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Il PM Rinaudo, Moggi e l’ndrangheta

rinaudo colorIl sito No Tav info ha diffuso l’inchiesta realizzata da un No Tav su uno dei due Pubblici Ministeri nei processi contro i No Tav, Antonio Rinaudo.
Scartabellando tra archivi e vecchie inchieste sono saltate fuori notizie che i media ignorano senza alcun pudore.
Le amicizie decisamente particolari di Rinaudo, il suo legame con Luciano Moggi, le sue cene con Antonio Esposito, l’uomo delle ’ndrine in Val Susa, gettano una lunga ombra sulle inchieste di questo PM. Rinaudo non ha esitato a tirare in ballo l’imputazione di terrorismo per quattro No Tav accusati di aver sabotato un compressore al cantiere/fortino di Chiomonte, mentre ha portato sull’orlo della prescrizione le inchieste sul ruolo di mafia e ‘ndrangheta negli affari di cemento in Val Susa.
In passato l’hanno chiamata “Valle dei misteri”, per gli intrecci tra mafia, uomini dell’eversione fascista, strane armerie, il contadino/sicario dei servizi Fusco, la colata di cemento su Bardonecchia, il primo comune del nord Italia e venire sciolto e commissariato per mafia.

Oggi di questi trasparenti misteri non scrive né parla nessuno. Il silenzio dei media è assordante.
Anche se, qua e là, qualche crepa di sta aprendo. Un buon esempio è l’articolo di Giorgio Agamben uscito su Repubblica il 25 aprile.
Altra eccezione è il pezzo di Andrea Doi sul giornale on line NuovaSocietà.

Di seguito l’inchiesta No Tav su Antonio Rinaudo. Leggetela con attenzione: ne vale la pena.
Continued…

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25 aprile. Per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Per la libertà di tutti

DSCN0013Il processo a quattro No Tav rinviati a giudizio per “attentato con finalità di terrorismo” per un sabotaggio al cantiere/fortino di Chiomonte avrebbe dovuto cominciare il 14 maggio, ad un anno esatto dall’azione in Clarea di cui sono accusati. Una scelta di forte rilievo simbolico: lo Stato mette in scena una rappresentazione in grande stile, per far mostra della propria invincibile potenza.
Davide può giocare Golia una sola volta. Quando il gigante si rialza la sua vendetta deve essere terribile, esagerata, fuori dal normale.
In ballo non c’è solo la punizione per chi viene accusato di aver praticato l’azione diretta contro un cantiere imposto con la violenza ad un’intera popolazione: occorre che l’accusa di terrorismo e una condanna “esemplare”, ricaccino in casa le migliaia di persone contrarie alla realizzazione della Torino Lyon.
Per ottenere lo scopo stanno mettendo in pista una macchina schiacciasassi che procede senza badare a chi si trova sul cammino.
Continued…

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Salute e affari

pensatore-500x254La salute è un buon affare. Chi ci lucra porta a casa un buon bottino. Chi può permettersi di pagare campa meglio e più a lungo. In questo settore, val sempre più la regola del “si salvi chi può”. Tra i sommersi e i salvati c’è il portafoglio. Ci sono le scelte di chi ha deciso una politica di tagli nella sanità “pubblica” a favore delle aziende private, in primis quelle cattoliche.
I dati diffusi dagli istituti demoscopici ci confermano che, specie in questi anni di crisi, il gap nell’aspettativa di vita tra nord e sud d’Italia è cresciuto.
Giulio, un lavoratore dell’USI sanità del San Raffaele ci ha raccontato della secca riduzione delle visite e degli esami specialistici, dopo gli ultimi aumenti dei ticket.
Chi non può pagare, se non è alla disperazione, rinuncia a visite di controllo e verifiche strumentali, che il medico di base ha richiesto. A farne le spese è soprattutto la prevenzione, che pure dovrebbe essere lo strumento principe per evitare l’insorgere di patologie gravi o, almeno, di limitare i danni.

Le strutture pubbliche, prive di manutenzione, cadono a pezzi. E’ il caso dell’Ospedale San Carlo di Milano, che necessita di opere urgenti di ristrutturazione, e rischia la chiusura di interi reparti. Ce ne ha parlato Gianni Santinelli, da 40 anni al San Carlo, memoria storica e protagonista delle lotte di ieri e di oggi.

Gianni e Giulio hanno partecipato ad un convegno sulla sanità, svoltosi la scorsa settimana a Milano. Il convegno, indetto dal coordinamento lavoratori e utenti della sanità, è stato occasione per fare il punto sulla situazione milanese e per meglio coordinare le lotte.
Sul piatto, sempre più forte, la spinta alla nascita di spazi di autonomia dal privato e dallo stato. Prima che sia tardi.

Ascolta la diretta con Giulio

qui puoi ascoltare la testimonianza di Carlo

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Stragi e segreti (di Pulcinella)

la-strage-di-BolognaVia i segreti dalle stragi. Matteo Renzi ha firmato la direttiva che dispone la declassificazione degli atti finora coperti da segreto di Stato. Negli archivi ci sono le carte su tante stragi che hanno segnato la storia della seconda metà del secolo scorso in Italia: i fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, la stazione di Bologna, il rapido 904.
Il provvedimento andrà verificato nella pratica, perché nel nostro paese convivono norme spesso confliggenti tra di loro, che potrebbero ridurre le carte rese effettivamente disponibili.
Se a ciò si aggiunge che in molti casi sono stati implicati organi dello Stato diviene più che legittimo il sospetto che queste carte abbiano comunque subito un accurato lavaggio ormai da molto tempo.
Aldo Giannuli, sul suo blog smonta l’enfasi dei media sulla decisione del presidente del consiglio. Giannuli, ricercatore in Storia contemporanea all’Università Statale di Milano, è stato consulente delle Procure di Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo. Tra il 1994 e il 2001 ha collaborato con la Commissione Stragi: sua la scoperta, nel novembre 1996, di una gran quantità di documenti non catalogati dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, nascosti nel noto “archivio della via Appia”.

Scrive Giannuli:

“Squilli di trombe, rulli di tamburo: Renzi cancella il segreto di Stato sulle stragi. Era ora! Solo che si tratta di chiacchiere perché: Continued…

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Decreto lavoro: manovre elettorali

Schiavitù mauveIl decreto legge sul Lavoro, uno dei pilastri del Jobs Act, approda in Parlamento nel mezzo di una tempesta di maggioranza. Nuovo Centro Destra e Scelta Civica non hanno apprezzato le modifiche introdotte in Commissione lavoro lo scorso venerdì. Il governo ha deciso di tirare dritto, chiedendo il voto di fiducia alla Camera.
Il testo sui contratti di apprendistato, applicabili a giovani sotto i 29 anni per un massimo di 36 mesi, prevedeva 8 rinnovi nell’arco di tre anni.
Gli emendamenti introdotti in commissione lavoro dalla sinistra PD hanno ridotto i rinnovi da 8 a 5. E’ stato reintrodotto anche l’obbligo di formazione per gli apprendisti e l’assunzione automatica di quelli che superano la quota del 20% rispetto al totale dei dipendenti.
Sulle altre tematiche del lavoro la legge delega il governo di realizzarla. Il solito mandato in bianco divenuto abituale nelle varie compagini governative. Datemi carta bianca e ci penso io.
Siamo in campagna elettorale e le varie formazioni del carrozzone renziano, non escluso il suo stesso partito, si giocano tutte le carte possibili, per intercettare voti.
Oggi il provvedimento è andato alla Camera per la discussione. Domani alle 12 ci saranno invece le dichiarazioni sul voto finale in diretta tv.
Nuovo Centrodestra e Scelta Civica assicurano che voteranno la fiducia alla Camera, ma chiedono modifiche a Palazzo Madama, dove  i loro voti sono decisivi per la tenuta del governo.
Tranne sorprese la Camera dei deputati darà la fiducia: la partita vera si giocherà al Senato.
Certo non è in discussione la stabilità di un governo eterogeneo ma cementato da un robusto patto di interesse, che in questo momento non conviene a nessuno far saltare.
Al di là dei giochi della politica, resta sul piatto un provvedimento, che, anche nella forma attuale, rappresenta un bel regalo per i padroni.

La realtà, quella che viviamo giorno dopo giorno, e quella fotografata dalle statistiche sulla disoccupazione fornite dall’ISTAT, è quella di un paese, dove la precarietà è diventata normale e la disoccupazione strutturale.
Le statistiche ci raccontano che Alfano, Renzi e compagnia cantante i voti non li cercheranno tra i disoccupati, sempre più refrattari al rito elettorale ma tra quelli che ancora conservano l’illusione che la notte passerà.

Ascolta la diretta dell’info di blackout con Cosimo Scarinzi della CUB

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25 aprile in Barriera di Milano

2014 04 22 manif fat 25 aprile optVenerdì 25 aprile
ore 14,30
presidio alla lapide al partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare angolo corso Novara, dove Ilio è morto combattendo i nazifascisti

Ricordo, deposizione di fiori, musica – banchetti informativi antifascisti e antirazzisti – volantinaggio in quartiere – bicchierata in ricordo delle tante vittime del fascismo di ieri e di oggi.

Qui puoi ascoltare le note di Roberto Prato su Ilio Baroni

Sfoglieremo le pagine della resistenza a Torino, quando Ilio, operaio toscano emigrato a Torino negli anni venti, era comandante della VII brigata Sap delle Ferriere.
Ilio Baroni era uno dei tanti anarchici che lottò contro il fascismo sin dalla prima, guadagnandosi carcere e confino.
Le Sap, Squadre di Azione Patriottica, dove lottavano partigiani provenienti da diverse realtà politiche, sabotavano la produzione, diffondevano clandestinamente le idee antifasciste, si preparavano all’insurrezione.
Ilio, nome di battaglia ”il Moro”, al comando della squadra di manovra Sap, è protagonista di azioni di guerra in stile gappista.

Il 25 aprile la città è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, Torino diventa in breve il campo di una battaglia che dura più giorni.
Il 26 aprile Baroni e i suoi attaccano con successo la stazione Dora, quando giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita e, nel mezzo di una battaglia furiosa, cade sotto il fuoco tedesco.
Il giorno dopo la città sarà liberata dai fascisti, ben prima dell’arrivo delle formazioni esterne.
Il 28 aprile i volontari della libertà di tutte le formazioni percorrono le vie di Torino.
Ilio Baroni non vedrà il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…

Anche quest’anno il 25 aprile facciamo la commemorazione alla lapide di Ilio Baroni. La pietra che lo ricorda è nel centro del quartiere operaio di Barriera di Milano, all’angolo tra corso Giulio e corso Novara.
Oggi rimane solo un pezzo di muro con la pietra, il nome, la foto scolorita.
Sino ad una trentina di anni fa quel muro era la spalletta di un ponte su un piccolo canale.
Era una zona di fabbriche ed un borgo di operai. Operai combattivi, gli stessi dell’insurrezione contro la guerra e il carovita del 1917, quelli dell’occupazione delle fabbriche, della resistenza al fascismo, gli anarchici che durante gli anni più bui della dittatura mantennero in piedi un gruppo clandestino, la gente degli scioperi del marzo ’43.
Oggi sono quasi del tutto scomparsi anche i ruderi di quelle fabbriche. Delle ferriere, dove lavorava Baroni, restano solo gli imponenti travoni di acciaio in mezzo ad un improbabile parco urbano tra ipermercati e multisale.
Il cuore del quartiere è cambiato. La Barriera aveva resistito agli anni dell’immigrazione dal sud, facendosi teatro di lotte grandi tra fabbrica, scuola, quartiere, eludendo il rischio della guerra tra poveri e del razzismo per costruire una stagione di lotte, che ormai trascolora nella memoria dei tanti la cui vita ne è stata attraversata.
Oggi vivere qui è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi che mancano, del fitto da pagare e delle bollette che scadono. Il lavoro non c’è: quando c’é è sempre più nero, pericoloso, precario.
C’è un disagio diffuso che non sa più farsi percorso di lotta, c’é latente la rabbia verso i tanti immigrati africani, magrebini, cinesi, romeni, peruviani che ci abitano e l’hanno cambiato. Si fatica a riconoscere in chi è arrivato da lontano e parla un’altra lingua, il compagno di una lotta che è sempre la stessa, perché sempre uguali sono i padroni, perché sempre uguale è lo sfruttamento, sempre uguale.
Un po’ il vento sta cambiando ma per ora è solo una brezza lieve. Una brezza che spira ogni volta che qualcuno resiste, occupa una casa, sfida i controllori sul tram, costruisce legami solidali.
Noi ogni anno ci ritroviamo alla lapide: si parla, si brinda, si chiacchiera con chi passa. Non è solo una commemorazione. E’ la scelta tenace per i tanti di noi che in questo quartiere sono nati e continuano a vivere, di alimentare la lieve brezza che segnala il mutare dei tempi.
Annodiamo i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.
Le lotte per una casa dignitosa, per non morire di lavoro, per aprire spazi di libertà. Lotte per una società di liberi ed eguali, senza padroni, senza governanti, autogestita
Lotte contro tutte le galere, i CIE, gli OPG
Lotte contro l’occupazione militare e l’imposizione violenta di un’opera inutile e dannosa in Val Susa.
Oggi come allora i partigiani sono chiamati banditi, terroristi.
Oggi come allora “terrorista è lo Stato”.
Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime.

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Colpevoli di resistere. Video per il corteo No Tav del 10 maggio

Colpevoli di resistere

Il 22 maggio. a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il sabotaggio di un compressore.
Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.

Sabato 10 maggio ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano)
Manifestazione popolare a Torino

perché
Chi attacca alcuni di noi, attacca tutte e tutti
perché
Le loro bugie, i loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano
Resistiamo allo spreco delle risorse, alla  devastazione del territorio, alla rapina su i  salari, le  pensioni e la sanità.

Chiara, Claudio ,Niccolò , Mattia liberi subito.

Movimento No Tav

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Polizia. Sangue, divise e silenzio

marcia caramba mauveCalci, pugni, manganellate contro manifestanti non sono l’eccezione ma la norma. Lo sanno tutti quelli che partecipano attivamente a cortei che eccedono i limiti imposti dalle Questure.
Eccezionale è la decisione dei media di accendere i propri riflettori su queste violenze.
Quando accade si sprecano le parole di rammarico, la retorica delle mele marce, dei poliziotti malpagati e stressati, sempre in bilico tra la condanna e la giustificazione firmata dal Prefetto.
I democratici più irriducibili vorrebbero che i poliziotti avessero il numero identificativo sul modello delle medagliette per i cani.
Se per qualche caso un’immagine “buca” gli schermi, la norma del silenzio si rompe per qualche giorno. La vicenda dei due giovani viareggini finiti in terra durante le cariche al corteo romano del 12 aprile è una di queste. Il ragazzo con testa sanguinante che protegge il volto della ragazza, l’uomo in divisa che li blocca con la gamba, il poliziotto in borghese che sale di prepotenza sulla pancia di lei ecco gli ingredienti per una storia latte, miele e indignazione.
Il responsabile viene redarguito, poi la notizia perde di mordente e si torna alla normalità.
Le violenze, i soprusi, gli insulti, le molestie sono la colonna sonora di ogni giorno nel “lavoro” degli uomini e le donne in divisa.
La sorte peggiore tocca ai migranti, ai senza carte, a chi non ha soldi né conoscenze, a chi non conosce le regole del gioco.
Raramente le storie di pestaggi fuori e dentro le caserme vengono intercettate e narrate dai media. Il tam tam delle strade, le narrazioni al bar, le nostre stesse vite ricompongono un puzzle che resta la trama sottesa delle relazioni sociali nel nostro paese.
La fine di ogni residuo sistema di ammortizzazione del conflitto sociale, l’affermarsi del neoliberismo hanno eliminato ogni margine di mediazione, rendendo sempre più sottile e aguzza la piramide sociale.
La guerra è diventata permanente dall’Africa al Sudamerica. Guerra civile in cui la distanza tra guerra e ordine pubblico si assottiglia sino a divenire impalpabile.
Una prospettiva sempre meno lontana dall’Europa, dove le regole di un gioco feroce, stanno facendo evaporare le illusioni di chi credeva di essere al riparo, protetto da frontiere amiche, nel nord ricco del mondo.
Non ci sono salvagente.
L’unica possibilità è la sottrazione conflittuale, la fuoriuscita da un ordine che macina le vite, mantenendole quel tanto che serve a mentenere il ciclo del lavora/consuma/crepa. Un gioco duro, che bisognerà imparare a giocare, facendone saltare la logica resistenziale, per praticare l’autogestione sin da ora, nel magma sociale dove la gente fatica a vivere e vive sempre peggio.

Ne abbiamo parlato con Salvo Vaccaro, docente di filosofia politica all’Università di Palermo.

Ascolta la diretta

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L’anarchismo oggi. Un pensiero necessario

2014-04-14-manif-fat-libertariaVenerdì 18 aprile ore 21 in corso Palermo 46 presentazione dell’annuario 2014 della rivista Libertaria.
Interverranno Luciano Lanza e Massimo Amato del collettivo redazionale

“Oggi il pensiero anarchico si presenta come uno dei più originali e convincenti in un contesto caratterizzato dalla «crisi delle ideologie». E non è un caso che l’anarchismo si sottragga a questa crisi generalizzata: non è mai stato un’ideologia nel senso pieno del termine, ma una teoria e una pratica della libertà, dell’eguaglianza e della diversità. Ed è anche per questo suo aspetto poliedrico e al contempo omogeneo (contraddizione solo apparente) che è riuscito a influenzare quasi tutti i campi del sapere e dell’arte contemporanei. Incredibile ma vero.”
(dall’articolo introduttivo dell’annuario 2014 di Libertaria)

Anarres ha fatto una chiacchierata con Luciano Lanza: un’occasione per parlare dell’avventura di Libertaria, una piazza dove si incontrano, scontrano, moltiplicano le idee, le proposte, le pratiche.

Ascolta la diretta

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Manette e marijuana

marijuana manetteGli amanti della libera coltivazione della marijuana hanno ricevuto dai media nostrani un bel pesce d’aprile. Nel pomeriggio di martedì 1° aprile, radio, TV e giornali, poco prima della votazione finale alla Camera dei Deputati del cosiddetto Decreto Svuotacarceri, hanno iniziato a diffondere la notizia che tra le depenalizzazioni previste vi fosse anche quella della coltivazione della cannabis per uso personale. La notizia ha subito fatto il giro dei social network, ma è finita anche sulle pagine dei giornali e sono fiorite le fantasie di piante di ganja che si godevano finalmente indisturbate il sole nei balconi e nei giardini. Peccato, però, che all’interno dello Svuotacarceri (che le carceri le svuoterà poco e chissà quando, visto che si tratta di una legge delega, cioè di un provvedimento che richiede che il Governo entro 18 mesi emani i relativi decreti legislativi), l’unica modifica prevista in merito alla coltivazione di sostanze stupefacenti riguardi solo ed esclusivamente le violazioni commesse da istituti universitari e laboratori pubblici di ricerca che hanno ottenuto autorizzazione ministeriale alla coltivazione per scopi scientifici, sperimentali o didattici. Attualmente, se questi istituti autorizzati dal Ministero non osservano le prescrizioni cui l’autorizzazione e’ subordinata, commettono il reato di cui all’art. 28, comma 2 del Testo Unico sugli stupefacenti, che prevede  l’arresto sino ad un anno, mentre in futuro non incorreranno più in sanzioni penali ma solo pecuniarie. Chi, invece, coltiva piante di cannabis senza autorizzazione ministeriale – che come detto puo’ essere concessa solo a istituti universitari e laboratori pubblici di ricerca – continua ad essere perseguito penalmente, esattamente come prima e rischia di andare in galera.
Continued…

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La morte di D’Ambrosio. Un malore attivo?

d'ambrosioForse alla fine il giudice Gerardo D’Ambrosio, recentemente scomparso, sconterà la sentenza con cui prosciolse Calabresi e gli altri poliziotti della Questura di Milano dall’accusa di aver torturato ed ucciso l’anarchico Pinelli.
La sua condanna sarà quella damnatio memoriae che sempre colpisce i servitori troppo zelanti.
Tramontata mani pulite, tramontata l’epoca delle “toghe rosse”, di Gerardo S’Ambrosio resterà solo l’incredibile acrobazia giuridica con cui metterà la pietra tombale definitiva sulla morte di Giuseppe Pinelli. Dopo la strage di piazza Fontana, centinaia di anarchici vennero fermati ed interrogati da una polizia già chiaramente orientata nell’addossare loro la responsabilità della strage. Giuseppe Pinelli era uno dei tanti: venne detenuto e interrogato illegalmente per tre giorni, assassinato e gettato dalla finestra del quarto piano per mettere in scena un suicidio. Una scena così male allestita che presto rivelerà mille crepe.
Occorreva mettere una pezza, salvare i poliziotti, senza ripetere l’insostenibile menzogna del suicidio.
Così nacque la tesi del “malore attivo”.
Né suicidio, né omicidio. Pinelli morì per malore.
Questo, in sostanza, il succo della sentenza con cui il giudice D’Ambrosio scrisse la parola “fine” alle indagini della magistratura sul caso Pinelli. Era il 1975, erano passati quasi 6 anni da quella notte del 15 dicembre ’69.
“Un malore per il compromesso storico” titolava così il redazionale di commento a quella sentenza uscito sul numero 43 della rivista “A” 43 (dicembre ’75/gennaio ’76).
Una sentenza che sancì la “verità di Stato” sulla morte del ferroviere anarchico, sindacalista dell’USI, attivo nella solidarietà alle vittime della repressione, Giuseppe Pinelli.
Lo stato non poteva condannare i suoi fedeli servitori, non poteva incolpare se stesso. Come previsto, li assolse in istruttoria, autoassolvendosi.
D’Ambrosio resterà nella memoria come il becchino che gettò l’ultima palata di terra sulla tomba di Pino.

Ascolta la diretta realizzata da Anarres con Massimo Varengo, un compagno che ha attraversato quella vicenda e, al di là della memoria, sa offrirci una riflessione che investe il senso stesso della grande partita che si giocò in quegli anni tra l’apparato statale – e i suoi amici dell’eversione nera – e i movimenti che fecero la scommessa di rimettere in gioco una prospettiva rivoluzionaria:

Ascolta sullo stesso argomento anche la diretta fatta dall’info di Blackout con con Paolo Finzi, da 43 anni redattore di A, compagno ed amico di Giuseppe Pinelli.

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Tav. Tribunali e polizia

no tav liberi“A sarà dura!” ha gridato Claudio dalla gabbia nella quale era rinchiuso nella maxi aula 1 del tribunale di Torino. Claudio è uno dei quattro compagni accusati di terrorismo per un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte del 14 maggio dello scorso anno. Arrestato il 9 dicembre con Chiara, Mattia e Nicolò, dopo un mese al carcere delle Vallette a Torino, è stato trasferito nella sezione di alta sorveglianza del carcere di Ferrara, dove è passato dall’isolamento totale al semi isolamento. La volontà della Procura torinese è spezzare la resistenza dei quattro attivisti imponendo loro un regime carcerario duro e ogni possibile restrizione della libertà, compresa quella di presenziare ai propri processi.
Già il 1 aprile Claudio era stato obbligato a seguire in videoconferenza la prima udienza di un processo per resistenza in cui era imputato a Torino.
C’era il rischio concreto che anche per la prima udienza del processo ai No Tav per una “colazione” ai cancelli della Centrale Iren a Chiomonte, gli fosse negata la possibilità di partecipare di persona.
Il 10 aprile, dopo giorni di incertezza, Claudio è stato portato a Torino per il processo. Ad attenderlo una piccola folla di solidali.
Oltre a Claudio alla sbarra erano anche Andrea a Giobbe.
Le accuse nei loro confronti sono gravissime: tentata rapina, sequestro di persona, resistenza aggravata in concorso. Nel mirino un episodio del 16 novembre del 2012, quando, durante un presidio/blocco a Chiomonte, ci fu un diverbio con un poliziotto in borghese che scattava fotografie: poco dopo vennero fermati Claudio e Andrea.
Continued…

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Veneto. Profondo nero

05_ponte_mosca-_legafascismoIl recente arresto di 24 indipendentisti veneti accusati di associazione sovversiva con finalità di terrorismo e di sovvertimento dell’ordine democratico ha riacceso i riflettori sul nord est. L’immediato schierarsi della Lega Nord a fianco degli arrestati ha una forte ambivalenza. Buona parte degli arrestati hanno attraversato, a volte da protagonisti, il sentiero leghista, ma non ne fanno (più) parte. Anzi! Spesso sono aspramente critici verso la Lega, accusata di tradimento della causa del Nord.
L’attuale dirigenza leghista ne è certo consapevole, ma probabilmente spera di ridare una pennellata di colore ad un’immagine appannata dalle innumerevoli indagini per l’uso “allegro” delle finanze pubbliche. Le elezioni sono vicine e i pronostici poco accattivanti, al punto che dopo l’avanzata del Front National alle elezioni amministrative francesi, Marine Le Pen preferisce corteggiare un recalcitrante Grillo. Grillo a sua volta cerca di dare la spallata definitiva alla Lega, alludendo ad un Italia prerisorgimentale, divisa in grandi Stati.
A Verona il sindaco Flavio Tosi era riuscito in parte a smarcarsi dalla debacle leghista, dopo gli scandali che hanno fatto a pezzi il cerchio magico bossiano. Uno smarcamento costruito nell’alleanza con il fior fiore della Verona fascista, cui ha assegnato posti di potere e ampia impunità alle squadracce che agiscono indisturbate in città.
Anche Tosi deve tuttavia fare i conti con un’inchiesta sulla gestione allegra della cosa pubblica che rischia di travolgerlo.
Tosi è l’emblema di un Veneto nerissimo, la cui storia è ben più inquietante di quella dei secessionisti arrestati. Lo stesso Tosi è stato condannato per propaganda razzista.
Nella sua amministrazione sono entrati fascisti come Andrea Miglioranzi, uno dei fondatori di “Veneto fronte skinhead” e leader del gruppo nazi-punk “Gesta Bellica”, i cui testi antisemiti e xenofobi esaltano Erich Priebke e Rudolf Hess. Tosi nel 2006 lo aveva nominato con la nazionalalleata Cametti a capo Miglioranzi dell’Istituto veronese per la Resistenza. La poltrona gli scottò presto le natiche e su obbligato ad abbandonarla dall’ondata di indignazione che si levò anche nella nerissima Verona.
Il blocco di potere che si è raggrumato intorno a Tosi allunga un’ombra scura sul Veneto della piccola imprenditoria feroce del miracolo ormai abortito.
Tra sghei e saluti romani il tanko di provincia, pare meno importante. Resta il fatto che, nonostante i media e gli stessi protagonisti abbiano scelto l’abusato cliché del “golpe” da operetta, il fantasma feroce dei nazionalismi che hanno insanguinato l’Europa a cavallo tra i due secoli, ci ricorda che, nonostante il folclore, il sogno delle piccole patrie potrebbe trasformare anche da noi la farsa in tragedia.

Ne abbiamo parlato con Emanuele Del Medico, già autore de “All’estrema destra del padre”.

Ascolta la diretta

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OPG. Una follia senza fine

opgGli OPG dipendono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dentro ci sono secondini e psichiatri, le regole sono pressoché identiche a quelle delle carceri.
Ospitano circa 1500 uomini e donne abbandonati a loro stessi, in condizioni di degrado disumano.
Vi sono imprigionate persone fuoriuscite dal sistema giudiziario classico per essere state giudicate incapaci d’intendere e volere, e, quindi, non imputabili in seguito ad una perizia psichiatrica che ne avrebbe stabilito la “pericolosità sociale”.
Dal 1975 li chiamano Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ma il nome non ha cambiato la cosa. La legge Basaglia che ha chiuso i manicomi non ha toccato queste strutture a metà tra un manicomio ed un carcere: sono sorvegliati da secondini, gestiti da psichiatri.
Sono riservati ai “matti” che commettono reati e ai detenuti che il carcere ha fatto diventare “matti”. Spesso l’OPG viene usato per “punire” il detenuto che si ribella e decide di lottare.

La narrazione psichiatrica definisce lo status di chi perde ogni “diritto”, persino quelli che mantengono i carcerati, perche privo di ragione. Per chi commette un reato ma viene giudicato “matto” non sono previste pene ma “misure di sicurezza” che hanno come finalità la “difesa sociale”.
La durata della detenzione in OPG è indeterminata: viene revocata solo quando un magistrato, sulla base del parere di uno psichiatra, dichiara che è venuta meno la pericolosità sociale, un concetto intrinsecamente ambiguo, perché che si nutre delle paure che attraversano il corpo sociale, spesso segnate da un chiaro discrimine di classe.
Il malato-recluso non può mai sapere quando uscirà, solo il magistrato di sorveglianza, a sua discrezione, può decidere quando la pena avrà fine.
Spesso la reclusione negli OPG diventa una sorta di ergastolo bianco, di reclusione a vita: la durata della prigionia non ha alcuna attinenza con il reato per il quale si era originariamente perseguiti.
L’unica vera funzione dell’OPG è quella di discarica sociale dove gettare gli “indesiderabili”.

Nel 2010 la commissione sull’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale effettuò un’inchiesta sul campo, che rese visibile, anche grazie ad un video girato all’interno degli OPG, la cruda realtà di queste prigioni. Il parlamento decretò che venissero chiuse entro il 31 marzo 2013. Il termine per la chiusura venne prorogato di un anno. Il primo aprile il presidente della Repubblica Napolitano ha firmato un secondo anno di proroga.
I 1500 corpi, privati della dignità di persone, costretti ad assumere psicofarmaci, spesso legati ai letti, secondo Napolitano, secondo il governo del rampante Renzi, possono aspettare.
Aspettare nello squallore di camerate luride, bagni indecenti, violenza diffusa delle guardie.
La chiusura degli OPG dovrebbe infatti coincidere con l’apertura di strutture più piccole, senza secondini, strutture più decorose.
Sebbene le associazioni e i gruppi che lottano contro gli abusi della psichiatria si battano per la chiusura immediata degli OPG, perché il superamento di ogni istituzione totale è comunque una vittoria, tuttavia i mini OPG che li potrebbero sostituire, sarebbero comunque manicomi. Serve infatti a poco chiudere gli OPG, se non si cancella la legge che li rende possibili. Nelle nuove strutture, più accoglienti, finirebbero sempre persone accusate, giudicate incapaci d’intendere e volere da un’arbitraria perizia psichiatrica. Poco importa se sono stati arrestati per piccoli reati: chi entra nel girone infernale della detenzione psichiatrica, sa che è entrato ma non sa se e quando uscirà.
Il meccanismo della “stecca”, ossia il potere degli psichiatri di prorogare all’infinito la detenzione, non cambierebbe.
I gruppi antipsichiatrici denunciano da tempo il rischio che i nuovi OPG, più “umani”, divengano il traino per un ritorno dei manicomi. Per tutti.

Ascolta la diretta con Robertino Barbieri di Psychoattiva dall’info di Blackout

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Le reti andranno giù. Corteo ad Arquata

terzo-valicoSabato 5 aprile una marcia popolare No Tav attraverserà il paese per raggiungere il cantiere del Terzo Valico a Radomero.
La nuova linea ad alta velocità tra Genova ed Arquata è detta “terzo valico” perché su quella tratta ci sono già due ferrovie ampiamente sottoutilizzate.
Chi racconta la favola dello scambio modale tra gomma e ferro nasconde i reali interessi per un’opera che, non per errore, si conclude sui piazzali dove convergono i Tir sui quali verrebbero caricati i container. Il complesso logistico è proprietà del gruppo Gavio, il re delle autostrade, primo supporter dei 53 chilometri di gallerie, scavate in zone che i rapporti dell’Arpa descrivono come ricca di amianto.
Amianto in provincia di Alessandria significa le migliaia di morti dell’Eternit di Casale Monferrato.
Per difendere il proprio futuro dalla logica del profitto, che devasta l’ambiente e mette a repentaglio la salute di interi paesi, la gente della valle Scrivia sta ingrossando un movimento che si rafforza nella lotta.
La manifestazione del 22 febbraio a Pozzolo, nel giorno della solidarietà ai No Tav accusati di terrorismo per un sabotaggio al cantiere della Maddalena, è finita con otto chilometri di recinzione abbattuta, metro per metro, da un popolo in lotta.
Non sono mancate le intimidazioni di stampo mafioso da parte di alcuni lavoratori alle dipendenze di ditte che in più di un’occasione, sono state accusate di collusione con le n’drine.
Era un movimento di protesta, si sta trasformando in un movimento di azione diretta.
Nella conferenza stampa di ieri i No Tav No Terzo Valico hanno detto chiaro che le reti di Radomero andranno giù.
Un buon motivo per essere ad Arquata il 5 aprile.

L’appuntamento è alle 14 alla stazione di Arquata.

Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Salvatore del Coordinamento Comitati contro il terzo valico

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