Questa sera alcune famiglie senza casa hanno occupato una palazzina abbandonata in via Borgoticino 7 – alle spalle di piazza Rebaudengo, in Barriera di Milano.
Sono uomini, donne e bambini che una settimana fa sono stati sgomberati da Avion, una palazzina della ex caserma La Marmora in via Asti. Durante lo sgombero due ragazzi dell’occupazione sono stati portati al CIE e dopo cinque giorni deportati in Romania. La nuova occupazione si chiama come loro “Casa di Romeo e Catalin”, la casa di chi lotta per la propria vita, per la propria dignità.
Le famiglie della nuova occupazione per tanti anni sono state costrette a vivere in miseria, nelle baracche ai margini della città. Recentemente, queste donne, uomini e bambini sono stati sgomberati da quello che le istituzioni hanno sempre chiamato il “campo nomadi” di Lungo Stura Lazio. Nessuna di queste persone si definirebbe un “nomade”; bastano le loro esperienze di vita per dimostrare la falsità di quello che le istituzioni vogliono far credere agli abitanti della città nei confronti di centinaia di persone che da più di dieci anni vivono a Torino.
Bisogna ascoltare le storie di vita di queste famiglie per capire come le istituzioni e mass-media hanno diffuso un racconto fondato su razzismo e discriminazione. Un racconto in cui questi uomini, donne, bambini, anziani sono presentati come una tribù che per la sua “cultura” muta spesso il luogo della dimora, come se nel loro sangue scorresse l’olio di un motore che nessuno vede.
Bisogna ascoltare la storia di queste persone per capire che per tanti versi le loro esperienze sono simili a quelle di tanti altri abitanti di Torino. Nel 2015, la città di Torino è stata nominata sulla carta “Capitale dello sport” ma sappiamo che in realtà da anni la stessa città è la Capitale degli Sfratti. Ci dicono che lo sport “deve essere patrimonio di tutti gli uomini e di tutte le classi sociali”, ma sentiamo la voce di migliaia di persone convinte che in primo luogo è la casa che deve essere patrimonio di tutti e soprattutto dei più poveri. I più ricchi, i padroni di alberghi e di interi palazzi, i governanti della “capitale dello sport”, dicevano che nel 2015 questa città avrebbe vissuto una “emozione di sentirsi comunità”. L’ipocrisia istituzionale non ha mai limiti, soprattutto in una città dove, solo nel 2014, quasi quattromilasettecento persone sono state sfrattate: queste persone sicuramente non hanno sentito l’emozione di sentirsi comunità…
Le persone che oggi hanno occupato una sede abbandonata dell’ASL hanno vissuto in Lungo Stura Lazio per necessità, e non perché “nomadi”. Dopo l’ultimo sgombero subìto nelle scorse settimane sulla riva del fiume, loro avevano deciso di occupare uno spazio abitativo all’interno della caserma La Marmora, in via Asti. L’associazione che gestiva la caserma si chiama Terra del Fuoco, insieme alla quale altre associazioni e cooperative si sono spartite più di cinque milioni di euro – soldi pubblici spesi con il progetto La Città Possibile – promettendo una casa e soldi agli abitanti del campo; mentre il comune ordinava alle ruspe di demolire le loro baracche lasciando centinaia di persone senza nessuna alternativa abitativa!
Dopo un paio di settimane li hanno sgomberati anche dall’occupazione di via Asti, dicendo che era un’occupazione illegale. Invece sei mesi prima sono stati in tanti, tra politici e magistrati, a dire che l’occupazione dello stesso posto, da parte di Terra del Fuoco, era giusta perché “ristabiliva la pubblica utilità”.
Oggi queste persone, ex abitanti di Lungo Stura e via Asti, hanno deciso di continuare la lotta per la dignità, per una casa. Davanti alla prospettiva di dormire in strada nei giorni più freddi della stagione, hanno deciso di occupare questo spazio vuoto. Per necessità. Sono convinti che questa azione non solo ristabilisce la pubblica utilità di uno spazio abbandonato ma credono che sia proprio questa la risposta giusta, difficile ma possibile, di chi lasciato senza alternative non vuole più essere trattato come un oggetto da parte delle istituzioni, di chi non vuole più subire la violenza della polizia. Nel contesto della crisi e di un mercato degli affitti sempre più inaccessibile ai più poveri, l’occupazione è l’azione diretta per avere un posto dove dormire, riposare, crescere i più piccoli.
Una città “possibile” è una città in cui nessuna persona viene buttata in strada o in carcere perché povera o senza documenti! Tutte/i hanno diritto alla casa!
Lottiamo uniti per una città in cui sia possibile vivere in autonomia, solidarietà, senza discriminazioni, razzismo, sfruttamento!
Occupanti e solidali di Casa di Romeo e Catalin