo pomeriggio un gruppo di antirazzisti ha fatto visita alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare del CIE di Torino. Davanti alla villetta di via Zandonai 8 a Chieri è stato steso uno striscione con la scritta. “Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!”.
La foto che correda il testo è stata scattata da un reporter di passaggio.
Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE (allora CPT) di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto.
Dichiareranno ad un giornalista “gridavamo come cani al canile, senza che nessuno ci ascoltasse”.
La mattina dopo Fatih era morto.
Non venne eseguita nessuna autopsia.
Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito, nessuno gli ha garantito alcuna cura.
Due giorni dopo il colonnello e medico Antonio Baldacci dichiarerà “gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa”.
Parole che non meritano commento, perché ricordano sin troppo bene quelle degli aguzzini di ogni dove.
Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò alla casa di Baldacci per un “cacerolazo”. Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni.
Una normale protesta di persone indignate per una morte senza senso.
Oggi quella protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade.
Nel CIE di Torino le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all’espulsione sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell’Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un’urgenza che ci riguarda tutti.
Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, porteremo il CIE nel salotto di Torino.
La prima tranche del processo va in scena mercoledì 27 febbraio ore 9 in aula 46 del tribunale di Torino.
Sabato 2 marzo “Il CIE nel salotto della città” presidio itinerante per il centro cittadino. Appuntamento alle 15 in piazza Castello
Antirazzisti contro la repressione
Ti ricordi di Fatih?
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– 23 Febbraio 2013
Grillo, Pinocchio e gli altri
Tra lo spettacolo della politica e la politica spettacolo si sta consumando l’ultima campagna elettorale.
Anarres l’ha seguita con tre lunghe chiacchierate con Pietro Stara, Stefano Capello e Francesco Carlizza realizzate in altrettante puntate della trasmissione.
Ve le proponiamo assieme ad un articolo di prossima uscita sul settimanale Umanità Nova.
Ascolta l’intervento di Pietro,
quello di Stefano e di Francesco.
Interassante anche l’intervista a Massimo Varengo, nell’ambito dell’informazione di RBO.
Qui il manifesto antielettorale della FAI. Qui quello della FAT
Monti ha chiamato l’esperto di immagine di Barack Obama per una consulenza sulla propria campagna elettorale. Da allora lo stile del professore è cambiato: messe da parte le vesti del tecnico autorevole e pacato, ha indossato i panni del leader responsabile ma deciso, che ha un percorso proprio e nessuna alleanza precostituita.
Con buona pace del PD che ha finito con il recitare la parte del fidanzato cornuto e geloso che non può fare a meno dell’amata. Un stile che non attira certo i voti. L’esperto di comunicazione di Bersani non è certo all’altezza di quelli di Monti. I manifesti elettorali in stile vecchio apparatnik su sfondo grigio topo portano sfiga solo a vederli.
Meglio, decisamente meglio, Berlusconi, che tira fuori tutto il proprio repertorio di gag, frizzi e lazzi, sparandole sempre più grosse ma toccando in una frase il cuore di tanti. La restituzione dell’IMU è come la lotteria: tutti sanno che vincere è improbabile, ma la sola possibilità fa vendere milioni di biglietti.
Maroni e i suoi arrancano ma non sono da meno. Hanno riaperto i cassetti e sparato tutte le vecchie cartucce. Promettono di tagliare le tasse e di aumentare le pensioni, rispolverano il federalismo fiscale hard. Fanno una campagna vecchio stile. I consiglieri comunali bolognesi fanno pulizia (etnica) all’ospedale di Bologna, Maroni fa finta di non essere stato al governo sino a ieri.
Un miraggio è meglio del conto dal droghiere, delle bollette da pagare, del lavoro che non c’è, della precarietà che è meglio del nulla.
Per gli ammalati di nuovismo, forse la più grave delle malattie novecentesche, l’offerta varia tra giustizialisti populisti e giustizialisti d’antan.
Il Grillo urlante sogna un Berlusconi/Pinocchio trascinato via dai carabinieri, a Ingroia i panni del giudice stanno sin troppo bene: non deve certo far fatica a entrare nel personaggio.
Sin qui il marketing. Ossia il 90% di quello che c’é.
Continued…
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– 20 Febbraio 2013
La banca del papa. Segreti e veleni
Se qualche genio della consolle ne facesse un gioco, sarebbe una storia di veleni, pugnali e soldi. Roba violenta e crudele.
La storia dell’Istituto per le Opere di Religione, meglio noto come IOR, fornirebbe abbondanti spunti a qualunque creativo.
Lo scontro nello IOR e per lo IOR divenne esplicito nel maggio scorso quando Ettore Gotti Tedeschi, l’uomo voluto da Ratzinger alla guida della banca dei papi venne obbligato alle dimissioni. Da allora i rapporti tra Joseph Ratzinger e il suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, non sono più stati gli stessi. Il papa è arrivato a congelare Bertone, senza tuttavia rimuoverlo.
La vicenda dello IOR ha probabilmente influito sulla decisione di Ratzinger di indossare le vesti di Pietro da Morrone, preferendo un fine partita da Celestino V ad uno da Bonifazio VIII.
Pochi giorni dopo l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, la partita sullo IOR, bloccata da mesi, ha avuto una brusca accelerazione. Bertone è in scadenza come il papa: dalle 20 del 28 febbraio la sua carica decadrà. Il cardinale doveva quindi agire in fretta.
In 24 ore si consuma il giallo della nomina subito smentita del banchiere belga De Corte, ed infine la designazione del tedesco von Freyburg. Nel gioco di equilibri che caratterizza le decisioni all’ombra del Vaticano ci vorrà tempo per una completa decodifica degli avvenimenti di questi giorni, tuttavia lo scontro di potere è tanto violento da far scorgere a tratti la trama che lo sottende.
La nomina del prossimo papa ci dirà chi ha vinto in questo scontro tra titani.
Siamo tuttavia convinti che il pastore tedesco, anche se ha indossato le vesti dell’agnello Celestino, possiede robusti artigli da Bonifazio.
Ne abbiamo discusso con Paolo Iervese, un vaticanista la cui voce è molto nota a radio Blackout.
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– 20 Febbraio 2013
Memoria di Stato
L’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia coloniale, con il fascismo, con la guerra in Jugoslavia, in Grecia, in Africa. Il mito degli “italiani brava gente”, assunto in modo trasversale a destra come a sinistra, fonda il nazionalismo italiano, un nazionalismo che si nutre di un’aura di innocenza e bonarietà “naturali”.
In Italia la memoria è la prima vittima del nazionalismo, che impone una sorta di memoria di stato, che diviene segno culturale condiviso. Una sorta di marchio di fabbrica. Si sacrificano le virtù eroiche ma si eleva l’antieroismo dei buoni a cifra di un’identità collettiva.
Peccato che sia tutto falso. Falso come i fondali di cartone dei film di qualche anno fa. Eppure, nonostante le ricerche storiche abbiamo mostrato la ferocia della trama sottesa al mito, questo sopravvive e si riproduce negli anni.
La gestione delle giornate della “memoria” e del “ricordo” assunte in modo bipartisan dalle varie forze politiche ha contribuito ad alimentare questa favola rassicurante, impedendo una riflessione collettiva che individuasse nei nazionalismi la radice culturale del male.
Vi proponiamo di seguito un’intervista allo storico triestino Claudio Venza, realizzata dall’informazione di radio Blackout in occasione giornata del ricordo di quest’anno.
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Di seguito l’articolo scritto da Venza per il settimanale anarchico Umanità Nova in occasione della giornata del ricordo del 2007.
Tra i puntelli di un apparato burocratico e mediatico, economico e militare, si colloca anche un dato culturale: la Memoria di Stato. Una Memoria che unifica il ricordo del genocidio di milioni di ebrei nei lager nazisti con quello di una violenza molto più circoscritta e di significato profondamente diverso. Nel 2000 la sinistra aveva cantato vittoria per la Giornata della Memoria del 27 gennaio, nel 2004 è il turno della destra che fissa il 10 febbraio quale giornata del Ricordo delle foibe e gode della indubbia conquista politica e mediatica.
Ovviamente i vertici dello Stato cercano di istituire una assonanza tra due eventi incomparabili e usano parole di convenienza che mirano ad un fine ben preciso: sacralizzare l’identità nazionale. E ciò emerge in modo plateale proprio nel secondo tempo di questo indigesto film dai toni tricolorati e dalla regia istituzionale.
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– 19 Febbraio 2013