La “primavera” egiziana è finita nel sangue e nell’autoritarismo. Il colpo di stato che ha portato al potere i militari, la persecuzione dei Fratelli Musulmani, le centinaia di morti, gli attentati, paiono chiudere ogni spazio per un’opposizone laica e non autoritaria. Sull’orlo della guerra civile il paese si accinge a incoronare Al Sissi presidente.
E’ la fine della primavera: un nuovo faraone si accinge a regnare, la componente più radicale dei Fratelli Musulmani si prepara al martirio. Sin qui poco male: purtroppo la grande coalizione Matarod, pur fermando l’arroganza dei Fratelli che si accingevano a disegnare il paese a propria immagine, ha tuttavia aperto la strada al colpo di mano di Al Sissi.
Uno scenario che ricorda quello dell’Algeria dei primi anni Novanta, quando i militari fermarono l’irresistibile ascesa del FIS, il fronte islamico di salvezza, aprendo la strada ad un bagno di sangue durato due anni e costato 250.000 morti.
Un esito simile era possibile anche in Tunisia, ma, negli ultimi minuti della partita, i dirigenti di Ennahda hanno fatto marcia indietro, adottando una linea decisamente più moderata.
La nuova Costituzione è la più progressista dell’intera regione, pur nelle ambiguità di un testo che all’articolo 6 afferma che lo Stato protegge la religione e il sacro ma al tempo stesso anche la libertà di coscienza. Per non dire dell’articolo 7 che fissa nella famiglia il nucleo della società ma stabilisce l’uguaglianza tra uomo e donna. Sempre l’articolo 7 stabilisce la divisione dei poteri, non menziona la sharia, ma sancisce che l’Islam è la religione di Stato.
La situazione resta tuttavia foriera di qualsiasi sviluppo. Non dimentichiamo che Ennahada, prima della violenta caduta dei propri “cugini” egiziani, governava a proprio esclusivo profitto e flirtava con le milizie salafite che nel 2012 e 2013 hanno messo a ferro e fuoco le città, incendiato i caffè con l’alcol nel menù, aggredito i laici, assassinato due leader dell’opposizione.
Difficile credere che alla svolta degli islamisti tunisini sia estraneo il destino dei vicini egiziani, ben più radicati di loro nel paese, perché Hannada era fuorilegge sotto Ben Alì, mentre i Fratelli Musulmani egiziani hanno vissuto all’ombra del regime di Mubarak, spartendo fette di potere, senza mai subire una reale persecuzione. Durante l’insurrezione di Tarhir i Fratelli hanno mantenuto un profilo basso, arrivando a prendere le distanze dalla propria componente giovanile, quando questa decise di unirsi ai rivoltosi.
La loro forza è stata anche la loro debolezza. L’incapacità di comprendere che la ricchezza di Tarhir non si sarebbe fatta facilmente ingabbiare sotto la cappa integralista, la presunzione di aver posto sotto controllo i militari.
Ubris – l’arroganza che fa incazzare gli dei – la chiamavano i greci. Dai fulmini di Giove e ai cannoni di Al Sissi.
A farne le spese la libertà di tutti. Al Cairo i giornalisti locali e stranieri sono incarcerati insieme ai leader dei Fratelli Musulmani: la minaccia di dure leggi anti-terrorismo serve nei fatti a silenziare le voci libere dei tanti blogger egiziani.
Ne abbiamo parlato con Karim Metref, insegnante, scrittore, blogger di origine kabila, che da molti anni vive nel nostro paese.
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