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Neve di primavera

neve-di-primavera-fiori-a20455353È l’ultimo giovedì di marzo. Siamo al bivio tra la strada che scende al cancello dell’area occupata presso la Centrale Iren e quella che sale alla Ramats.
Si arriva stropicciandosi gli occhi per la levataccia. Per chi viene da Torino la sveglia ha suonato alle 4. La primavera si mostra nei germogli bianchi che sfidano il freddo di una mattinata dal sapore invernale.
Aspettiamo. Arrivano i primi mezzi. Quasi tutti, nel vederci, fanno subito dietro front, qualcuno si ferma ma capisce subito che oggi gli tocca il giro lungo, su per la statale 24, poi l’autostrada e lo svincolo che immette direttamente nel cantiere. Mezz’ora in più e il pagamento del pedaggio.
Comincia a nevicare. Fiocchi fitti, neve bagnata. C’è chi saltella, chi racconta di altre mattine, di altre lotte, chi cerca rifugio in auto.
Intorno alle 9 e un quarto arrivano i carabinieri in assetto antisommossa con quattro uomini in borghese – digos o, forse, ros. Sono di fuori, gente mai vista. Uno si lamenta che gli tocca fare pasqua a 500 chilometri da casa, che quello è il suo lavoro, che ha cinquant’anni e dei figli.
Intanto prende i documenti e minaccia denunce per violenza privata.
I poliziotti dal volto umano sono peggio della neve che infradicia le giacche e gela le ossa. L’ineffabile capitano dei carabinieri Mazzanti, calzando improbabili scarpe nere lucide come specchi, ridistribuisce i documenti. 
Poi si va.
Un momento di ordinaria resistenza all’occupazione militare. I giochi della politica, i riflettori dei media sono lontani, lontanissimi.

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