Skip to content


Feste, farina e forconi

LA-RABBIA_g9 dicembre, giorno della rivoluzione. Sino ad una settimana fa molti non ne sapevano nulla. Sui media non ce n’era traccia. Chi non frequenta il magico mondo di “faccia libro” è proprio tagliato fuori. Venerdì 29 novembre, durante la puntata di Anarres, arriva in radio un messaggio semplice e perentorio. Mi si chiede quale sia la posizione della Federazione Anarchica sul 9 dicembre. Precipito giù da un pero e provo a capirne di più, al di là della certezza che la mia interlocutrice radiofonica capisse ben poco di cosa sia una Federazione di anarchici.
Nel micromondo della sinistra radicale italiana cominciano a circolare le prime informazioni, da cui emerge che tra gli animatori dell’iniziativa, c’è il fior fiore di fascisti e leghisti, sia pure sotto forma di associazioni di contadini e commercianti. In contemporanea era previsto lo sciopero di due tra le principali organizzazioni italiane degli autotrasportatori. Chi ha pensato di lanciare un appello per il blocco del paese da lunedì a venerdì probabilmente ci faceva conto, ma il governo è corso ai ripari siglando un accordo, in seguito al quale sono state annullate le iniziative previste. Dal canto suo la principale organizzazione degli agricoltori, la moderatissima Coldiretti, ha promosso una manifestazione di stampo protezionista al Brennero, bloccando in un fiorire di gialle bandiere e di tricolori i tir che trasportavano derrate alimentari dall’estero.
Segnali che il governo e le organizzazioni moderate del mondo contadino temevano l’avanzare di un’onda populista, che saldandosi con le rivendicazioni dei piccoli commercianti, dei microimprenditori, del popolo anti casta potessero mettere in campo azioni clamorose e radicali.
In qualche modo lo ha colto anche il quotidiano “La Stampa”, che mercoledì 4 dicembre proponeva in prima pagina un articolo di Michele Brambilla dall’emblematico titolo “La Lega è morta il leghismo è più vivo che mai”. Brambilla sostiene che, se la rappresentazione politica della “rabbia del nord” è morta, tuttavia le radici cui attingeva sono più vive che mai.
Da un paio di giorni anche i quotidiani si sono accorti che qualcosa stava succedendo. Un fiume sotterraneo di voci che si rincorrono, dove nulla è certo ma qualcosa succederà. A Torino giovedì c’é stata un’assemblea con oltre 500 persone, in un garrire di tricolori e inni di Italia.
Nel pomeriggio di venerdì, tre giorni prima della giornata che dovrebbe bloccare il paese, i supermercati subalpini erano affollati di gente che faceva scorta di alimentari.
Sempre venerdì è arrivata l’adesione dei due principali gruppi della destra neofascista “Forza Nuova” e “Casa Pound”. Il presidente dell’Anpi torinese ha emesso un comunicato in cui l’iniziativa è bollata come fascista, associazioni moderate come Confartigianato ed Ascom prendono le distanze ma non sono in grado di dire in modo chiaro se lunedì i loro associati si uniranno o meno alla protesta.
Glia autonomi di info_aut hano dicharato che si tureranno il naso e andranno a dare un’occhiata, e, se ce ne sarà l’occasione, tenteranno anche di “riorientare” la piazza. Un’ambizione forse eccessiva che tuttavia segnala il timore di perdere un possibile treno di passagio in città.
Un fatto è certo: la nobile categoria italica dei rivoluzionari da bar, degli spaccamondo da pausa caffé, dei rodomonti dell’aperitivo, quelli che incespicano sui congiuntivi ma sanno farsi bene i conti in tasca pare intenzionata a uscire in strada. Nei loro proclami parlano di bloccare tutto, e, chi sa? Magari a metà settimana andare a Roma e far cadere il governo. Una farsa? Forse. Nel nostro paese la memoria di una farsa fattasi tragedia di un ventennio non è ancora sopita.
Un fatto è sicuro. Questa marea sotterranea sta montando ad una settimana dalla decadenza di Berlusconi da senatore, con un governo indebolito che pasticcia tra IMU e tasse, dopo che la sfera giudiziaria si è – ancora una volta – sostituita a quella politica, tirando una riga sul Porcellum.
Nel mezzo lo spettacolo della politica va avanti con Matteo Renzi che si esibisce al Lingotto, in casa Fiat, per il rash finale della primarie PD. Nei bar di Torino le clientele orfane di Berlusconi parlano di far cadere il governo. Qualcuno dei leader dei “forconi” estesi alla penisola parla di un governo di transizione fatto dai militari. Deliri ridicoli? Anche Bossi, Berlusconi e Mussolini per un po’ hanno fatto ridere.
Vale comunque la pena di cercare di capire queste piazze, per non rischiare di venirne dolorosamente sorpresi.

Lunedì sapremo se il 9 dicembre sarà una bolla di sapone o meno.
Resta il fatto che la variegata area di lavoratori subordinati e parasubordinati, tra i quali la destra sociale e, più in generale il populismo di stampo post leghista e grillino affondano i denti, non ha alcuna destinazione genetica all’insurrezione fascista. Anzi. La saldatura tra questi ceti impoveriti e i lavoratori subordinati triturati da trent’anni di macelleria sociale, potrebbe essere una miscela molto potente nel suo deflagrare. Sempre che si sappia trovare i modi per costruire un lessico comune. Impresa indubbiamente difficile.
Vi proponiamo l’intervista rilasciata a radio blackout da Cosimo Scarinzi cui segue un suo articolo  in uscita sul numero di questa settimana di Umanità Nova, che offre interessanti spunti di analisi e proposta.
Ascolta la diretta

È mio vecchio convincimento, che con il tempo si è rafforzato, che gran parte di ciò che è veramente interessante avviene al di fuori del cono di luce mediatico e che anzi, paradossalmente ma non troppo, alcune vicende che trovano uno spazio enorme nei media sono assolutamente prive di interesse reale.
Basta pensare, a questo proposito, a discussioni infinite su pregi e difetti di Matteo Renzi, sulla vita sessuale di Silvio Berlusconi, sulle strategie politiche di Giorgio Napolitano.
Lo schema “politico contro sociale” che sovente utilizziamo rende conto sino ad un certo punto di questa dicotomia a causa di un doppio processo di degrado/scomposizione del ceto politico e di frantumazione/ricomposizione del corpo sociale.
In questo contesto la ricerca/azione è simile a un naviglio che attraversa un tratto di mare coperto da banchi di nebbia e ciò che è più interessante si individua piuttosto attraverso gli indizi che grazie a limpide e coerenti raffigurazioni.
Circolano da alcune settimane su internet appelli ad una mobilitazione generale per il 9 dicembre contro il sistema dei partiti a firma di diverse e non omogenee organizzazioni di agricoltori, camionisti, piccoli imprenditori, commercianti e quant’altro è possibile immaginare.
La novità, o presunta tale, è il carattere nazionale e generale dell’evento, per la prima volta, a mia memoria, minacciano di muoversi assieme gruppi sociali che tradizionalmente hanno manifestato forme anche notevoli di vivacità a livello locale/settoriale.
Come è noto, un salto del genere è un rischio per movimenti che esprimono interessi specifici molto precisi, penso ai mercatanti torinesi che qualche settimana addietro hanno vivacizzato la città ma non è detto che non funzioni.

Vale forse la pena, a questo punto, di fare un passo indietro e di porre l’attenzione sull’universo sociale al quale questa mobilitazione vuole dare visibilità e voce.
È noto che il sistema produttivo e sociale italiano si caratterizza per un paradosso abbastanza notevole, una media potenza industriale, la seconda in Europa dopo la Germania, che galleggia su un universo di micro aziende, di lavoro nero di economia criminale.
Molto schematicamente possiamo operare, almeno a fini descrittivi, una ripartizione in quattro sotto settori di questo mondo.

1.       L’universo tradizionale, e per certi versi arcaico, del piccolo commercio, della proprietà agricola parcellare, del lavoro autonomo marginale. Questo mondo che altrove è stato spazzato via dalla fisiologica razionalizzazione capitalista è stato protetto a lungo in Italia dal blocco politico moderato, e non solo, che lo vedeva come un fattore d’ordine e di stabilità sociale. Chi non ricorda il vecchio slogan democristiano degli anni 50 “non tutti proletari ma tutti proprietari”? A questo fine sono stati usati diversi strumenti, la leva fiscale e quella previdenziale che hanno penalizzato il lavoro salariato a favore di quello autonomo, la programmatica tolleranza nei confronti dell’evasione fiscale e contributiva, una serie di leggi ad hoc con l’effetto di traghettare bene o male, nel nuovo millennio questo segmento di società.

2.       A partire degli anni ‘70 del secolo scorso, la mitica piccola e media impresa (d’ora in poi PMI) che si sviluppa non per trascinamento dell’arcaico ma, al contrario, come specifica risposta padronale alla forza ed alla radicalità della mobilitazione operaia.
Le grandi e medie aziende, infatti, esternalizzano tutte le attività estrenalizzabili che si tratti di produzione,di amministrazione, di manutenzione, con l’effetto di rigonfiare l’indotto. Grazie a questo processo, il grande capitale può premere sui piccoli e medi imprenditori imponendo loro prezzi e condizioni e spingendoli a spremere a fondo la “loro” forza lavoro scaricando su di loro anche l’eventuale conflitto peraltro più difficile in piccole aziende sovente collocate nella provincia profonda e intrecciate con l’economia familiare.

3.       La fabbrica diffusa che risulta da questo processo determina un crescente rilievo del settore dei trasporti che in Italia, ancora una volta, non è affidato come altrove a grandi e medie aziende o alle ferrovie statali ma vede come principale attore il mondo dei camionisti proprietari del proprio mezzo, un vero e proprio esercito di “piccoli imprenditori” che sopravvivono grazie ad un feroce auto sfruttamento e che, a più riprese negli scorsi decenni, ha sviluppato una rilevante conflittualità.

4.       In questo contesto infine la miriade di nuove attività legate ai servizi alla persona, allo spettacolo, alla innovazione tecnologia vede il fiorire di una nuova leva di piccole e medie imprese proiettate verso un universo di relazioni sociali che molti somari hanno definito con il termine “immateriale”.
Vi è, ovviamente un filo rosso che attraversa questi segmenti sociali e cioè la robusta tradizione microimprenditoriale e, per certi versi contadina che caratterizza la storia nazionale.
Questa particolare composizione tecnica e politica della società italiana favorisce, ed è a sua volta favorita da una robustissima quota di lavoro nero e conseguente evasione contributiva e  fiscale, di immigrazione clandestina e di economia criminale che, soprattutto in alcune regioni del sud, è la principale attività.
Potremmo per analizzare la società italiana sotto questo profilo, disegnare una croce di Sant’Andrea collocando in alto a sinistra l’apparato statale, le imprese ad esso legate, le medie e grandi imprese, in basso a sinistra i lavoratori dipendenti del settore “ forte”  e i ceti medi professionali ad esso legati, in alto a destra la piccola e media impresa (PMI), l’economia sommersa, l’economia criminale, in basso a destra il lavoro indipendente ed autonomo legato a questi settori.
Questa raffigurazione grafica, ci fa cogliere immediatamente che vi sono DUE possibili linee di sviluppo, una orizzontale ed una verticale.
La prima, quella almeno per ora più “naturale”, vede un alleanza fra borghesia alta, media e bassa del settore deregolamentato e il “suo” lavoro dipendente ed autonomo.
La seconda, quella più difficile ma anche più interessante punta ad un alleanza e per certi versi ad  una fusione fra i due settori che costituiscono la working class italiana.
Noi oggi assistiamo ad una mobilitazione, non sappiamo ovviamente quale impatto avrà, che ci vede per l’essenziale, e mi riferisco al sindacalismo di base, estranei o peggio, indifferenti.

Quest’estraneità e quest’indifferenza sono a mio avviso un segno di debolezza giustificata, ma è una cattiva giustificazione dal fatto che i gruppi dirigenti di quest’armata Brancaleone odorano, sarebbe forse meglio dire fetono, di fascismo e di leghismo o, nella migliore delle ipotesi di grillismo.
Si tratta invece di immaginare un percorso che sappia cogliere di quanto condivisibile e di profondamente giusto vi è nell’ostilità alla casta nella prospettiva di una ricomposizione in avanti e in senso radicalmente sovversivo dell’attuale universo del lavoro produttivo al di la della forma giuridica in cui si dà.

Posted in antifascismo, Inform/Azioni, lavoro.

Tagged with , , , .