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Tra Afganistan e Siria. Il declino degli Stati Uniti

statua-libertà-300x183Tre settimane fa i bombardieri di Barack Obama rollavano sulle pista delle portaerei pronti al decollo verso la Siria. In pochi giorni il quadro è mutato radicalmente. L’attacco alla Siria è stato rimandato. Forse non si farà mai.
Barack Obama, dopo aver scoperto che solo la Francia era disponibile a seguirlo nell’impresa, che il Congresso statunitense non era affatto entusiasta di una nuova guerra dalle prospettive incerte, che la Russia non sarebbe ingoiato di buon grado un’invasione di campo, ha accettato al volo l’assist offerto da Vladimir Putin in occasione del G20 svoltosi a Mosca lo scorso fine settimana. In cambio dell’impegno assunto da Bashar Assad di porre sotto controllo internazionale il proprio arsenale chimico, l’ammnistrazione statunitense ha accettato di riaprire i canali diplomatici.
L’immagine di Obama, e, conseguentemente, degli Stati Uniti ne esce decisamente appannata.
Ovviamente i giochi sono ben lungi dall’essere conclusi e la battaglia per il controllo della Siria continua con altri mezzi. Tutti micidiali per la popolazione civile.
Le difficoltà di Obama in Siria derivano direttamente dagli errori commessi dalle ammanistrazioni statunitensi negli ultimi 15 anni. In questi tre lustri gli Stati Uniti hanno perso tre guerre su quattro. Solo in Kosovo, grazie alla solida alleanza con la mafia albanese, gli USA sono riusciti a non perdere la pace dopo aver vinto facilmente la guerra.
L’Iraq è governato da una maggioranza islamica shiita vicina all’Iran. In Libia, esattamente un anno fa, Obama ha subito lo scacco dell’assalto salafita alla propria legazione di Bengasi e dell’uccisione dell’ambasciatore Stevens. Il prossimo primo gennaio le truppe a stelle e strisce lasceranno l’Afganistan esattamente come capitò a suo tempo ai sovietici. Un paese spezzato, in cui i vari signori della guerra controllano il territorio e il presidente/fantoccio Karzai non governa nemmeno Kabul.
Tre nette sconfitte, figlie dell’incapacità statunitense di costruire una base di consenso nei paesi occupati sul modello del piano Marshall per l’Europa del dopoguerra.
Gli equilibri planetari si stanno modificando, ri-proponendo un ruolo in prima fila per la Russia e marcando le fratture del fronte occidentale, i cui interessi, è il caso dell’Italia, sono spesso divaricati rispetto all’ingombrante alleato statunitense.
Ne abbiamo discusso con Stefano.

Ascolta il suo intervento della scorsa settimana

Ascolta l’intervista fatta oggi

Aggiornamento al 15 settembre. Gli Stati Uniti e la Siria hanno sottoscritto ieri a Ginevra un accordo sulle armi chimiche in dotazione all’esercito siriano. In base a tale accordo, siglato dal segretario di Stato startunitense Kerry e dal ministro degli esteri russo Lavrov, la Siria dovrebbe  consegnare un elenco delle proprie dotazioni entro la prossima settimana.  Kerry ha sostenuto e poi smentito che Russia e Stati Uniti avessero concordato l’appoggio ad una risoluzione ONU che comportasse il ricorso al Capitolo 7, che prevede l’uso della forza in caso di inadempienza agli accordi. Gli Stati Uniti hanno perso anche quest’ultima schermaglia diplomatica.

Posted in Inform/Azioni, internazionale.

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