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Polizia. Sangue, divise e silenzio

marcia caramba mauveCalci, pugni, manganellate contro manifestanti non sono l’eccezione ma la norma. Lo sanno tutti quelli che partecipano attivamente a cortei che eccedono i limiti imposti dalle Questure.
Eccezionale è la decisione dei media di accendere i propri riflettori su queste violenze.
Quando accade si sprecano le parole di rammarico, la retorica delle mele marce, dei poliziotti malpagati e stressati, sempre in bilico tra la condanna e la giustificazione firmata dal Prefetto.
I democratici più irriducibili vorrebbero che i poliziotti avessero il numero identificativo sul modello delle medagliette per i cani.
Se per qualche caso un’immagine “buca” gli schermi, la norma del silenzio si rompe per qualche giorno. La vicenda dei due giovani viareggini finiti in terra durante le cariche al corteo romano del 12 aprile è una di queste. Il ragazzo con testa sanguinante che protegge il volto della ragazza, l’uomo in divisa che li blocca con la gamba, il poliziotto in borghese che sale di prepotenza sulla pancia di lei ecco gli ingredienti per una storia latte, miele e indignazione.
Il responsabile viene redarguito, poi la notizia perde di mordente e si torna alla normalità.
Le violenze, i soprusi, gli insulti, le molestie sono la colonna sonora di ogni giorno nel “lavoro” degli uomini e le donne in divisa.
La sorte peggiore tocca ai migranti, ai senza carte, a chi non ha soldi né conoscenze, a chi non conosce le regole del gioco.
Raramente le storie di pestaggi fuori e dentro le caserme vengono intercettate e narrate dai media. Il tam tam delle strade, le narrazioni al bar, le nostre stesse vite ricompongono un puzzle che resta la trama sottesa delle relazioni sociali nel nostro paese.
La fine di ogni residuo sistema di ammortizzazione del conflitto sociale, l’affermarsi del neoliberismo hanno eliminato ogni margine di mediazione, rendendo sempre più sottile e aguzza la piramide sociale.
La guerra è diventata permanente dall’Africa al Sudamerica. Guerra civile in cui la distanza tra guerra e ordine pubblico si assottiglia sino a divenire impalpabile.
Una prospettiva sempre meno lontana dall’Europa, dove le regole di un gioco feroce, stanno facendo evaporare le illusioni di chi credeva di essere al riparo, protetto da frontiere amiche, nel nord ricco del mondo.
Non ci sono salvagente.
L’unica possibilità è la sottrazione conflittuale, la fuoriuscita da un ordine che macina le vite, mantenendole quel tanto che serve a mentenere il ciclo del lavora/consuma/crepa. Un gioco duro, che bisognerà imparare a giocare, facendone saltare la logica resistenziale, per praticare l’autogestione sin da ora, nel magma sociale dove la gente fatica a vivere e vive sempre peggio.

Ne abbiamo parlato con Salvo Vaccaro, docente di filosofia politica all’Università di Palermo.

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