Una bella giornata di sole. Oltre mille studenti e altrettanti lavoratori, un corteo fatto insieme ma lontano dall’afflato unitario che si era tentato di costruire.
Un paio di settimane di assemblee, incontri, iniziative pubbliche non sono bastate a creare un ponte tra le aree studentesche e quelle del sindacalismo di base. In mezzo centri sociali, anarchici, cigiellini dissidenti un po’ smarriti.
L’area del sindacalismo di base avrebbe voluto un corteo comunicativo, che attraversasse il centro cittadino e desse rappresentazione di piazza ai lavoratori che avevano scelto il 14 novembre per scioperare. Le organizzazioni studentesche, nelle principali articolazioni politiche all’ombra della Mole, puntano a divenire polo di riferimento per chi, spesso giovane, vive una condizione precaria che rende difficile praticare senza rischi lo sciopero.
Sciopero generale per gli uni, sciopero sociale per gli altri. Tra gli Studenti Indipendenti non è mancato un corteggiamento alla CGIL. In testa al corteo hanno aperto uno striscione con la scritta “Verso lo sciopero generale”: un chiaro riferimento al carattere di “anteprima” attribuito alla giornata del 14 novembre.
Gli studenti, indipendenti ed autonomi, puntavano a realizzare nel tessuto urbano la proposta che l’economista Andrea Fumagalli aveva lanciato durante un’assemblea al Campus Einaudi: bloccare la città, mettere in difficoltà i flussi di comunicazione, il passaggio delle merci, la mobilità delle persone. Lo scopo, dichiarato, era fare male ai padroni adottando strategie di lotta che potessero colpire e colpire forte nel portafoglio, vero cuore pulsante di ogni buon capitalista.
Nei fatti questa strategia è rimasta un desiderio irrealizzato ed irrealizzabile, perché bloccare i flussi significa avere tante persone, lavoratori che non vanno a lavorare, indipendentemente che siano o meno in sciopero, studenti che facciano nottata, disoccupati che trovino i propri spazi di rappresentanza negli svincoli delle tangenziali, negli autoporti, alle uscite della metropolitana, in alcune piazze cruciali per i mezzi pubblici. Dulcis in fundo, un moltiplicarsi di reti Anonymous che lanci i propri attacchi nella rete.
Un’impresa, quella proposta da Fumagalli, non meno difficile di allargare l’area di consenso del sindacalismo di base, moltiplicando, tra chi ne gode ancora il diritto, il numero degli scioperanti.
Nei fatti la manifestazione del 14 novembre a Torino non è stata né carne né pesce. L’imposizione di un percorso che mirava ai blocchi, ha reso vana la tensione ad un corteo comunicativo. La componente studentesca, non essendo riuscita a fare i blocchi, sia pure simbolici come quello di una stazione ferroviaria nella tarda mattinata, ha trasformato la manifestazione in una defatigante maratona, nell’illusione che il corteo in se realizzasse un rallentamento dei flussi delle persone e delle merci tale da creare qualche problema alla controparte.
Un fatto invece positivo è il buon numero di lavoratori in sciopero che ha risposto all’appello del sindacalismo di base: un’inversione di tendenza, sul piano dei numeri, rispetto al recente passato.
Si tratterà nei prossimi mesi di costruire percorsi di lotta tali da unire, nella necessaria riterritorializzazione del conflitto, chi vive la condizione precaria e chi, grazie alle misure del governo, cammina sul’orlo del baratro. Non sarà facile, ma è necessario provarci.
Gli anarchici della FAT, che, sia pur criticamente, avevano aderito allo spezzone del sindacalismo di base, erano presenti con le loro bandiere e con un volantino, che coglieva le possibilità di emancipazione da una prospettiva welfarista, che la crisi e le politiche governative offrono.
La fine delle tutele apre spazi – simbolici e materiali – per riprenderci le nostre vite, sperimentando i modi per garantir(ci) salute, energia, cura degli anziani e dei bambini fuori e contro il recinto statuale.
Per approfondimenti leggi. “A margine del 14N. Esodo conflitto autogestione”