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Siria. Un colpo al cerchio, un colpo alla botte

Siria grande moschea AleppoDopo i recenti attacchi israeliani alla Siria si è riaccesa l’attenzione sulla guerra civile che sta insanguinando il paese.
Anarres ne ha discusso con Stefano Capello, per cercare di capire meglio la partita in corso, una partita che, ben lungi dall’esaurirsi sul piano “interno”, ha fatto parlare Limes una sorta di guerra mondiale per procura. Per procura sono stati indubbiamente gli attacchi di Tsahal in territorio siriano, la cui regia era più a Washington che a Tel Aviv.
In Siria si giocano molte partite. La Siria è un paese a maggioranza sunnita non governato dai sunniti ma dalla minoranza alauita. Assad e la sua famiglia, espressione di un vecchio nazionalismo arabo, storicamente alleato dell’Iran e della Russia provano a mantenere il potere. L’opposizione sunnita, che è un blocco sostenuto dalle monarchie del Golfo e dalla Turchia in funzione anti Assad e anti iraniana è a sua volta attraversata dal conflitto con la componente salafita, che gode del potente appoggio economico del Qatar.
La partita è tuttavia tutt’altro che lineare, perché la Siria è stata sia per gli Stati Uniti che per Israele il miglior nemico possibile. Grazie all’accordo stretto tra USA e Siria in occasione della prima guerra del Golfo, le truppe di Bush padre ebbero strada facile in Iraq. Israele, pur formalmente in guerra con la dinastia Assad, di fatto ha goduto di una tranquilla tregua sin dal lontano 1973.
In questo momento non è interesse degli Stati Uniti una veloce caduta di Assad, che potrebbe aprire le porte ad un regime islamico alleato sia della Turchia che dell’Arabia Saudita, rinforzando un asse di amici assai insidiosi.
Nelle settimane precedenti l’attacco israeliano in Siria i giornali libanesi sunniti e cristiani lamentavano il mancato intervento statunitense in Siria, perché sperano che la caduta di Assad spezzi il sostegno siriano ad Hazbollah. Dopo gli attacchi dell’aviazione di Tel Aviv, la pressione dei media libanesi si è allentata.
Tramite Israele, gli Stati Uniti hanno mandato un duplice messaggio: da un lato non sono disponibili ad un intervento diretto nel paese, dall’altro vogliono spezzare l’asse tra la Siria e l’Iran, isolando maggiormente il regime degli hajatollah ed indebolendo la forza militare di Hezbollah che preme ai confini con Israele. Un modo per tenere i piedi nelle classiche due paia di scarpe. L’Iran, d’altra parte, è un boccone troppo grosso sia per gli Stati Uniti che per Israele: un attacco diretto alla repubblica islamica rischierebbe di scatenare un conflitto capace di coinvolgere direttamente anche la Russia, mettendo in seria difficoltà Obama e i suoi alleati.
Una partita complessa, dove gli Stati Uniti mantengono un interesse forte per le risorse petrolifere del Medio Oriente, la Russia non ha nessuna intenzione di mollare l’alleato, ma non può impedire un assottigliarsi dell’asse con l’Iran.

Sullo sfondo il declino economico degli Stati Uniti, la difficoltà a mantenere il ruolo di gendarme del mondo, l’ambiguità di un fronte alleato che alla prima occasione gira le armi verso chi l’ha appoggiato, finanziato, sostenuto. Per questa ragione una Siria più debole ma non islamizzata può apparire la prospettiva interessante per l’amministrazione Obama, che, certo non per caso, ha dimenticato le minacce ad Assad in caso di utilizzo di armi chimiche.
D’altro canto gli Stati Uniti hanno da decenni scelto di appoggiare le forze religiose antimodernizzatrici a discapito di regimi liberal democratici. Un segno inequivocabile del fallimento anche ideale del gigante USA.

Ascolta la chiacchierata con Stefano

Posted in Inform/Azioni, internazionale, politica.

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