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Uniti per la pace. Sociale

philosophy_image“Saluto positivamente l’accordo Confindustria-sindacati: è un fatto importante e positivo che le parti sociali lavorino per contrastare le tensioni e per la pace sociale”. Con queste parole il presidente del consiglio Letta ha risposto alle critiche del ministro Saccomanni all’accordo siglato ad inizio settembre tra Confindustria, CIGL, CISL, UIL.
Secondo Saccomanni l’accordo di Genova è troppo oneroso per lo Stato, perché richiederebbe eccessivi sgravi fiscali per le imprese, Letta invece dichiara che la pace sociale non ha prezzo.
Resta da vedere se questo patto corporativo che segue quello sulla rappresentanza stilato prima dell’estate basterà a contenere le tensioni che, sotterraneamente, attraversano il corpo sociale.
Il Patto di Genova di fatto sancisce la nascita di un blocco corporativo, voluto da un conservatore come l’attuale presidente dell’associazione degli industriali italiani. I sottoscrittori del Patto di Genova si candidano di fatto ad un ruolo di prevenzione dell’insorgenza sociale, facendo pressione per la riduzione della pressione fiscale sulle imprese.
Al governo chiedono meno tasse sui redditi da lavoro, aumentando le detrazioni per dipendenti e pensionati. Vogliono anche la riduzione dell’Irap, eliminando la componente «lavoro» alla base dell’imposta, così da favorire le imprese che assumono.
Chiedono agevolazioni fiscali per gli investimenti in ricerca e sviluppo; un meccanismo di garanzia pubblica che convinca le banche a finanziare grandi progetti di innovazione industriale realizzati da filiere o reti di imprese; una rapida attuazione dell’agenda digitale. Ma anche politiche che riducano il costo dell’energia e una cabina di regia per la gestione delle crisi aziendali più significative a livello nazionale. Ed infine una revisione della spesa pubblica che vada oltre i tagli lineari.
Di fatto, se il Patto di Genova avrà gambe per camminare, la prima conseguenza potrebbe essere l’emarginazione del gruppo Fiat. Marchionne, in questo primo scorcio di settembre, pur ingoiando il ritorno della Fiom, non fa passi indietro nella pretesa di disciplinamento di ogni resistenza dei lavoratori. Nell’agenda dell’AD di Fiat è pressante la richiesta di una legge sulla rappresentanza che faccia fuori chi non firma i contratti, al di là del suo peso tra i lavoratori.
Marchionne continua a minacciare la fuga all’estero, promette di rinnovare Mirafiori con la produzione del suv Maserati, di fatto procrastina la cassa per un altro anno.
In altre parole incassa soldi pubblici, pretende leggi che lo tutelino da un conflitto che non c’é e nel frattempo tiene tutto fermo.
Ovviamente c’é sempre la possibilità che la materialità del conflitto faccia saltare tutti i tavoli, rimettendo la palla al centro.
Il prossimo 18 ottobre il sindacato di base ha indetto sciopero generale. Purtroppo al momento pare prevalga l’esigenza di autorappresentazione di un ceto politico/sindacale, che preferisce puntare su manifestazioni nazionali, invece di lavorare per il radicamento territoriale delle lotte. Tuttavia, nonostante i suoi limiti, la giornata del 18 potrebbe costituire un’occasione per tentare di costruire momenti di lotta sul piano locale.

Ascolta la diretta che anarres ha fatto la scorsa settimana con Cosimo Scarinzi della Cub

Posted in Inform/Azioni, lavoro.

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