Sabato 12 marzo centinaia di antimilitaristi si sono dati appuntamento in piazza Boschiassi a Caselle Torinese.
A Torino e Caselle c’è l’Alenia, la sua “missione” è fare aerei militari. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Banchetti informativi, assemblea e teatro di strada hanno aperto la giornata di lotta.
Interventi di esponenti del Movimento No F35, dei No Border, dei No Basi in Sardegna, dell’assemblea antimilitarista di Torino e di antimilitaristi alessandrini si sono succeduti durante l’assemblea.
Centrale, per tutti, l’azione diretta contro le fabbriche d’armi, basi, poligoni di tiro, frontiere, nella consapevolezza che le basi di guerra sono a due passi dalle nostre case, che mettersi in mezzo è possibile.
Opporsi alle guerre senza opporsi al militarismo, è mera testimonianza, mero esercizio retorico. Gli Stati avocano a se il monopolio della violenza legittima, della facoltà di esercitarla contro ogni forma di insorgenza sociale o di concorrenza nel controllo di territori e risorse. Le guerre “giuste”, le guerre “umanitarie” fatte di bombe, torture, stupri e campi di concentramento si fondano sulla convinzione diffusa della legittimità delle frontiere, degli Stati.
Negare a fatti ed a parole ogni legittimità agli Stati, agli eserciti, alle frontiere è necessario per inceppare le guerre, per mandare in soffitta la logica militarista.
Opporre la guerra al terrorismo serve a costruire l’immagine del nemico, a legittimare attacchi indiscriminati contro intere popolazioni. Non c’è differenza tra guerra e terrorismo, sono due nomi per pratiche identiche, il resto è solo propaganda.
Dall’assemblea è emerso un quadro di lotte diffuse sul territorio, che mirano ad inceppare la macchina militare. Nell’ultimo anno in Sardegna sono state interrotte in più occasioni le esercitazioni militari, a Caselle è stato bloccato l’accesso all’Alenia, i No Border in ogni dove lottano contro il blocco delle frontiere e per la libera circolazione, a Niscemi sono state sabotate le antenne assassine, a Novara continua la lotta contro gli F35.
La “prima” di “Gira la ruota gira”, piece teatrale di Gianni Milano, ha tenuto incollata una piazza dove, oltre agli antimilitaristi, c’erano numerosi casellesi, che hanno assistito e plaudito i sette antimilitaristi, che hanno dato vita ad una performance di grande impatto emotivo e politico.
Interamente autogestita la “messa in scena”, con costumi autoprodotti ed elaborazione collettiva dei testi.
Poi un corteo che ha attraversato il centro di Caselle per raggiungere piazza Ceccotti, dove c’è una rotonda con una freccia tricolore.
Il corteo era aperto dallo striscione “spezziamo le ali al militarismo”. Tra gli altri striscioni quello No F35, uno contro le frontiere, contro gli F35 e “No a tutti gli eserciti. Numerosi gli interventi e gli slogan lungo il percorso.
All’arrivo, dopo un breve fronteggiamento con la polizia che circondava l’aereo militare per impedire agli antimilitaristi di avvicinarsi, l’antisommossa si è ritirata e la rotonda è stata occupata dai manifestanti che hanno dato vita ad una scena di guerra.
Sotto l’aereo sono stati gettati manichini insanguinati, scarpe rotte, un passeggino ribaltato, abiti laceri, mentre l’aria si riempiva del fumo denso dei fumogeni e suoni di bombardamenti laceravano l’aria. Un modo per dare corpo ad una verità cruda ma banale. Le guerre sono combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
I bambini morti sulle spiagge, le famiglie di profughi che premono alle frontiere chiuse dell’Europa, ci riguardano direttamente, perché spetta a noi chiuderle e trasformarle in luoghi che servano alla vita e non alla morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Dopo il corteo un folto gruppo di manifestanti ha fatto una visita a sorpresa all’aeroporto di Caselle, affollato di turisti. Uno striscione con la scritta “Erdogan terrorista”è stato aperto davanti all’ufficio delle Turkish Airlines. Tanti gli slogan e gli interventi in appoggio alle popolazioni del Bakur e del Rojava che hanno dato vita ad esperienze di autogoverno e autonomia che il governo turco cerca di stroncare nel sangue. Tra chi ascoltava gli interventi, anche in inglese, qualcuno ha dato segno di solidarietà.
I tre agenti della polizia presenti, presi completamente alla sprovvista, non hanno potuto far altro che assistere alla protesta durata una mezz’ora, finché i manifestanti, gridando “Erdogan terrorista”, si sono allontanati in corteo.
In serata la polizia ha diffuso una velina, prontamente ripresa da Repubblica, su un respingimento in forze da parte degli uomini in divisa.
In nottata, davanti alla sede di Repubblica in via Viotti, è comparsa una scritta “Carlotta Rocci bugiarda”. Rocci è l’autrice della breve sull’azione alla Turkish Airlines. Riteniamo probabile che qualche anonimo antimilitarista non abbia gradito le veline di questura pubblicate da questa “giornalista”.
Repubblica, come tanta parte dei media main stream, ha avvolto in un assordante silenzio quanto avviene da mesi in Bakur, dove carri armati e artiglieria pesante hanno ridotto in macerie quartieri e villaggi.
Il governo turco sta massacrando la popolazione delle città che hanno proclamato l’autonomia dopo l’imposizione del coprifuoco. Hanno abbattuto le case con l’artiglieria e bruciato gli abitanti, hanno lasciato morire dissanguati i feriti, impedendo alle ambulanze di avvicinarsi. Hanno ammazzato centinaia di persone che si erano rifugiate nelle cantine.
Sui social media hanno pubblicato le foto di donne curde denudate, orrendamente torturate e infine uccise.
Queste donne sono il simbolo della lotta di libertà delle città che a luglio hanno proclamato l’autonomia dopo i
primi attacchi dell’esercito turco.
Le Comuni del Bakur e del Rojava rappresentano un’esperienza di autogoverno che non vuole farsi Stato, perché aspira ad un mondo senza frontiere.
Un affronto che Erdogan non può tollerare. Un affronto che nessun governo, nessuno Stato può tollerare.
Il silenzio dell’Europa, il silenzio del governo italiano è complicità.
Erdogan sarà il gendarme che impedirà ai profughi di continuare il loro viaggio verso l’Europa.
In cambio riceve soldi e appoggio ai massacri in Bakur.
Finmeccanica, il colosso armiero italiano di cui fa parte anche l’Alenia, fa buoni affari con l’esercito turco. Di
recente elicotteri da combattimento della consociata Agusta Westland sono stati venduti al governo di Ankara.
Se tra trenta o cinquant’anni qualcuno si chiederà perché la Turchia ha massacrato le Comuni di Cizir e Sur nel silenzio complice di chi avrebbe potuto parlare ed agire, noi vorremmo poter dire che qualcosa abbiamo fatto, che abbiamo provato a metterci di mezzo.
Se la marea salisse, se l’indignazione di tanti diventasse azione, se il silenzio fosse rotto dalle grida di chi non ci
sta, potremmo far sì che la storia di questi giorni cambi di segno.
In Bakur, in Rojava ma non solo.
La guerra è in mezzo alle nostre case. Da anni gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le questioni sociali sono affrontate come questioni di ordine pubblico.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Disertiamo la guerra! Gettiamo sabbia nel motore del militarismo!