Mercoledì 18 luglio. Un centinaio di No Tav parte per il Sestriere: da qualche giorno le truppe di occupazione sono alloggiate nell’ex villaggio olimpico, una delle tante strutture fantasma costruite per le kermesse olimpica del 2006.
Si sale per tornanti tra montagne bellissime: purtroppo all’arrivo l’architettura tipica di certo turismo di montagna colpisce come un pugno nello stomaco.
Bandiere, fischietti, pentole, slogan. I carabinieri dell’antisommossa si bardano in fretta e furia: uno esibisce le imbottiture da robocop sui jeans. Schierati per la battaglia del manganello scalpitano, mentre cori e slogan ricordano loro che non sono i benvenuti, che neppure durante le pause verranno lasciati in pace. Alcuni villeggianti osservano dai balconcini, uno saluta i No Tav.
Poi di nuovo giù per i tornanti. A Cesana, all’hotel Chaberton, che ospita i finanzieri, nuova suonata di pentole e coperchi.
Un buon segnale. Non c’è pace per chi viene a farci guerra.
Lontani dal loro fortino/cantiere, lontani dalle recinzioni e dal filo spinato, sono meno sicuri di se, meno arroganti.
Hanno scelto con cura il posto dove fare il tunnel geognostico. Un’area poco abitata, lontano dalle case e dagli occhi dei più, un posto perfetto per un’occupazione militare. Si sono illusi che il movimento avrebbe continuato ad estenuarsi nell’assedio impossibile del cantiere militarizzato.
Si sono sbagliati. Gli ingranaggi dell’occupazione militare e della macchina che lucra e propaganda il Tav sono dappertutto. Come noi.
Il fortino non è una via crucis da percorrere obbligatoriamente per celebrare il rito collettivo del taglio di qualche metro di filo spinato.
Questa volta, lo sappiamo bene, lo Stato intende andare sino in fondo per spezzare un movimento divenuto simbolo di rivolta un po’ ovunque.
Dobbiamo tenerne conto. Soprattutto dobbiamo decidere il senso di una lotta il cui esito resta comunque incerto. Abbiamo l’ambizione di vincere, perché abbiamo imparato che vincere fa bene. Conta anche vincere bene, senza deleghe a qualche cacciatore di poltrone, senza rinunciare mai alla propria dimensione di movimento popolare, senza affidarsi ai giochi della politica internazionale.
Senza rassegnarsi, riducendo la propria resistenza alla ripetizione rituale della pressione sul cantiere, sperando che il tempo sia dalla nostra.
Solo se sapremo scandire con intelligenza e passione un tempo altro potremo mettere – ancora una volta – in difficoltà un avversario che non fa sconti a nessuno.
Oggi il GUP ha rinviato a giudizio tutti i 45 imputati No Tav che hanno scelto il dibattimento, nonostante l’inconsistenza del teorema della Procura.
Sempre oggi – sulle pagine della Stampa – Massimo Numa ha descritto un quadro fosco, fatto di brigatisti e insurrezionalisti, arrivando persino ad accostare i tre No Tav, che hanno deciso di rinunciare alla difesa legale, al ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Adinolfi. Non pago ha tirato in ballo il lontano omicidio di Fulvio Croce per meglio delineare un quadro eversivo che proietti la propria ombra sulla lotta No Tav.
Sono anni che resistiamo alle campagne di certa stampa asservita alla menzogna di Stato. I No Tav hanno piè fermo e spalle larghe.
Venerdì 20 luglio saremo ancora in piazza.
Appuntamento alle 16,30 nel piazzale della stazione di Susa per una presidio di lotta contro le ditte che lucrano sul Tav.
Non lasciamo in pace chi ci fa guerra!