Il G7 per il governo è stata una mera questione di ordine pubblico. Sin dall’inizio, quando il vertice doveva tenersi tra Torino e Venaria. Lo spostamento alla Reggia, la cancellazione di quasi tutti gli incontri in città, hanno creato lo scenario per l’assedio, solleticando un immaginario da 1789. Peccato che il palazzo di caccia dei Savoia sia solo un museo. Chi ci lavora lo ha bloccato tante volte nell’ultimo anno e mezzo di lotte.
Tant’è. La politica e i media si nutrono di spettacolo, fanno spettacolo quotidiano usa e getta.
Tra la prima e la seconda edizione della Stampa di sabato mattina, due cassonetti bruciati e qualche fuoco d’artificio serale hanno sostituito la cronaca del corteo dei lavoratori in Barriera di Milano, il momento di lotta più vivace e partecipato di venerdì 29, ultimo giorno del vertice, prima della rituale conferenza stampa del giorno successivo.
Nulla di cui stupirsi. L’informazione funziona così. Poco saggio farne lo specchio su cui misurare la propria bellezza. Perchè il coltello dalla parte del manico lo tengono sempre Biancaneve e i suoi sette nani.
Fuori di metafora. Se non si sa uscire dalla fascinazione del circo mediatico si rischia di divenirne una mera variabile dipendente.
D’altra parte, l’informazione – e la propaganda – al tempo della rete riescono in parte a prendere vie proprie, costruendo reti attraverso le quale circolano in tempo reale, foto, audio, video, cronache.
Nel 2001 a Genova l’informazione indipendente fu parte integrante della lotta, contribuendo, almeno in parte, a smontare le verità ufficiali.
Oggi tanta acqua è passata sotto i ponti dei tre fiumi di Torino. La città dell’auto è diventata vetrina luccicante di grandi eventi, mentre le periferie sono luogo di riqualificazioni escludenti.
Sono passati 16 anni da quel G8, tornato G7 dopo la cacciata della Russia putiniana. I movimenti, che in quegli anni scelsero di sfidare i potenti del mondo assediando gli incontri, dove si affinavano le politiche che hanno reso più tagliente e aguzza la piramide sociale, si sono inabissati. Il moltiplicarsi dei fronti di guerra, l’inaridirsi in percorsi paraistituzionali, l’incapacità di cogliere l’occasione di tessere una nuova Internazionale degli oppressi e degli sfruttati, ne hanno segnato la fine.
Oggi, la scarsa reattività dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, dei senza reddito agli attacchi convergenti di governo e padroni, il moltiplicarsi contestuale di misure di disciplinamento sociale, ci mettono di fronte ad una strada tutta in salita.
Una strada sulla quale si rischia di inciampare nel populismo montante, tanto caro a certi antagonisti sedotti dalle fiammate, chiunque le agisca. Foss’anche una santa alleanza tricolore: c’è chi ancora oggi è orfano della tre giorni forcona all’ombra della Mole.
Il contenitore ReSetG7 non ha saputo raccogliere e sintetizzare a pieno le proposte emerse dalle tante anime del movimento. Forse l’obiettivo stesso era poco credibile.
Tra chi ha scelto le periferie della città, lasciando i G7 nella loro residenza di caccia, e chi invece ha puntato sui luoghi e sui simboli, la distanza si è accorciata senza tuttavia mai colmarsi del tutto. Gli uni hanno attraversato le periferie, per dare rappresentazione alle lotte dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, che, sia pure in forme minoritarie, mettono in difficoltà i padroni, spezzano l’ordine, non si piegano alla schiavitù salariata, gli altri si sono concentrati sulla metafora ormai un poco logora dell’assedio, del Palazzo. La Questura, per sfregio, non ha creato una Zona Rossa in cui fosse vietato passare. Né la Reggia, né piazza Carlina, dov’è l’albergo dove sono state ospitate le delegazioni, sono mai state chiuse. Una militarizzazione imponente, ma niente pass, grate, aree proibite. Le grate si sono viste solo in occasione della manifestazione del sabato.
Vale la pena chiarire subito un fatto. Nella tre giorni contro il G7 sono scese in piazza minoranze agenti, mai grandi folle capaci di dare qualche grattacapo ai potenti chiusi nella Reggia.
La radicalità degli obiettivi e il radicamento sociale sono condizioni indispensabili ad innescare processi capaci di mutare senso ai tempi che siamo forzati a vivere. Questo G7 è stato però un’occasione di costruire e rafforzare le relazioni sul territorio in vista delle sfide dell’autunno.
Gli anarchici della FAT, con un ampio fronte di altri gruppi politici e sindacati di base, hanno deciso di giocare questa partita, pur consapevoli del momento non facile per i movimenti a Torino e in Piemonte. Un corteo che partisse da Porta Palazzo, inoltrandosi per le strade di Barriera, sostando a lungo per confrontarsi con la gente, è stato una scommessa vinta. Lo dimostra il suo crescere durante il percorso: tante persone si sono unite alla manifestazione, i negozi sono rimasti aperti e la gente era in strada nonostante la campagna di criminalizzazione degli ultimi giorni.
Carlotta Silvestri e Luca Deri presidenti della sesta e settima circoscrizione di Torino avevano chiesto che il corteo dei lavoratori in Barriera di Milano venisse vietato, perché lo consideravano pericoloso per il decoro e l’ordine pubblico.
In Barriera di Milano la risposta del governo della città e delle circoscrizioni alla povertà, alla disoccupazione, alla precarietà, agli sfratti è da sempre la stessa: tagli ai servizi, alla sanità, ai trasporti, militarizzazione delle strade del quartiere.
Fanno la guerra ai poveri e la chiamano sicurezza. Fanno la guerra ai poveri e la chiamano decoro.
Silvestri e Deri hanno giocato la carta di sempre: criminalizzare l’opposizione sociale, per provare ad annullare la carica sovversiva, di chi vuole farla finita con governi e padroni.
In Barriera hanno manifestato circa 500 lavoratori, precari, disoccupati, le vittime delle politiche dei G7 rinchiusi nella Reggia di Venaria. Tutti insieme dietro allo striscione “Contro i padroni del mondo. La nostra lotta”.
Il corteo ha dato voce a chi agisce le lotte, per dimostrare con i fatti che invertire la rotta è possibile. Per un mondo di liberi ed eguali, autogestito e solidale.
Quest’iniziativa ha rappresentato il tentativo, simbolico e reale, di
rimettere al centro le periferie, luoghi dove si può creare la miscela capace di accendere un processo di trasformazione sociale.
Quello stesso giorno un corteo di trecento studenti, cui si è unito un gruppetto di No Tav, ha percorso del vie del centro: un tentativo di avvicinarsi a piazza Carlina è finito con una breve carica. In serata, mentre in Barriera si stava svolgendo l’assemblea finale con cui si è chiuso il corteo dei lavorator*, un centinaio di attivisti si è mosso da Palazzo Nuovo, occupato per la giornata dagli studenti, verso piazza Carlina. Il nutrito lancio di fuochi d’artificio con cui è stata salutata la celere non è stato gradito dalla Questura che ha ordinato una carica finita tra i banchetti della Notte dei ricercatori. I manifestanti si sono coperti la fuga con un paio di cassonetti incendiati.
La manifestazioni erano cominciate giovedì 28 con “Reclaim the street”, la parade che ha attraversato le zone della movida con lo slogan “A noi le strade, a voi i privè”.
Sabato mattina volantinaggio al mercato di corso Cincinnato e un corteo per il quartiere, prima della partenza del corteo pomeridiano diretto alla Reggia, dove era prevista la conferenza stampa finale del G7.
Mille e quattrocento manifestanti, partiti dalle Vallette, hanno attraversato la periferia di Venaria, dove le case dormitorio e la scuola sono accanto ai tralicci dell’alta tensione e alla tangenziale, dirigendosi verso piazza Matteotti, dove comincia la strada pedonale che immette nel piazzale della Reggia.
Gli anarchici della Fat hanno partecipato al corteo con uno spezzone, aperto dallo striscione “Occupiamo le fabbriche, licenziamo padroni e burocrati”.
L’ingresso all’area pedonale era chiuso da grate, camion con idrante e un nugolo di poliziotti dell’antisommossa e digos.
La testa del corteo, a mani nude e con tre carrelli pieni di enormi brioche di gommapiuma, ha cominciato a spingere tra un nugolo di fotoreporter con le maschere antigas. È partita una breve carica, durante la quale la digos è riuscita prendere un manifestante pesarese. Dal corteo sono partiti fuochi d’artificio contro la polizia che ha replicato con un fittissimo lancio di lacrimogeni, che hanno reso l’aria irrespirabile. Il corteo è arretrato in strada. Dopo una mezz’ora nuovo lancio pirotecnico dai manifestanti e nuovo areosol al Cs dalla polizia.
In serata si è saputo dell’arresto di un altro manifestante, fermato dalla polizia e condotto al carcere delle Vallette. Si tratta di un arresto in fragranza differita. Grazie alle legge sulla sicurezza del ministro dell’interno Minniti si sono estesi i poteri delle Questure.
In serata la sindaca di Torino si è congratulata con la polizia, il suo vice Montanari, anima “sinistra” del governo della città, schierato con i manifestanti, si è affrettato a dividerli in buoni e cattivi, per mantenere il piede in due scarpe.
Da domani si ritorna nelle nostre periferie. Per far sì che la paura cambi di campo, per far sì che radicalità e radicamento rendano possibile spezzare l’ordine del mondo disegnato dai G7.
(quest’articolo è uscito sull’ultimo numero di Umanità Nova)