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Francia. Legge sul lavoro, movimenti di piazza e tentazioni xenofobe

part-par-arp4377111-1-1-1All’inizio di marzo ci chiedevamo se la petizione contro la riforma del diritto del lavoro in Francia sarebbe rimasta sulla carta o si sarebbe sostanziata in un movimento di opposizione di piazza in grado di mettere in difficoltà il governo francese.

Oggi possiamo dire che, diversamente dall’Italia, dove il job act è stato contestato solo da minoranze di lavoratori, studenti, precari, in Francia un nuovo movimento sta mettendo in difficoltà il governo Valls che è già stato obbligato ad un parzialissimo dietro-front.
Il successo del nuovo codice del lavoro è tutt’altro che scontato.

Il governo socialista e il presidente Hollande sono sempre più in difficoltà, sostanzialmente accerchiati. Nonostante abbiano provato a fare concorrenza al Front Nationale sul suo stesso terreno, estendendo per mesi la militarizzazione delle città e il restringimento delle libertà formali, i sondaggi continuano a ribadire la crescita di consensi della formazione guidata da Marine Le Pen.
Sul fronte sociale la frantumazione del diritto del lavoro non andrà in porto troppo facilmente.
La manifestazione dello scorso giovedì ha messo in campo decine di migliaia di persone.

Ascolta l’intervista dell’info di Blackout a Gianni Carrozza, corrispondente da Parigi di Collegamenti Wobbly.

Proviamo a delineare i tratti essenziali del progetto governativo.
Gli straordinari verranno pagati il 15% in meno.
Sulla carta, i francesi non possono lavorare più di 10 ore al giorno, 48 alla settimana e 44 in media nell’arco di tre mesi.
In realtà, ovviamente, le statistiche dicono che la media delle ore lavorate è ben più alta.
Ma la legge Aubry prevede che ogni ora oltre le 35 sia pagata il 25% in più per le prime otto e il 50% dalla nona in poi.
La maggiorazione può essere ridotta al 10% in più, ma solo nel caso ci sia un accordo collettivo di settore.
La nuova riforma, la “loi El Khomri” dal nome dell’attuale ministro del lavoro, permette di superare la barriera del sindacato di settore, dando centralità alle intese su base aziendale. Più precisamente la riduzione del pagamento degli straordinari può essere proposta anche da un sindacato che rappresenta meno del 30% della forza lavoro che proponga un referendum tra i lavoratori.
Gli straordinari possono arrivare così a 13 ore settimanali ed essere pagati il 10% in più.
Le imprese sotto i 50 dipendenti, anche in assenza di referendum, possono chiedere la deroga alle norme su 35 ore e straordinari, calcolando un tempo ore su base annua.
Gli imprenditori possono inoltre invocare circostanze eccezionali in fasi di difficoltà economica per ridimensionare i salari, aumentare i tempi di lavoro, ma anche per licenziare.
La legge infatti definisce, ma allo stesso tempo amplia, le condizioni del licenziamento per motivi economici rendendolo possibile, come già accade in Spagna, in caso l’azienda registri risultati peggiori per «diversi trimestri consecutivi», debba affrontare una fase di riorganizzazione o di transizione tecnologica.
C’è poi la questione spinosa delle indennità di licenziamento, modellata sul nostro Jobs Act e al centro delle contestazioni dei sindacati.
Il governo francese ha deciso di mettere un tetto alle indennità di licenziamento senza causa realistica legandole all’anzianità del lavoratore, creando una griglia che sottrae la materia, ad eccezione dei licenziamenti discriminatori, alla decisione dei tribunali.
Un licenziamento entro i primi due anni farà ottenere un’indennità pari a tre mesi di salario, tra i due e i cinque a sei mesi, e così via. E tanto basta. I detrattori in Francia hanno già annunciato la fine del Cdi, il contratto a tempo indeterminato.

Posted in Inform/Azioni, internazionale, lavoro, razzismo.

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