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Susa 16 novembre. Una scommessa vinta

DSCN0013Ad ottobre ci credevano in pochi: qualcuno si era persino azzardato a dire che saremmo stati pochissimi, che era un autogoal, che avremmo regalato la partita a nostri avversari, a chi ci sperava lacerati da un’estate fatta di marce e sabotaggi ma anche di arresti, botte, repressione.
Sino a pochi giorni prima del corteo No Tav di sabato c’era chi faceva l’uccello del malaugurio.
Gli oltre 30.000 di Susa hanno smentito chi prediceva disgrazie, chi temeva che il trenino lento dei No tav si sarebbe fermato lungo la strada.
Persino il meteo è stato sconfitto: le previsioni che disegnavano freddo e pioggia sono state smentite da una giornata tersa e limpida che ha consegnato una bella foto ricordo ai tanti che si sono radunati a Susa per una marcia di sette chilometri, che ha attraversato i luoghi simbolo dell’occupazione militare e della devastazione della Valle. La caserma dei carabinieri, la sede della polizia stradale e della Sitaf, la società che gestisce la A32, l’autostrada divenuta via maestra delle truppe di occupazione, la pizzeria Mirò dove mangiano e l’albergo Napoleon dove vengono ospitati i carabinieri di stanza a Chiomonte.
La manifestazione No Tav del 16 novembre è stata la risposta forte di un movimento che non si piega e non si divide.

Qui puoi vedere alcune foto della manifestazione e dello spezzone rosso e nero

Una risposta tanto forte che i media che in questi mesi avevano scatenato una campagna feroce contro il movimento, hanno fatto ricorso alle loro armi meno affilate: disinformazione, melassa e falsità in sapiente equilibrio.
In prima fila, come spesso accade, “La Stampa” di Torino. Nelle pagine nazionali del quotidiano è comparso solo un articolo di costume su una ragazza che avrebbe baciato la visiera di un poliziotto: miele e buoni sentimenti, presto smentiti dalla diretta interessata.
In Valle Susa i buoni sentimenti che qualcuno aveva nei confronti delle forze dell’ordine si sono infranti come le ossa spezzate dai manganelli, come i polmoni bruciati dai gas, come la dignità offesa da insulti, molestie e torture.
I volti delle donne che ricordiamo sono altri. Marinella pesta e gonfia per i calci e i pugni, Nicoletta con il naso sanguinante, Titti con la gamba spezzata da un poliziotto che avrebbe potuto essere suo nipote, Marta con le labbra cucite ma la voce ferma nel denunciare la violenza sessista.
I poliziotti mirano sempre al volto, perché sfigurare il viso rende meno umano chi subisce la violenza, una cosa senza importanza.
Se andate sul sito della Stampa nelle pagine torinesi non trovate più traccia di un corteo che pure, anche loro hanno dovuto ammettere che raccoglieva trentamila persone.

La ragazza del bacio è stata usata per un’operazione tanto logora da mostrare la trama sottesa come fosse tela trasparente. Sempre “La Stampa” nella pagine torinesi parlava di “ricucitura” tra amministratori e comitati, alludendo a spaccature mai avvenute a meno di non strumentalizzare le parole in libertà di qualche sindaco.
Il punto, quello vero, è un altro. La grande marcia “pacifica” di sabato era in esplicito sostegno di chi si batte concretamente contro il Tav, dei tantissimi attivisti finiti nel mirino della magistratura, incarcerati o sotto processo. Era una marcia contro la criminalizzazione mediatica, politica e giudiziaria del movimento, una marcia contro lo spreco di risorse, per la tutela del territorio, per i lavori utili.
Chi ha attraversato le strade di Susa il 16 novembre con i figli e i nipotini, con gli anziani e i disabili lo ha fatto pacificamente perché questa era la scelta di un movimento che decide i modi e i tempi della propria lotta, che sa quanto fosse importante esserci tutti, anche i più deboli, a camminare insieme per un futuro diverso da quello che ci vogliono imporre con la forza. Un movimento che, ancora una volta, ha detto chiaro che le barricate, i blocchi, le marce, i sabotaggi, gli assedi sono scelti da tutti anche se ad agire sono solo pochi.
Questa verità semplice, tanto semplice che bastava leggerla nel manifesto di indizione, va nascosta, mistificata, cancellata, perché resti solo la leggenda dei valligiani buoni e degli estremisti cattivi.
La prima volta, ormai tantissimi anni fa, che mi è capitato di partecipare con le bandiere rosse e nere degli anarchici ad una manifestazione No Tav, capitava che qualcuno, curioso, ci chiedesse chi eravamo. Quelle bandiere, così come quelle dei tanti resistenti d’Italia e d’Europa, oggi sono di casa tra i monti della Val Susa. Un posto dove le resistenze si sono spesso incontrate nel segno di una solidarietà che oltrepassa i confini imposti dagli Stati e difesi da truppe in armi.

I prossimi mesi saranno un ulteriore banco di prova per il nostro movimento.
La manifestazione di Susa è solo una tappa di una strada che, pur con minore pendenza, resta in salita. In questi mesi i tecnici di LTF e RFI faranno sondaggi e verifiche per cercare di mettere le mani sulla bassa valle, il luogo più difficile da controllare, dove da sempre è più forte la resistenza. Si parla di varianti sulla linea storica, di possibili altri buchi in montagne piene d’amianto. Non avranno vita facile.

Un altro fronte si aprirà con le elezioni amministrative di giugno. I giochi sono partiti da tempo, perché molti credono che l’esito della consultazione, specie in comuni come Susa e Chiomonte amministrati da sindaci Si Tav del centrodestra, avrà grande importanza per il futuro del movimento. Sebbene un sindaco amico sia meglio di un sindaco nemico, è ormai evidente il fallimento dell’esperienza delle liste civiche No Tav, che si è riflessa in un sempre minore protagonismo della componente istituzionale del movimento, un movimento che sempre più sa muoversi in autonomia, facendo da traino alle istituzioni senza farsene condizionare.
Anche a Susa sabato 16, gli amministratori, pur aprendo la marcia, non hanno avuto il ruolo ricoperto ancora nel recente passato nel determinarne modalità ed obiettivi. I gonfaloni in testa al corteo issati su un camioncino spinto a braccia dalla gente comune erano la miglior rappresentazione simbolica della posizione attuale dei sindaci.
Resta tuttavia il rischio che la competizione elettorale sottragga energie preziose al movimento, energie che potrebbero essere meglio impiegate nel promuovere forme di autogoverno che siano nei fatti il segnale di un esodo dall’istituito che si costruisce, sulla base di un’esperienza consolidatasi nelle lotte.

Un impegno che la giornata del 16 a Susa ci consegna più impellente che mai è il rafforzamento della rete solidale e di lotta intorno ai tanti che sono incappati nelle maglie delle repressione. Il governo verrebbe che ci abituassimo agli arresti, ai processi, ai fogli di via, al carcere. Come se fosse normale. Da anarchica so che è normale che lo Stato scateni il proprio apparato contro chi non si lascia sedurre dalle promesse né spaventare dalla violenza. Molto meno normale è che ci si abitui alla repressione, che la si consideri ineluttabile, perché questo è il primo passo verso la rassegnazione. Il corteo di sabato ci ha consegnato la forza per mettere in campo iniziative di solidarietà e lotta.

Sul fronte del Tav la scommessa è invece quella di sempre. Contrastare attivamente i lavori, inceppare la macchina del cantiere e dell’occupazione militare, moltiplicare ed estendere sul territorio il conflitto, saldando le lotte, lavorando per rendere ingovernabile la valle e, perché no? l’intero paese.

Maria Matteo
(Quest’articolo uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova)

Posted in Inform/Azioni, no tav.

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