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Vive la France! Nuova espulsione di No Tav: cronache di ordinaria democrazia

Secondo la Prefettura della Savoia noi “rappresentiamo una minaccia per l’ordine pubblico in Francia, per esserci opposti in maniera reiterata e illegale alle autorità del nostro paese, in occasione delle manifestazioni connesse alla lotta e all’opposizione alla costruzione del collegamento ad alta velocità tra Torino e Lyon” Questo è l’incipit del decreto che ci è stato consegnato oggi al commissariato di Modane dal capitano Stéfane Queval.
Più sotto c’è un lungo elenco di reati che avremmo commesso tra il 2009 e il 2012.
Entrambi avremmo più volte turbato l’ordine pubblico, occupato terreni, fatto danneggiamenti, bloccato pubblici servizi. Uno di noi avrebbe anche rubato e fatto violenza privata.
Bastano tanta fantasia e due righe su un fax ed il gioco è fatto.
Due righe inviate dalla polizia italiana, che bontà sua, il capitano Queval ci mostra, bastano a decretare la nostra espulsione. Il governo francese non vuole permetterci di manifestare domani a Lyon.
Continued…

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Ospedale Valdese. La frangia violenta

Sabato 1 dicembre. A S. Salvario sono pochissimi i negozi che non espongono la locandina del corteo contro la chiusura dell’ospedale Valdese di via Silvio Pellico. Il governo regionale parla di razionalizzazione e diversificazione delle strutture sanitarie sul territorio ma nel quartiere e in città nessuno ci crede. Cosa c’è di razionale nel chiudere le sale operatorie sulle quali è stato appena fatto un investimento milionario? Quale razionalità nel chiudere la maternità o gli esami per la prevenzione dei tumori al seno? La sola razionalità è quella delle lobby legate alla giunta Cota, che va avanti come un treno nel progetto di mega città della salute a discapito dei presidi sanitari sul territorio. Sabato sulle pareti del Valdese vengono proiettate le immagini dei seni di decine di donne che hanno voluto così rappresentare la loro indignazione per l’eliminazione di un servizio prezioso.
Sul carrozzone della protesta sta cercando di saltare anche la giunta Fassino e il PD, nonostante la politica dei tagli e la nascita della città della salute siano stati voluti dalla giunta regionale guidata dalla democratica Bresso, che ha fatto da apripista al leghista Cota.
Davanti al Valdese sabato mattina, nonostante la pioggia battente c’è molta gente. Parlano in tanti, compresi esponenti dell’area istituzionale cittadina, che protestano per le bandiere No Tav, che svettano in mezzo alla strada, non lontane da quelle rosse e nere degli anarchici. La reazione dei manifestanti non si fa attendere: diversi tirano fuori i fazzoletti o le bandiere con il treno crociato e li mettono bene in vista.

Poi si va. In programma c’era un giretto stretto stretto dell’isolato che non disturbasse nessuno. Ma la protesta dilaga subito. In corso Massimo un gruppo di mamme con i loro bambini e bambine fanno da apripista, invadendo la corsia principale di uno dei corsi più trafficati della città. I pochi poliziotti e carabinieri sono presi alla sprovvista e riescono a malapena a deviare il traffico. La mattinata prosegue con altri blocchi per il quartiere. All’ultimo, poco prima di piazza Madama, rispuntano i diessini che provano a spingere via dalla strada i manifestanti, blandendoli con chiacchiere tanto mielose quanto inutili. Una delle mamme con due bimbe scuote la testa e dice “ma non lo vedi che noi siamo la frangia violenta”?

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No Tav. Quando le frontiere si ri-chiudono

Niente più barriere e dazi, libera circolazione. È lo slogan che accompagna la nascita dell’Europa dei mercati e delle banche. Uno slogan che ha finito con il nutrire l’illusione che anche le frontiere che avevano diviso per secoli gli esseri umani fossero cadute.
Le migliaia di morti nei mari che circondano l’Europa sono il tragico emblema di un’Europa fortezza, chiusa verso chi non ha avuto la fortuna di nascervi.
L’Europa non è nemmeno casa comune per chi ci è nato. Le vecchie dogane, i posti di controllo che in genere superiamo senza fermarci né essere fermati tornano a chiudersi quando i governi decidono di impedire la protesta, il dissenso, la manifestazione della proprie idee. Gli uomini della polizia si schierano di fronte a chi nella libertà, quella vera, quella che si nutre di solidarietà, mutuo appoggio, eguaglianza, quella che si costituisce nel reale accesso di ciascuno alle decisioni, ci credono davvero.
Così capita che un minipullman carico di No Tav venga fermato all’uscita del tunnel del Frejus, sequestrato per ore, mentre buona parte degli occupanti, in maggioranza anziani, sono lasciati ad attendere al freddo. Altri tre – compreso l’autista – vengono torchiati e poi espulsi per tre giorni dalla Francia, con accuse tanto fantasiose quanto inventate.
Poco importa che quel pullman fosse diretto ad un convegno organizzato dalle componenti più moderate del movimento francese e italiano, quello che contava era dare una segnale. Nessuno deve mettersi in mezzo nell’Europa delle banche e degli affari: lunedì a Lyon si incontreranno Monti ed Hollande per discutere della nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon.
Ospiti non invitati partiranno alla volta di Lyon anche i No Tav: dieci pullman e tante auto.
I 130 poliziotti in più piazzati a Modane, dopo la decisione francese di sospendere per tre giorni il trattato di Schengen sulla libera circolazione, non spaventeranno certo un movimento abituato a lottare contro il filo spinato che cinge il fortino dell’arroganza e degli affari. Anzi!

L’appuntamento è per le 12 di lunedì 3 dicembre in place Brotteaux a Lyon.

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Egitto. La rivolta contro il nuovo faraone

Mohamed Morsi ha profittato del prestigio ottenuto con la mediazione della tregua tra Israele e Gaza per assumere pieni poteri. La nascita di un nuovo faraone ha fatto scattare la rivolta contro i fratelli mussulmani nei principali centri urbani dell’Egitto.
Un colpo di coda della primavera araba prima della definitiva normalizzazione?
Molto dipenderà dalla capacità di mediazione di Morsi, anche in vista del referendum sulla “nuova” costituzione basata sulla sharia. Libertà formali e diritti umani rischiano, come già nella Tunisia governata da Hennada, di essere le prime vittime del nuovo corso arabo.
Le prime a farne le spese sono le donne, che pure si sono battute per ottenere i riconoscimenti che la democratura di Ben Alì gli ha concesso ed ora stanno, poco a poco, perdendo.
In qualche modo capita che la libertà femminile e, in genere individuale, la tutela dei diritti umani divengano vittime della retorica occidentale che ne ha fatto vessilli di guerra.
D’altro canto in nordafrica la parola è ancora alla politica, nel senso comune del termine, mentre in occidente prevalgono meccanismi di governance sovranazionale.
Ne abbiamo discusso con Salvo Vaccaro dell’Università di Palermo.
Ascolta l’intervista
scarica l’audio

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Ripreso il presidio di Chiomonte

Siamo tanti, tanti che la piazzetta di Chiomonte non ci contiene. Alcuni di noi vengono dal presidio di Torino, dove circa 300 persone hanno dato vita ad un corteo per il centro.
I carabinieri che bloccavano via Roma, la strada che scende in località Gravela, dove c’è la casetta del presidio sequestrata e sigillata nelle prime ore del mattino dalle forze del disordine, se ne vanno.
Il serpentone dei No Tav scende veloce verso il presidio. Sul ponte sulla Dora c’è un discreto schieramento di polizia con tanto di idrante che non manca di innaffiare le prime file dei manifestanti. In montagna le strade sono tante e i No Tav le conoscono tutte. Il presidio viene raggiunto aggirando i militari schierati all’ingresso dell’area.
Poi si tratta di lavorare di lena per liberare la nostra casa comune, una delle tante che il movimento ha costruito in Valle a presidio del territorio, per coordinare la resistenza e per condividere momenti di festa e di gioco.
Le truppe si ritirano dietro i cancelli del check point della centrale. Al presidio si fa assemblea.
LTF oggi ha annunciato in pompa magna di aver cominciato lo scavo. Lunedì Monti potrà raccontare a Hollande che il primo cantiere per la Torino Lyon mai aperto in territorio italiano ha cominciato i lavori.
Ci sono voluti vent’anni. Da quando hanno deciso di usare la forza hanno impiegato un anno e mezzo. In quest’anno e mezzo i No Tav gli hanno fatto sudare ogni momento, contrastando attivamente l’avvio del cantiere. Il ministero dell’Interno ha impiegato migliaia di uomini in quest’angolino di montagna, spendendo centinaia di migliaia di euro, la zona è stata dichiarata di interesse strategico militare e vi prestano servizio i reduci dalla guerra in Afganistan.
In questi mesi ci hanno gasati e bagnati, hanno spaccato teste e braccia, hanno arrestato e processato tanti di noi. Su di noi hanno raccontato infinite menzogne, sono arrivati all’infamia di dire che siamo cattivi genitori, segnalando le famiglie No Tav ai servizi sociali.
Noi abbiamo la testa dura e le gambe ben salde in terra. Non ci siamo mai fatti spaventare, nemmeno quando la paura ci faceva battere forte il cuore.
Monti tutto questo a Hollande non potrà spiegarlo.
Lunedì 3 dicembre a Lyon ci saremo anche noi.
Appuntamento alle12 in place Brotteaux

Venerdì 30 novembre
Assemblea contro la repressione
interverranno gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini di Milano e alcuni imputati nei processi No Tav e antirazzisti
ore21 in corso Palermo 46

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No Tav. Arresti, perquisizioni, sgomberi

Giovedì 29 dicembre. L’ultima puntata è di questa mattina. Perquisizioni e arresti per 19 attivisti contro la Torino Lyon sono scattate all’alba: a nove sono state imposti i domiciliari, ad altri 4 il divieto di dimora, a sei l’obbligo di firma.
Nel mirino della magistratura due episodi della lotta No Tav degli ultimi mesi. Il primo risale allo scorso 29 marzo, quando i No Tav resistettero per tre giorni sull’autostrada al Vernetto di Chianocco, dopo lo sgombero della baita e la caduta di Luca dal traliccio. In quell’occasione alcuni No Tav contrastarono una “troupe” televisiva che filmava esibendo un lampeggiante blu come quelli della polizia.
Il secondo episodio risale allo scorso agosto, quando venne occupata simbolicamente la sede della Geovalsusa, una delle ditte collaborazioniste nei lavori della Torino Lyon. Fu uno dei tanti momenti della campagna “c’è lavoro e lavoro”
In contemporanea i carabinieri hanno attaccato il presidio di Chiomonte, demolendo la casetta su strada dell’Avanà e ponendo i sigilli alla casetta lungo la Dora, che gruppi di operai della ditta Effedue di Susa difesi dalla polizia hanno chiuso con jersey e sbarre elettrosaldate.

Un’operazione a orologeria nello stile abituale della Procura di Torino. A tre giorni dalla manifestazione di Lyon in occasione del vertice tra Monti e Hollande sulla Torino Lyon. Monti porterà al suo collega francese le foto dei lavori in Clarea e il fascicoli della procura.
Basteranno a cancellare il parere negativo della corte dei conti francese?
Forse sì, forse no. In fondo il disciplinamento dei movimenti contro la devastazione ambientale è interesse comune dei due governi attivamente impegnati a chiudere i conti con chi non ci sta.
I No Tav, sebbene non invitati, hanno deciso che non possono mancare all’appuntamento.
Un’occasione in più per mostrare a Monti e Hollande che il movimento non si arrende alla loro violenza. Anzi!

Prossimi appuntamenti:
Giovedì 29 novembre
presidio solidale a Torino
ore 18 in piazza Castello

ore 20, 30
presidio in piazza del comune a Chiomonte

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Venerdì 30 novembre
Assemblea contro la repressione
interverranno gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini di Milano e alcuni imputati nei processi No Tav e antirazzisti
ore 21 in corso Palermo 46

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Lunedì 3 dicembre
Manifestazione No Tav a Lyon
in occasione del vertice Monti/Hollande
ore 12 Place Brotteaux

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Gaza. La guerra è finita, l’assedio continua

La tregua siglata due giorni fa tra il governo di Gaza e quello israeliano pone termine ai massacri dell’ultima settimana, ma non all’assedio cui sono sottoposti gli abitanti della Striscia.
Gli Stati Uniti consegnano all’Egitto il ruolo di potenza regionale e il governo Morsi ne approfitta per prendersi una buona fetta di poteri. L’opposizione laica e liberale reagisce riempiendo le piazze ed attaccando le sedi del partito di Morsi.
Anarres ne ha parlato con Salvo Vaccaro, docente all’Università di Palermo.
Ascolta l’intervista
Scarica l’audio

La partita che si è giocata negli ultimi giorni sulla pelle di una popolazione stremata dall’embargo non è stata tanto determinata dall’imminente scadenza elettorale in Israele, quanto dalla volontà di spezzare il legame tra Hamas e l’Iran. Nei fatti, al di là della retorica sulla fratellanza araba, i palestinesi non ricevono alcun supporto materiale o militare dai paesi arabi. Hamas ha potuto riarmarsi solo grazie all’appoggio di un paese non arabo e non sunnita come l’Iran.
D’altro canto i palestinesi, specie i profughi, sono sempre stati una spina nel fianco per i paesi vicini.
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Ogni mese è previsto un treno nucleare in Piemonte. Ma nessuno lo sa. Perché?

Il tam tam degli antinuclearisti ha fatto filtrare la notizia che forse già la prossima settimana passerà per il Piemonte, un treno pieno di scorie nucleari.
Questi “viaggi” sono tenuti nascosti alla popolazione. Non ci dicono quando passano, da dove passano, non ci informano sui rischi in caso di incidente. Temono che, se sapessimo, ci ribelleremmo.
Per saperne di più ascolta l’intervista che Anarres ha realizzato con l’attivista No Nuke Lorenzo Bianco.

Torino. Sabato 24 novembre
punto informativo sui treni nucleari in Piemonte
ore 10/13 al Balon – via Borgodora angolo via Andreis

Il prossimo sarà il quarto trasporto di scorie dal deposito “provvisorio” di Saluggia all’impianto di riprocessamento di La Hague.
Nell’ultimo anno, pur avendolo appreso pochi giorni o persino poche ore prima, gli attivisti contro il nucleare si sono dati da fare per far sapere a tutti che una bomba atomica viaggiava a pochi passi dalle loro case.

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Processo ai No Tav o processo alla Procura?

Mercoledì 21 novembre. Circa 150 No Tav presidiano il tribunale con bandiere e striscioni. È il primo giorno del processo ai 45 attivisti rinviati a giudizio per la resistenza allo sgombero della Maddalena e per la giornata di lotta del 3 luglio 2012.
L’aula dove è fissata l’udienza è una di quelle piccoline piccoline, la numero 46. Non ci stanno nemmeno gli avvocati, figurarsi gli imputati e i solidali che, in tanti, vorrebbero assistere al processo, cogliendo l’occasione per salutare Maurizio, Alessio e Juan, i tre No Tav ancora privati della libertà dal 26 gennaio scorso.
Subito scoppia la bagarre, finché il giudice si decide a trasferire l’udienza in un’aula più grande, la numero tre. Nemmeno questa basta a contenere tutti, quelli della penitenziaria fanno cordone davanti alla gabbia per i detenuti. Ci vuole una buona mezz’ora prima che, in un’aula stipatissima, dove tutte le regole formali, tutte le divisioni fisiche sono saltate, con gli imputati mescolati al pubblico e agli avvocati, vengano fatti entrare i due detenuti, accolti da un applauso e dal grido “libertà”!
Il giudice non guarda in faccia nessuno, quasi fatica a fare l’appello, accoglie di fretta alcune eccezioni procedurali e rimanda tutto al 21 gennaio. Poi comunica il calendario delle udienze: oltre venti entro maggio, mese nel quale ne sono fissate ben 5. Una marcia a tappe forzate, per arrivare presto alla conclusione, per dare una lezione ad un movimento vivo e forte, che non si è piegato ad un anno e mezzo di occupazione militare, alle violenze della polizia, ai gas velenosi.
La Procura di Torino vuole un processo esemplare, un processo che divida i buoni dai cattivi, che separi i violenti dai non violenti.
Ha fatto male i propri conti perché il movimento No Tav, è sempre più unito dalla consapevolezza che non si vince se non mettendosi in mezzo, violando le zone rosse, tagliando le reti, bloccando gli accessi alle ditte collaborazioniste, chiudendo la via maestra delle truppe di occupazione.
Qualcuno tira sassi, altri non li tirano: tutti però hanno scelto di violare leggi messe a difesa di un ordine ingiusto, un ordine che difende chi devasta e depreda il territorio e le risorse, un ordine che perseguita chi lotta in difesa dell’ambiente e per la giustizia sociale.
Oggi, nell’aula 3 del tribunale di Torino, mentre il giudice chiudeva l’udienza e i secondini di preparavano a portare via i due No Tav in gabbia, l’aula si è riempita del grido “giù le mani dalla Val Susa!”. Decine di mani si sono allungate verso la gabbia, mani diverse, anime diverse di un movimento che, facendo della propria diversità una ricchezza, sa unirsi nella solidarietà.
È cominciato il processo ai No Tav o quello alla Procura di Giancarlo Caselli?

Ascolta le dirette della mattinata da radio blackout

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Processo al movimento No Tav. Analisi di un paradigma repressivo

Il 21 novembre comincia a Torino il processo ai No Tav sotto accusa per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. e per la giornata di lotta del 3 luglio 2011.
I No Tav faranno un presidio al tribunale dalle 9.
Dei trenta arrestati il 26 gennaio, due, Maurizio e Alessio, che non hanno fatto richiesta di misure alternative, restano in carcere, Juan è invece ai domiciliari: tutti è tre hanno deciso di rinunciare alla difesa in tribunale, ricusando i propri avvocati. Degli altri imputati, uno è già uscito dal processo, patteggiando un anno, gli altri 42 hanno deciso di andare a dibattimento. Il processo si apre il 21 novembre ma entrerà nel vivo solo all’inizio del prossimo anno.
La procura vuole delle condanne esemplari, dure, per intimorire un movimento che non fa passi indietro nemmeno di fronte al dispiegarsi della violenza di Stato. Per la prima volta da tanti anni questo processo, così come gli altri che investono il movimento contro la Torino Lyon, avviene contro un movimento vivo. Non è quindi un semplice atto di vendetta da parte dello Stato, ma parte integrante dello scontro sulla Torino Lyon.
Sarà importante quanto accadrà in aula, sarà altrettanto importante quello che avverrà per le strade della Val Susa e del resto d’Italia.
In questi giorni sono stati recapitati numerosi rinvii a giudizio nei confronti dei No Tav che parteciparono attivamente alla campagna contro i sondaggi dell’inverno 2010. Il 4 febbraio andranno alla sbarra 28 No Tav. Nel mirino della magistratura la giornata di resistenza alle trivelle del 26 gennaio 2010 in via Amati a Venaria.
L’accusa è di aver bloccato in strada il camion con le luci per la trivella, che ha ritardato di quattro ore. Il reato è “violenza privata”, un reato che prevede la pena massima di quattro anni.
Nel frattempo la Procura prova a colpire i ragazzi del movimento ingiungendo di presentarsi ai servizi sociali. L’accusa? Un ragazzino di 14 anni è “colpevole” di aver distribuito volantini. No Tav, ovviamente!

Per capirne di più del paradigma repressivo che investe il movimento No Tav Anarres ne ha parlato con Eugenio Losco, avvocato milanese che difende diversi imputati.

Ascolta l’intervista

Scarica l’audio

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Fotografi un poliziotto? Ti sequestrano per ore e ti accusano di rapina e resistenza

Sabato 17 novembre. I No Tav che, come ogni mattina fanno colazione davanti al check point della centrale, pescano un tizio in borghese che scatta foto al presidio, chiedendogli spiegazioni. Lui nicchia, fa spallucce, poi dichiara di essere incaricato dalla Procura: si guadagna qualche insulto ma non viene toccato. Un compagno di Vaie, Andrea, gli scatta a sua volta qualche foto. Dopo che se ne è andato sulla sua auto e con la sua macchina foto, arrivano i carabinieri che fermano Andrea e un altro compagno, Claudio. Li portano nel fortino e li obbligano per sette ore a stare in piedi su un gradino senza potersi sedere, poi vengono separati e portati via. Verranno rilasciati solo in tarda serata. Andrea viene denunciato per tentata rapina aggravata e resistenza aggravata, Claudio, siccome rifiuta di rispondere alle domande, viene denunciato per favoreggiamento.
Inutile dire che i giornali del giorno dopo racconteranno ben altra storia, usando la neolingua ormai abituale tra i giornalisti.

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Le basi della guerra

L’Italia è in guerra. Lo chiamano “peace keeping” ma è guerra. Là, in Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
Raccontano la guerra nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma la quotidianità è un’altra: i militari italiani combattono tutti i giorni, senza troppi riguardi per la popolazione inerme.
Usano bombardieri AMX e elicotteri d’attacco Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco un intero villaggio. Giocattoli prodotti a due passi da casa nostra: gli AMX li fa l’Alenia di Torino e Caselle.

I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno.
La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei novanta cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra parte del mondo. Il bilancio della difesa è in costante aumento: soldati in strada, missioni all’estero, finanziamento per nuovi sistemi d’arma costano una montagna di soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record del costo più alto per i cittadini. La spesa militare complessiva si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Cifre da capogiro.
La nostra penisola è una sorta di gigantesca portaerei proiettata nei vari teatri di guerra: Basi militari italiane, Nato e statunitensi si trovano in ogni angolo della penisola.
Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi.

Anarres ne ha parlato con Stefano Raspa del comitato contro Aviano2000

Ascolta il suo intervento Ascolta il su intervento

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N14 a Torino. Una piazza di studenti, pochi i lavoratori

Le piazze del 14 novembre sono state segnate da una importante presenza di studenti, soprattutto delle medie superiori, decisamente minoritaria è stata la partecipazione dei lavoratori. La cifra del 14 novembre sotto la mole è la medesima del resto d’Italia: tanti studenti e, per la prima volta, sono in tanti i ragazzi dei tecnici e dei professionali, una discreta presenza di insegnanti, qualche gruppo di precari e qualche manciata di operai.
Tarda a compiersi la saldatura tra lavoratori e settori giovanili di studenti e precari, complice la debolezza e le frammentazione in chiave competitiva del sindacalismo di base.
Significativa invece la saldatura con il movimento No Tav, le cui istanze sempre più si intrecciano con quelle di chi si vede sottrarre servizi e posti di lavoro per la realizzazione di grandi opere inutili e devastanti. L’occupazione della Provincia con i mobili accatastati in strada è l’emblema di una lotta che, pur nella propria simbolicità, esprime un forte rigetto delle logiche istituzionali, dando una risposta chiara al presidente della provincia che aveva minacciato il taglio del riscaldamento nelle scuole.
Ascolta l’intervista rilasciata all’informazione di radio Blackout da Stefano Capello della Cub scuola.

Ascolta la chiacchierata con anarres di Pietro Stara

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N14 in Spagna. Huelga general

In Spagna l’N14 è stato un giorno di lotta importante.
Di seguito l’articolo con il link all’intervista realizzata da Radio Blackout

Lo sciopero europeo contro le politiche di austerità dell’UE ha bloccato le attività produttive e i servizi di un paese, dove sono più di sei milioni i disoccupati, e dove, specie nelle periferie, la crisi lascia il segno.
Numerosissimi i blocchi e i picchetti attuati di fronte ai supermercati, oltre all’occupazione dei depositi di tram e autobus.
Imponenti e conflittuali i cortei che hanno attraversato le principali città spagnole. Dura la repressione poliziesca: numerosissimi i fermati e gli arrestati. Segno che, anche in Spagna, la politica del manganello è la sola risposta alle questioni sociali.
In Spagna il sindacalismo libertario e di base ha un radicamento molto forte e sa esprimere le istanze sempre più radicali di lavoratori, disoccupati e precari stanchi di pagare la crisi dei padroni.
Una curiosità: la decisione dei tassisti anarchici di fare corse gratuite per i manifestanti che dovevano raggiungere i vari cortei.
Ascolta sul sito di radio Blackout l’intervista a Claudio Venza docente di Storia della Spagna contemporanea all’università di Trieste.

Sul sito della CNT potete trovare alcune info sullo sciopero

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La psichiatria uccide. Il caso di Francesco Mastrogiovanni

Venerdì 16 novembre
assemblea con Robertino Barbieri di Psychoattiva

precede uno spezzone del video su agonia e morte di Francesco Mastrogiovanni


alle ore 21 in corso Palermo 46


Per capire e per lottare contro quest’abominio

Ascolta l’intervista a Robertino

Il 31 luglio del 2009 Francesco Mastrogiovanni entra nell’ospedale psichiatrico di Vallo della Lucania. Gli è stato imposto un TSO – trattamento sanitario obbligatorio.
Ne uscirà morto.

Francesco fa il maestro, in quei giorni è in vacanza al mare. Lo accusano falsamente di aver tamponato qualche auto e invece di una multa lo portano in repartino.

Per eseguire il “ricovero” mandano decine di carabinieri armati di tutto punto. Francesco ha su di se il marchio dell’anarchico pericoloso: nel 1972 venne ferito durante un aggressione fascista, che si concluse con la morte dello squadrista Falvella, ucciso con il suo stesso coltello dall’anarchico Giovanni Marini, che intervenne per aiutare Francesco.
Nel 1999 venne arrestato perché protestava per una multa. Calci, pugni e manganellate, poi un’accusa di resistenza e lesioni. Il carcere, una condanna a tre anni, poi cancellata in appello.
Francesco era da anni nel mirino degli uomini in divisa, degli uomini al servizio dello Stato. Lo sapeva e aveva paura. Quando lo hanno preso per il TSO disse “se mi portano all’ospedale di Vallo non ne esco vivo”.
In un rapporto di polizia venne definito “incompatibile ai carabinieri”, uno che canta “canzoni sovversive”. Basta per dichiararlo matto: il sindaco firma senza esitare il TSO.

In ospedale viene sedato pesantemente e legato al letto: le mani in alto, i piedi in basso. Crocefisso.
Continued…

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