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Gli Stati Uniti e la seduzione salafita

L’attacco al consolato statunitense a Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens, uno degli uomini che più si era speso nell’appoggio alla rivolta della Cirenaica contro il governo di Muammar Gheddafi, è l’emblema delle crescenti difficoltà di Washington a gestire le relazioni con alleati, che non esitano a mordere la mano che li ha sospinti al potere.
Dalla relazione ambigua e pericolosa con il Pakistan all’appoggio ai volontari della jhad al seguito del carismatico milionario saudita Osama bin Laden, sino al pantano afgano, dove gli USA non controllano a pieno neppure il proprio uomo di paglia, l’azzimato e sfuggente Hamid Karzai, la scelta di appoggiare formazioni islamiche, sia moderate che integraliste, si è rivelata un vero boomerang per l’amministrazione oggi guidata da Barack Obama.
Il Grande Gioco del dopo muro di estendere la propria influenza nelle aree controllate dall’impero sovietico e, quindi, di contrastare regimi autoritari ma laici, non è stato giocato nel migliore dei modi dagli Stati Uniti. D’altro canto la crescente influenza cinese in Africa e in Oriente non lascia troppo spazio di manovra all’Impero americano. Un chiaro segno di decadenza.

Ne abbiamo discusso con Stefano Capello.

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D’altro canto il gelido inverno che sta avvolgendo come un sudario le primavere arabe ci interroga sull’urgenza di dare linfa ad un internazionalismo degli oppressi e degli sfruttati, che sappia mettere i bastoni tra le ruote agli integralisti. Una scommessa non facile. Ne parleremo nella puntata di anarres di venerdì 21 settembre.

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