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La partita di potere in Niger e Mali

gal_6487Nord del Niger. Lo scorso 23 maggio due attacchi condotti con autobomba hanno colpito una caserma militare ad Agadez e il sito minierario ad Arlit, di proprietà di Areva, il colosso francese del nucleare. Il ministro della difesa nigerino, Mahamadou Karidjo, ha riferito di 17 morti nell’attentato contro la caserma. Il giorno successivo Mokhtar Belmokhtar, considerato il capo di AQIM – Al Quaeda nel Magreb – diffuse un comunicato nel quale rivendicava di aver partecipato alle azioni a fianco del MUJAO – Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale.
Le autorità nigerine hanno immediatamente puntato il dito sulla Libia, che, dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi, sarebbe divenuta base per formazioni armate islamiche.
Quest’attacco e, quello successivo del 31 maggio, sono stati probabilmente più gravi di quanto hanno raccontato le agenzie, perché dopo il secondo attentato alla miniera di Somair, l’Areva aveva disposto la chiusura degli impianti per due mesi.
Queste miniere hanno un’importanza strategica notevole per la Francia, che ha puntato in modo netto sul nucleare, una tecnologia che necessita di combustibile d’uranio, un minerale abbastanza raro e disponibile solo in poche zone del pianeta. In Niger ci sono alcuni tra i più importanti giacimenti al mondo. Areva li sfrutta da oltre trent’anni in condizioni di monopolio, imponendo condizioni di lavoro spaventose ai lavoratori nigerini. Un quinto delle 58 centrali francesi funziona con l’uranio nigerino.
L’uranio è stata una delle poste in gioco per l’intervento francese in Mali. Ricordiamo che il primo atto dei francesi è stato tentare di sigillare le frontiere con il Niger per mettere al sicuro i propri interessi messi a rischio dalla guerriglia tuareg, che si estendeva ormai da anni anche in territorio nigerino.
Un’occhiata alla geografia nigerina ci consente di cogliere meglio il quadro. Il Niger condivide con il Mali un confine praticamente incontrollabile di 800 chilometri, da cui negli ultimi mesi sono filtrati numerosi militanti (oltre che profughi civili) in fuga dalla carneficina locale. Subito a Nord si estendono 900 chilometri di frontiera con l’Algeria, luogo di nascita di Aqim e dei suoi principali leader. A seguire, 300 km di accesso diretto al territorio libico, mentre a sud il Niger si affaccia per 1.500 chilometri sulla Nigeria settentrionale, in cui operano le formazioni dei Boko Haram.
La partita che si gioca in Africa occidentale è tuttavia molto complessa ed è talora difficile districarsi nel gioco delle alleanze e degli interessi contrapposti.
Gli Stati Uniti, formalmente a fianco della Francia, in realtà stanno conducendo una guerra ultradecennale per contendere a Parigi il controllo della Francafrique.
A pochi giorni dall’inizio dell’intervento francese in Mali le agenzie batterono la notizia che il governo statunitense aveva stretto un accordo di cooperazione politica ed economica con quello nigerino. Nel pacchetto una base militare statunitense nei pressi di Agadez e la possibilità di fare perforazioni in vista della possibile apertura di nuove miniere. Nella base USA verranno installati dei droni in funzione di sorveglianza, ma all’occorrenza, è esplicitamente prevista la possibilità di utlizzo per incursioni missilistiche. Obama è andato a mangiare nel piatto di Hollande. D’altra parte la politica estera francese, finita la parentesi Sarkozy, caratterizzata di un insolito appiattimento sulle posizioni egli USA, ha interrotto l’idillio per riposizionarsi su posizioni di netta autonomia dall’ingombrante alleato.
Su un altro fronte, quello delle formazioni islamiche e dei loro potenti sostenitori, abbiamo sia l’Arabia Saudita sia il Quatar. Anche in questo caso la competizione è evidente. La versione saudita dell’islam sunnita, il wahabismo, si configura sia come dottrina integralista, sia come santificazione del ruolo della famiglia Saud, designata come custode dei luoghi sacri della religione.
Un ruolo che il Quatar da sempre contesta, rifacendosi ad una concezione più universale di fratellanza sunnita. Non per caso l’Arabia Saudita contrasta formazioni come i Fratelli Musulmani egiziani, Hennada in Tunisia, Hamas a Gaza, diverse tra le formazioni ribelli della Siria.
Chi tra i due riuscirà a divenire punto di riferimento per la galassia fondamentalista riuscirà a controllare un’area geopolitica vastissima e di grande importanza strategica.
L’islam africano, connotato per una relativa moderazione, è oggi attraversato da spinte integraliste, in buona parte alimentate dalle monarchie del Golfo.
Arabia Saudita ed Emirati da un lato e Quatar dall’altro hanno un forte interesse ad estendere la propria influenza su un’area che tradizionalmente controllavano prima del colonialismo europeo.
In questo quadro è probabile che un ruolo lo giochino le formazioni libiche, che riprendono la politica di Gheddafi di sostegno alle guerriglie Tuareg. In ogni caso fa comodo al presidente nigerino Issofou indicare nella Libia il responsabile degli attacchi, perché ammettere infiltrazioni dal Mali o dall’Algeria significherebbe ammettere il fallimento dell’intervento in Mali ed aprirebbe le porte ad un possibile nuovo attacco armato direttamente in Niger. Un attacco che questa volta potrebbe vedere in prima fila gli Stati Uniti, interessati a normalizzare a forza la regione e, insieme, ad indebolire la Francia.

Anarres ne ha parlato con Stefano Capello.
Ascolta il suo intervento

Posted in Inform/Azioni, internazionale.

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