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L’Europa delle polizie tra Torino e Lyon

Raddoppio del tunnel del Frejus, cooperazione militare e repressione: questo in sintesi il vero esito del vertice italo-francese tenutosi a Lyon il 3 dicembre.
Per anni ci siamo sentiti cantare la canzone che il Tav avrebbe portato allo scambio modale tra gomma e ferro. Questo il mantra veniva ripetuto per giustificare la costruzione di una nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon, dando una patina di ambientalismo all’operazione e garantendosi l’assenso degli ecologisti moderati francesi.
La tesi dei Si Tav è banale: con la nuova linea il traffico merci su ferrovia, oggi in diminuzione, aumenterà facendo calare il passaggio di tir sull’autostrada. Si riduce l’inquinamento ambientale, si contingentano i passaggi, si limitano i costi. Una farsa. Sin dallo scorso anno, quando sono iniziati i lavori per la seconda canna autostradale del Frejus, travestita da galleria di servizio, era chiaro che sia il governo francese sia quello italiano puntavano al raddoppio del Frejus e lo scambio modale era solo uno slogan vuoto. L’unico modo di ridurre i passaggi dei Tir è il contingentamento e l’aumento della tariffe, per rendere la ferrovia, che come i ministri dei trasporti fingono di non sapere, esiste già ed è sottoutilizzata.
Durante il vertice di Lyon i ministri dei trasporti Passera e Curvillier hanno siglato un accordo per il raddoppio della canna. Il secondo tunnel sarà utilizzato per i Tir. Ma il traffico dei Tir non era destinato a ridursi? Allora a cosa serve la nuova linea ferroviaria, che Monti e Hollande hanno dichiarato essere “prioritaria”?

È un gioco con le carte truccate: basti pensare che il presidente della società del Frejus è lo stesso della società del Tav, LTF. Le grandi opere si fanno per drenare legalmente soldi pubblici. Che servano o meno, che distruggano falde acquifere, buchino montagne piene d’amianto e uranio, poco importa.
Sul Tav il governo italiano e quello francese sono concordi solo su una questione: i lavori cominciano se e quando l’Unione Europea li finanzierà per il 40%.
Intanto Francia e Italia hanno intascato i 671 milioni per il tunnel geognostico di Chiomonte. CMC e Strabag, la società che ha l’appalto e la sua principale consociata, festeggiano in pompa magna per l’ennesimo pacco di soldi pubblici incassato.
A Lyon i due governi hanno anche siglato accordi sulla cooperazione militare e la sicurezza: entrambi i paesi, sia sul fronte interno sia su quello internazionale, hanno dato la parola alle armi.
Il vertice italo-francese è stato anche occasione di una sperimentazione sul campo di strategie repressive comuni, per impedire, imbrigliare, reprimere il dissenso verso le scelte non condivise dalla popolazione. La cooperazione tra le due polizie è stata molto intensa, con scambio di informazioni per poter individuare i No Tav più noti ed attivi ed impedire o limitare fortemente la libertà di manifestare. Vedi le cronache del 1 e del 2 dicembre.
Sino alla gabbia per polli di place Brotteaux e alle violenze di piazza del 3 dicembre.

D’altro canto oggi la posta in gioco va oltre treni e tir, oltre il circolare folle delle merci. Per i governi europei il disciplinamento delle insorgenze sociali e politiche è una priorità.

Le espulsioni preventive, l’imbrigliamento della protesta, con le violenze nei confronti di chi voleva poter manifestare la propria opposizione ad una grande opera sono i tasselli di un mosaico repressivo che rischia di inanellare sempre nuovi tasselli per disegnare a pieno la sua trama.

Almeno finché i problemi che i movimenti pongono al loro ordine, non siano tanto gravi da suggerire loro una veloce retromarcia.
Il boccino torna quindi ai movimenti, alla loro capacità di sviluppare conflitto, mantenendo saldo il radicamento sociale e la natura popolare.
Un tema che occorrerà che il movimento No Tav impari ad affrontare con l’intelligenza necessaria in un momento difficile e cruciale come quello odierno.

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