19 luglio. Nell’anniversario dell’insurrezione contro il tentato golpe dei generali spagnoli, abbiamo continuato la riflessione intrapresa la scorsa settimana con Claudio Venza, docente di storia della Spagna contemporanea all’università di Trieste e autore, tra gli altri, del libro, uscito un paio di anni fa per i tipi di Eleuthera, “Anarchia e potere nella guerra civile spagnola”.
Nel contesto di una feroce guerra civile tra fascismo e antifascismo, che prelude alla seconda guerra mondiale, un forte e radicato movimento libertario cerca di realizzare una società di liberi e uguali. Dopo aver contribuito in modo rilevante alla sconfitta del golpe, anarchici e anarcosindacalisti provano a mettere in pratica le loro aspirazioni autogestionarie attraverso migliaia di collettivizzazioni urbane e rurali, innovative sperimentazioni in campo sociale e culturale, e una «guerra antimilitarista» basata sul modello delle milizie volontarie. In una situazione così complessa, agli anarchici si pone subito il lacerante dilemma del potere. Questo libro racconta quell’epocale esperimento rivoluzionario con i tentativi pragmatici (e le resistenze) dei libertari di venire a patti con una realtà ostile.
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Di seguito il capitolo conclusivo del suo libro. Un’occasione per aprire una riflessione, oggi più che mai attuale, su guerra e rivoluzione, nella difficile dialettica tra etica della convinzione ed etica della responsabilità. Con la risposta popolare e libertaria al golpe militare del 18 luglio 1936 si compie un salto di qualità cruciale per tutta la storia successiva del movimento, con riflessi enormi sul piano ideologico e politico, tattico e strategico. Il respiro dei fatti spagnoli ha, e avrà, conseguenze sull’intero anarchismo mondiale che risente direttamente degli accadimenti nel paese dove esso aveva la dimensione più ampia e solida.
Lo scontro spagnolo del 1936-1939 è consistito anche in un conflitto tra principi e scelte contingenti, il che ha potuto significare talvolta tra utopismo e realismo all’interno della lotta senza esclusione di colpi tra forze autoritarie e tendenze libertarie. Una constatazione ha preso forma di presupposto: il dramma bellico che si consuma tra i Pirenei e Cadice, con un livello molto alto di morte e distruzione, è stato determinante non solo per la storia spagnola ma per quella dell’anarchismo. La guerra, l’evento che tutto trasforma e militarizza, non può essere messa da parte per concentrare l’attenzione unicamente sulle vicende della rivoluzione sociale. Guerra e rivoluzione si sono intrecciate e si sono condizionate a vicenda. I due aspetti non possono essere oggetto di ricerca e riflessione indipendenti ma ne vanno illustrati e compresi i nessi indissolubili.
Mostrare come in Spagna si siano compiuti considerevoli passi avanti sulla strada dell’emancipazione umana e dell’autogestione produttiva è un’esigenza valida e fondata. Ma questa considerazione non spiega ancora le cause della collaborazione governativa. Per analizzare questo aspetto storico dobbiamo considerare che l’importante sperimentazione avviata in terra iberica ha goduto solo in un primo tempo di fattori favorevoli provocati oggettivamente dal golpe che ha paralizzato l’apparato di controllo statale repubblicano. Il passare dei mesi ha complicato la cornice della rivoluzione al punto che non si era drasticamente ridotto lo spazio per una alternativa praticabile al di fuori delle istituzioni repubblicane già consolidate agli inizi del 1937. Il maggio di quell’anno ha messo in rilievo quanto e come la forza dell’anarchismo fosse ormai imbrigliata da un sistema politico, ma anche poliziesco e diplomatico, costruito dagli antifascisti con il contributo sempre più condizionante del Partito comunista.
Più volte la riflessione, ieri e oggi, ha calcato la mano sulle contraddizioni dirompenti esplose negli anni Trenta nell’anarchismo spagnolo: da un elettoralismo, più o meno nascosto nell’aprile 1931 e nel febbraio 1936, alla collaborazione con altre componenti politiche e sindacali in nome dell’antifascismo e dell’auspicata vittoria sul franchismo. Tutto ciò è finalmente reso emblematico dal paradossale incarico ministeriale a quattro esponenti dell’anarchismo e dell’anarcosindacalismo.
Il movimento spagnolo, pur forte all’interno, disponeva di appoggi internazionali troppo ridotti per poter reggere ad una completa rottura rivoluzionaria. L’AIT, l’unica organizzazione mondiale solidale con la CNT-FAI, non poteva mobilitare adeguatamente i lavoratori dell’Europa, ormai in parte fascistizzata, per sostenere concretamente i rivoluzionari spagnoli. Era possibile proclamare scioperi di solidarietà ma con risultati modesti, pur con tutta la dedizione e tenacia possibili. Inoltre molto ridotta era la disponibilità di materiali bellici, indispensabili per condurre una lotta ai fascisti appoggiati da Italia e Germania ed un’eventuale opposizione radicale alla Spagna repubblicana ma controrivoluzionaria.
Forse la spinta della CNT-FAI verso l’aumento dello spazio libertario, nella società e nell’economia, avrebbe potuto essere maggiore, ma anche nel caso di un allargamento dei consensi e delle simpatie verso l’ipotesi rivoluzionaria, i rapporti di forza tra i protagonisti del molteplice scontro venivano fortemente influenzati dal coinvolgimento di potenze estere di primaria importanza a lato degli uni e degli altri. In un certo senso gli spagnoli erano troppo forti e i loro obiettivi troppo avanzati per il livello medio degli altri movimenti libertari. Anche a prescindere dal fatto che erano quasi scomparsi i militanti in Germania e in Italia.
Le ragioni dei “circostanzialisti” favorevoli ad un’integrazione nel sistema politico repubblicano e quelle degli “intransigenti” sono state presentate nel modo più analitico e critico possibile. In particolare la metamorfosi interna, in nome dell’efficienza, dei principi organizzativi del movimento, sempre più simili a quelli dei marxisti e dei repubblicani, è considerata recuperando prese di posizione e ragionamenti alquanto trascurati dagli scritti più diffusi sull’argomento. In essi di solito l’osservazione sulla mancanza di una “politica” come causa della sconfitta anarchica risente dell’eccessivo e sbrigativo esame delle forze in campo per giungere a conclusioni molto perentorie, quanto poco convincenti. Senza un quadro realistico dei punti di forza e di debolezza delle organizzazioni libertarie risultano assai discutibili le valutazioni sugli “errori” dei responsabili del movimento ai quali si destinano con troppa facilità critiche di carattere tattico e teorico.
La guerra civile resta il dato obbligatoriamente centrale nell’analisi della linea seguita dagli anarchici spagnoli. Il conflitto iniziato dal golpe favorisce la diffusione di un progetto rivoluzionario nelle prime settimane, quando esistono concrete possibilità di sconfiggere i generali ribelli. In questa fase l’immagine della Spagna antifascista si intreccia con quella della Spagna rivoluzionaria e richiama combattenti da molti paesi, attratti da uno scontro ideologico ed etico dai tratti ancora ottocenteschi e vagamente romantici. Alla fine del 1936 la situazione è cambiata radicalmente e la guerra è ormai una lotta tra due Stati contrapposti ma con tratti comuni e speculari. Le battaglie campali hanno bisogno di strutture verticistiche e di apparati industriali molto più che di iniziative coraggiose e di coscienza rivoluzionaria efficaci, anzi indispensabili, nella prima mobilitazione. La collocazione della guerra civile nelle contese tra grandi potenze emargina le possibilità di azioni indipendenti collegate alla nascita di una nuova società com’era nelle aspirazioni degli anarchici spagnoli.
Le democrazie occidentali, Francia e Gran Bretagna soprattutto, restano a guardare la progressiva avanzata dei franchisti, appoggiati massicciamente da Italia e Germania, nascondendosi dietro il paravento di comodo del Comitato di Non Intervento. L’URSS usa la Spagna come pedina per le proprie alleanze internazionali e interviene anche per eliminare pericolose dissidenze, marxiste e libertarie. Il logoramento delle posizioni militari e diplomatiche repubblicane rende improponibile un rovesciamento della strategia seguita fin quasi alla fine dai vertici governativi che puntano sull’aiuto democratico estero talora promesso ma mai realizzato veramente. I contraccolpi dell’aumento del controllo a tutti i livelli sulla militanza libertaria nonché le elevate perdite di combattenti sottraggono importanza e incisività al movimento dell’inizio della rivoluzione e della guerra.
Questa sintesi schematica delle vicende belliche e politiche può far capire come le opportunità che l’anarchismo aveva per uscire dal vicolo cieco della militarizzazione e della subordinazione alla logica statale erano praticamente ridotte già pochi mesi dopo l’estate 1936. Le ipotetiche alternative all’esistente egemonia controrivoluzionaria si erano concretizzate in prese di posizione molto critiche di gruppi circoscritti come i giovani militanti dei Quijotes del Ideal o i più strutturati, ma minoritari, Amigos de Durruti. Alcuni fogli incitanti alla resistenza contro la progressiva statalizzazione di organizzazioni dall’identità antistatale vennero diffusi in modo irregolare e quasi clandestino dopo il Maggio del 1937 e l’emarginazione brutale dell’ipotesi rivoluzionaria. Per molti mesi centinaia di attivisti anarchici non in linea con le consegne collaborazioniste dei vertici della CNT-FAI restarono detenuti nelle carceri di Barcellona senza che ci fosse una protesta e una mobilitazione in grado di liberarli. In ogni caso le posizioni irriducibili hanno trovato, negli anni successivi, un’attenzione notevole negli studi e negli ambienti politicamente radicalizzati.
Di sicuro l’esperienza spagnola ha avuto un peso specifico di grande rilievo nella costruzione delle coscienze e delle identità di generazioni di militanti libertari e rivoluzionari in tutto il mondo. Se ciò è comprensibile, un fondato giudizio storico deve saper andare oltre le risposte facili per considerare gli eventi e le responsabilità in un contesto il più possibile corrispondente alla realtà effettiva. Lo slancio utopico, non solo del passato, ha un valore indiscutibile ma deve riuscire a fare i conti con le condizioni vere del momento storico.
A questo realismo, forse troppo pessimistico, critici attenti ai problemi storici spagnoli hanno risposto con la valorizzazione dell’elemento soggettivo e volontaristico nelle profonde rotture epocali a prescindere dagli esiti finali. In fin dei conti, ha sostenuto, ad esempio, il militante e scrittore Abel Paz (Diego Camacho) dopo più un sessantennio di impegno antiautoritario: “Le rivoluzioni non si vincono, si fanno!”