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Torino. Fuoco al tricolore!

Il 4 novembre ci sono state iniziative antimilitariste e contro la guerra in tutta Italia. A Trieste sono stati appesi in giro per la città striscioni, a Palermo c’è stato un presidio contro il Muos nella via titolata al generale Magliocco, un criminale di guerra fascista; a Reggio Emilia, il 3 novembre, un corteo ha attraversato il centro cittadino, a Novara s’è svolto un presidio contro gli F35, presidio anche a Cosenza con interventi e musica.

A Torino, in corso Ferrucci a fianco del tribunale, secondo quanto riferisce il sito Indymedia, il monumento sormontato da un’aquila che regge un cannone dedicato alle brigate degli alpini, è stato decorato con la scritta “no a tutti gli eserciti”. Su quel muro campeggiano i nomi delle guerre coloniali e della guerra combattuta a fianco dei nazisti dall’Italia fascista.
Un tricolore è stato dato alle fiamme davanti ad uno dei tanti luoghi che celebrano le guerre e chi le fa.
Un gesto di solidarietà agli antimilitaristi torinesi sotto processo per vilipendio alla bandiera e alle forze armate.
Nell’anniversario di quell’immane massacro che fu la prima guerra mondiale lo Stato Italiano festeggia le forze armate. Nel 2009 un gruppo di anarchici fece una parata irridente e uno bruciò la bandiera italiana. Per questo gesto simbolico 11 antimilitaristi sono sotto processo. Il compagno che ha bruciato la bandiera rischia sino a due anni.
Fare la guerra significa ammazzare, torturare, violentare, occupare città e paesi. Gli Stati trasformano una ginnastica di morte in attività onorevole, ben pagata. Chi lo dice rischia la galera.
Alla faccia degli altisonanti principi che sancirebbero la libertà di dire la propria.

Il 3 novembre, sempre a Torino, c’è stato un punto informativo al Balon, il mercato delle pulci torinese, da alcuni mesi sotto la morsa della militarizzazione per cacciare gli abusivi che resistono testardi agli sgomberi.
In quell’occasione è stato distribuito un volantino che ricorda che l’Italia è in guerra, che il mestiere delle armi, anche se si esibiscono fanfare, medaglie e bandiere al vento è un lavoro da assassini. Assassini legalizzati, assassini di Stato, assassini che godono dell’impunità e di un buon stipendio.
Ve lo riportiamo di seguito:4 novembre
Festa degli assassini
L’Italia è in guerra. Lo chiamano “peace keeping” ma è guerra. Là, in Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
Raccontano la guerra nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma la quotidianità è un’altra: i militari italiani combattono tutti i giorni, senza troppi riguardi per i la popolazione inerme.
Usano bombardieri e gli elicotteri d’attacco Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco un intero villaggio.
Ma qui, in Italia, si parla dell’Afganistan solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione a coniugi e figli.
A Torino e in tante altre città da tre anni l’esercito pattuglia le strade. La chiamano sicurezza ma ha il sapore agre di un’occupazione militare. Il confine tra guerra “interna” e guerra “esterna” è ormai caduto. Nel mirino sono i poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse.
In ogni angolo della penisola si militarizza il territorio e si trattano i cittadini in rivolta come delinquenti. È la guerra. La guerra interna. Serve anche questa a mantenere la pace, la pace sociale.
I protagonisti sono i medesimi della Somalia, dell’Iraq e dell’Afganistan.
Sono i reduci dalla battaglia dei ponti di Nassirya, dove un’ambulanza con una partoriente venne crivellata di colpi, sono i reduci dell’Afganistan, dove sono normali le irruzioni nelle case e le uccisioni dei civili, sempre tutti terroristi, bambini compresi. Sono quelli della Somalia con le torture fotografate per diletto e vanteria. Sono assassini di professione.
La propaganda della paura, che ci vorrebbe nemici dei più poveri, degli ultimi arrivati costruisce il consenso intorno alla barbarie bellica. Stiamo sempre peggio, tra lavori precari e in nero, senza tutele e senza sicurezza, ma ci convinciamo che i nemici siano quelli che stanno peggio di noi, non i padroni che ogni giorno lucrano sulla nostra vita. Bisogna rompere la propaganda di guerra, costruendo ponti solidali tra gli oppressi e gli sfruttati. Un lavoro quotidiano, difficile, concreto.

I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno.

La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei novanta cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra parte del mondo. Anche il bilancio della difesa è in costante aumento. Negli ultimi quattro anni soldati in strada, missioni all’estero, finanziamento per nuovi sistemi d’arma hanno assorbito una montagna di soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record del costo più alto per i cittadini. La spesa militare complessiva si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Cifre da capogiro.
Provate a immaginare… cosa si potrebbe fare con quei soldi. Immaginate la scuola dei vostri figli, l’assistenza per gli anziani, i treni dei pendolari…

Opporsi alla guerra senza opporsi al militarismo, senza opporsi all’esistenza stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali, è mera testimonianza.
Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi.
Nessuna pace per chi fa guerra!

Posted in antimilitarismo, Inform/Azioni, torino.

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