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La guerra (di classe) è pace

Il ministro Cancellieri l’ha detto chiaro: le questioni sociali si risolvono con la polizia. Il governo dei tecnici parla senza peli sulla lingua ma è disponibile al “dialogo”, purché ognuno, specie le parti sociali, facciano la loro parte. In altre parole: con oltre 150 aziende in crisi la disoccupazione è destinata ad aumentare, i servizi subiranno altri tagli e la precarietà del vivere sarà un orizzonte con il quale la maggior parte di noi dovrà fare i conti.
Ai sindacati viene affidato un compito preciso: ammortizzare il conflitto sociale, riprendendo la concertazione con le regole imposte dagli accordi – all’epoca non sottoscritti da tutti – del 28 giugno 2011. Monti l’ha detto chiaro: “serve un patto sociale”.
Il costo del lavoro deve diminuire, la produttività deve crescere, il conflitto sociale deve essere tenuto sotto controllo. In parole povere: meno salario, più orario, meno garanzie e tutti zitti, perché ci altrimenti ci pensa il ministro di polizia, che, tanto per chiarire, ha deciso di limitare le manifestazioni a Roma.
La CGIL di Camusso minaccia – ormai è una barzelletta – lo sciopero generale, ma è ormai chiaro che il sindacalismo di Stato farà la propria parte: il contratto nazionale sarà la foglia di fico: le questioni vere verranno discusse nella contrattazione aziendale.
Nel frattempo si cominciano a vedere le conseguenze della cancellazione dell’articolo 18: sei lavoratori sindacalizzati e attivi licenziati in due aziende piemontesi per ragioni “economiche”. D’altra parte il primo ministro ha avuto il coraggio di affermare che lo statuto dei lavoratori ha contribuito a diminuire l’occupazione. La neolingua della politica sta affinando i propri strumenti. La guerra di classe è sempre più pace e benessere. Per i padroni.
Ne abbiamo discusso con Francesco Carlizza.

Ascolta l’intervista

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