Torino, 18 dicembre 1922. Le squadracce fasciste al comando di Pietro Brandimarte, torturarono e assassinarono sindacalisti, anarchici, socialisti. Tra loro Pietro Ferrero, anarchico della UAI, segretario della FIOM, torturato ed ucciso barbaramente.
Era l’epilogo di una storia cominciata con l’occupazione della fabbriche e terminata con la decisione imposta dai riformisti di abbandonare la lotta. Dopo i licenziamenti di massa, dopo la repressione, dopo la marcia su Roma le squadracce fasciste si presero la loro vendetta sugli operai torinesi, che avevano osato dichiarare guerra ai loro sfruttatori.
In piazza XVIII dicembre, di fronte alla vecchia stazione di Porta Susa, c’è una lapide che ricorda le vittime dello squadrismo fascista.
Quello che pochi sanno è che nel dopoguerra Brandimarte venne reintegrato nei gradi e seppellito con gli onori militari. L’Italia democratica imprigiona i partigiani, libera e onora i fascisti.
La ricostruzione di Marco Revelli
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Milano, 15 dicembre 1969. L’anarchico Pino Pinelli viene ucciso nei locali della questura di Milano e gettato dal quarto piano per simulare un suicidio. Tre giorni prima una strage di Stato, fatta da fascisti agli ordini del governo, aveva fatto 16 morti nella sede della banca dell’agricoltura in piazza Fontana. La caccia all’anarchico era scattata subito dopo la strage: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.
Pietro Valpreda si farà tre anni di carcere prima che la pressione delle piazze porti alla sua liberazione.
Per quella strage ancora oggi non ci sono colpevoli, l’omicidio di Pinelli venne archiviato come “malore attivo”. Lo Stato non processa se stesso.
Anarres ne ha parlato Paolo Finzi, partecipe e testimone di quei giorni.
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Torino, 20 dicembre 2012. Entra nel vivo il processo contro quattro anarchici accusati di “furto aggravato” per aver strappato manifesti fascisti, affissi per l’anniversario della marcia su Roma.
Un banale gesto di difesa della memoria dei tanti che morirono, dei tanti che patirono persecuzioni, esilio, botte ed umiliazioni. Siamo a Torino. L’antifascismo fa parte del DNA di una città che combatté metro per metro per cacciare fascisti e nazisti.
“Furto aggravato” è reato che può costare da tre a dieci anni di reclusione.
Una follia giuridica, una delle tante lucide follie che la Procura di Torino, utilizza per chiudere la bocca a all’opposizione politica e sociale.
I fili della storia di ieri si intrecciano con quella di oggi, con un presente in cui i fascisti tornano ad aggredire e uccidere. Un anno fa a Firenze un fascista ha ammazzato due immigrati e ne ha feriti gravemente altri tre. Nella nostra città un corteo aperto dalla segretaria del PD Bragantini ha dato alle fiamme il campo rom della Continassa, volevano tutti morti perché una ragazzina aveva puntato il dito su due rom per uno stupro mai avvenuto.
Stiamo scivolando verso un baratro. È il baratro del fascismo che ritorna, che ritorna nelle strade, che ritorna nelle leggi sempre più razziste e liberticide.
Non si contano più le aggressioni di fascisti e polizia contro immigrati e rom. Un bollettino di guerra. Una guerra sancita dalle leggi, che stabiliscono che puoi essere perseguito per quello che sei, non per quello che fai. Come nella Germania nazista, come nell’Italia fascista. Sei rinchiuso, perseguitato, discriminato perché sei ebreo, rom, asociale, omosessuale, oppositore politico. Sei escluso dai diritti umani, perché non sei davvero umano, sei inferiore e, quindi, pericoloso.
Oggi, come al tempo dell’occupazione delle fabbriche e delle stragi fasciste, oggi, come nel Sessantanove delle stragi e dell’assassinio di Pinelli, la criminalità del potere è sempre la stessa. Oggi come allora chi lotta per una società più giusta e più libera fa paura, viene criminalizzato e represso. Il filo della memoria di quella lontana stagione, a volte sfilacciato ed esausto, si rinvigorisce ogni giorno. In ogni luogo dove cresce la resistenza alla barbarie in cui siamo immersi.