Con grande pertinacia il governo, con il supporto di una massiccia campagna mediatica, rilancia l’iniziativa per una stretta della legislazione antisciopero, in particolare nei settori del trasporto e dell’igiene urbana.
Il meccanismo retorico dei media, che d’estate sono spesso a caccia di scandali, è sin banale: si prende qualche caso di disagio, reale o presunto, per additare i lavoratori come nemici dell’interesse generale. Lavoratori contro consumatori dunque come se la gran parte dei “consumatori” non fosse composta da lavoratori e come se non fosse interesse in primo luogo dei lavoratori il buon funzionamento dei servizi pubblici.
L’obiettivo immediato di questa campagna è evidente: lo smantellamento e la privatizzazione dei trasporti pubblici locali e delle imprese addette all’igiene urbana.
Rendere pressoché impossibile la lotta dei lavoratori di questi comparti favorirebbe questa operazione che interessa le imprese intenzionate a conquistare questi mercati e il ceto politico che gestirebbe la dismissione dei servizi.
Il dispositivo tecnico giuridico che alcuni parlamentari da tempo distintisi come avversari dei lavoratori, in particolare Pietro Ichino e Maurizio Sacconi, propongono è in apparenza “democratico”: riservare ai sindacati “maggiormente rappresentativi” e sottoporre a referendum vincolante il diritto all’indizione degli scioperi.
In questo modo si mette in opera un meccanismo micidiale che porterebbe all’impossibilità effettiva di scioperi efficaci. Basta domandarsi infatti chi gestirebbe i referendum in questione, che effetto avrebbe il frapporre tempi lunghi fra l’inizio delle procedure e l’indizione dello sciopero, che impatto avrebbe uno sciopero sottoposto a tanti vincoli.
Non solo. Di fronte alla trasformazione dei sindacati in erogatori di servizi è plausibile che la rappresentanza formale dei lavoratori misurata attraverso il numero degli iscritti a questo o a quel sindacato e ai voti in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie non abbia un nesso forte con la volontà dei lavoratori stessi per quanto riguarda le richieste salariali e normative, la decisione di fare sciopero, l’accettazione degli accordi.
Quando si sviluppa una tensione forte e i lavoratori si esprimono come una comunità di lotta, la rappresentanza formale costituitasi in un periodo di passività è uno strumento generalmente inadeguato nell’espressione dell’effettiva volontà dei lavoratori a meno che non sappia porsi come strumento di questa stessa volontà.
Se oggi il governo è orientato a un ulteriore restringimento delle libertà sindacali gran parte delle responsabilità va ai sindacati concertativi, che hanno fatto del monopolio della rappresentanza e della difesa dei propri interessi di ceto l’obiettivo al quale hanno sacrificato gli interessi e libertà dei lavoratori.
D’altra parte le leggi non sono che la rappresentazione ritualizzata di rapporti di forza: quando la bilancia pende dalla parte di chi sfrutta, le norme strangolano del tutto la residua capacità di lotta.
Ne consegue che l’asticella si alza, le uniche lotte efficaci diventano quelle illegali, il prezzo da pagare aumenta con il crescere della posta in gioco. Una posta di autonomia, di libertà, non per cambiare le regole, ma per rovesciare il tavolo di gioco.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Cosimo Scarinzi della Cub.