Skip to content


Da Trapani a Gradisca. Etica e affari

allo-specchio_g1Si è chiusa con 13 richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara di Gradisca d’Isonzo. Il gup ha fissato per il prossimo 2 luglio l’udienza preliminare per tredici imputati.
Tra cui il viceprefetto Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati accusati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. I vertici di Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri, vanno alla sbarra per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture.

Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore di Connecting people, il direttore del Cie Giovanni Scardina, e quella del CARA Gloria Savoia, Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente.

I vertici del “sinistro” consorzio avrebbero ottenuto somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Avrebbero presentato fatture dove era gonfiato il numero di immigrati presenti al CARA e al CIE. Scozzari e la sua allegra compagnia si sarebbero intascato persino i soldi, che in base al capitolato d’appalto, erano destinati per l’acquisto di carte telefoniche e acqua.
Al vice prefetto Allegretto e al funzionario della Prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento.

Si va dal 2008 al 2011, i tre anni in cui Connecting people ha gestito il centro di via Udine dopo aver vinto l’appalto. La gestione è poi proseguita ed è tuttora affidata al consorzio siciliano perché la gara d’appalto lo scorso anno non è stata aggiudicata per un vizio formale che ha escluso la vincitrice, una cordata guidata dalla francese Gepsa.

Sin qui i fatti.
Non possiamo dire di essere stupiti. Chi sgomita per gestire una struttura detentiva, lo fa per i soldi. In questi anni i professionisti dell’umanitario di soldi se ne sono messi in tasca tantissimi. Secondo calcoli del Ministero dell’Interno la macchina delle espulsioni costa intorno ai 18 milioni di euro l’anno, parte dei quali presi dalle tasce dei lavoratori immigrati con permesso di soggiorno, gente uscita dalla clandestinità che potrebbe tornarci se resta senza lavoro.
Uno dei paradossi feroci del paese degli italiani brava gente.

Difficile dimenticare l’arrogante sicumera di Mauro Maurino, responsabile di Connecting People a Torino, che, nel 2009 aveva tentato di aggiudicarsi la gestione del CIE di corso Brunelleschi.
Ad un gruppo di antirazzisti che gli avevano occupato l’ufficio, dichiarò che, la loro gestione, una gestione di “sinistra”, sarebbe stata sicuramente preferibile a quella della Croce Rossa. Mentre parlava agitava il treccione a dred e si lisciava il costosissimo maglione etnico.
Da quel momento divenne uno degli interlocutori preferiti del giornalista di nera del quotidiano “La Stampa”, Massimo Numa, che lo intervistava in occasione di rivolte al CIE o iniziative degli antirazzisti.
D’altra parte, ai responsabili della Croce Rossa, in prima fila il responsabile di allora, il colonnello e poi generale Antonio Baldacci, era stato imposto il silenzio stampa. Decisamente poco edificanti furono le dichiarazioni rilasciate dopo la morte di Fathi Nejl, un tunisino lasciato morire nel CIE, nonostante fosse gravemente malato.

Quest’anno la gara per l’assegnazione del CIE di Torino è stata disertata persino dalla Croce Rossa: troppo basso il guadagno, in una struttura sull’orlo del collasso, semidistrutta dalle continue rivolte.
Nel frattempo proseguono in sordina i due maxi processi contro 67 antirazzisti torinesi. Per chi fosse interessato le prossime udienze si terranno mercoledì 9venerdì 11 aprile.

Il CIE di Gradisca è chiuso da mesi, nonostante l’area blu, distrutta nel 2011, sia stata ristrutturata. Sebbene le altre sezioni del Centro restino in attesa di lavori che tardano ad iniziare, tuttavia la mancata riapertura parziale è certamente dovuta a ragioni politiche, non ultima, dopo l’inchiesta che ha travolto Connecting People, quella di trovare un gestore che accetti le basi d’asta al ribasso che hanno caratterizzato le gare di appalto dell’ultimo periodo in tutt’Italia.

Ancora aperto è il CIE di Trapani Milo. A metà gennaio il Prefetto Falco ne aveva annunciato la chiusura per ristrutturazione. Il Centro trapanese, considerato una struttura modello, ha infatti il record di fughe, le ultime solo tre giorni fa. Per tappare i buchi del colabrodo di contrada Milo sono previsti nuovi e più sofisticati sistemi di sorveglianza, muri più alti e filo spinato.
Durante la chiusura Falco avrebbe provato a dipanare la matassa ingarbugliata della gestione del centro. Cacciata la famigerata cooperativa Oasi, la cui gestione del CIE di Modena, ne aveva accelerato la chiusura, Falco si era ritrovato la patata bollente della cooperativa palermitana Glicine, che pur essendosi aggiudicata l’appalto, aveva deciso di rinunciare.
I giochi della politica e degli affari hanno rimescolato le carte: il centro trapanese è rimasto aperto, senza gestore. I reclusi, cui mancava persino la carta igienica, hanno dato vita a nuove proteste, rendendo ancora incandescente il clima.
Secondo alcuni la Croce Rossa potrebbe aggiudicarsi presto la gestione del Centro.

Anarres ne ha parlato con un antirazzista trapanese, Alberto La Via. Ne è scaturita una chiacchierata a tutto campo, che è stata anche occasione per fare il punto sulle lotte dei richiedenti asilo nei tre CARA del trapanese.

Ascolta la diretta

Posted in controllo, immigrazione, Inform/Azioni, pedagogia libertaria.

Tagged with , , , , , , , .


10 maggio. Corteo No Tav a Torino

torino 10 maggiocorteoIl movimento No Tav ha lanciato un appello per una manifestazione popolare a Torino in solidarietà con i No Tav accusati di “terrorismo”. Di seguito il testo dell’appello.
“Colpevoli di resistere
Il 14 maggio. a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il sabotaggio di un compressore.
Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.
Sabato 10 maggio ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano)
Manifestazione popolare a Torino
perché
Chi attacca alcuni di noi, attacca tutte e tutti
perché
Le loro bugie, i loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano
Resistiamo allo spreco delle risorse, alla  devastazione del territorio, alla rapina su i  salari, le  pensioni e la sanità.
Chiara, Claudio ,Niccolò , Mattia liberi subito.
Movimento No Tav”

Ascolta Alberto Perino che presenta la giornata per l’info di Blackout

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà, torino.


Guerra. Mitraglia sul Mare Nostrum

mare nostrumSiamo sul ponte dell’unità della Marina militare italiana Aliseo, impegnata nell’operazione “mare nostrum”. C’é un inseguimento, si odono tre scariche di artiglieria, i proiettili colpiscono l’imbarcazione in fuga. Uno stacco. Poi si vede l’imbarcazione trainata a gran velocità dall’Aliseo finché il natante non si piega su un fianco, cominciando ad affondare.
Dopo la diffusione di questo video, girato da qualche militare in servizio sull’Aliseo, la Marina militare diffonde una nota nella quale si sostiene che bordo c’erano solo nove scafisti, tutti arrestati. Una versione strampalata che cerca di mettere una falla su un buco bello grosso. Il buco nell’omertà di Stato sull’operazione “Mare Nostrum”. Le regole di ingaggio delle unità impegnate nell’operazione Mare Nostrum non prevedono la facoltà di sparare. Anche agli scafisti.
La verità che questo video mostra è semplice.

Nel Mediterraneo l’Italia fa la guerra ai migranti. Non dichiarata, certo, ma di guerra indubbiamente si tratta. Le strategie, gli attori, gli strumenti, le alleanze e le modalità d’intervento sono quelli di tutte le guerre. E causano morte. Morti, tanti morti.
L’Operazione Mare Nostrum fu annunciata dal ministro Mario Mauro dopo la strage del 3 ottobre, quando a poche miglia da Lampedusa annegarono 364 tra donne, uomini e bambini provenienti dal continente africano e dal Medio oriente. Quei morti furono un mero casus belli. La nuova crociata contro chi fugge dalle ingiustizie, lo sfruttamento, gli ecocidi, era stata preparata infatti da mesi in tutti i suoi dettagli. Governo e Stato maggiore hanno rispolverato ad hoc l’armamentario linguistico delle ultime decadi: operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita, perché le guerre non devono mai essere chiamate con il loro nome per non turbare l’opinione pubblica.
Quando il governo Letta mise in mare l’operazione era chiaro che quella umanitaria era la solita foglia di fico che mal copriva le vergogne della frontiera. Il Mare è Nostro, non è nè deve essere un mare di mezzo. Non è il luogo dell’incontro della solidarietà. Non è né deve essere un ponte, ma una barriera, che spesso inghiotte le vite di chi prova ad attraversarla: molti sono morti e moriranno, tanti altri finiscono nelle reti.
Le cronache raccontano di salvataggi, non parlano dei respinti in mare, non parlano della sorte di chi sbarca. Tanti sono profughi di guerra, fuggono alle persecuzioni, ai bombardamenti, arrivano dalla Somalia, dall’Eritrea, dalla Siria; tanti altri sono migranti in cerca di fortuna.
Quando sbarcano vengono “disinfettati”, rivestiti, identificati e poi lasciati in strada con un foglio di via. “Mare Nostrum” è anche questo: una fabbrica di clandestini. I CIE sono a pezzi, i Cara scoppiano, un foglio di via risolve tutto: chi lo riceve diventa invisibile, deve diventare invisibile. E’ finito il tempo delle emergenze di Maroni, il ministro dell’Interno leghista che ammassava tutti a Lampedusa, nella speranza vana che l’Europa gli togliesse le castagne dal fuoco. I governi Monti, Letta, Renzi non ne vogliono più sapere di “emergenze” di titoloni sulla stampa estera, della corte di giustizia europea che marchia l’Italia come paese dove i poveri sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Il governo italiano ha puntato agli accordi con la Libia: droni tricolori sin nel Fezzan, al confine del deserto, militari libici addestrati nel Bel Paese, carceri per immigrati in Libia.
Gli accordi con la Libia non reggono: il paese è in preda al caos, il business della carne umana è molto proficuo e, chi sa?, il governo italiano potrebbe farsi tentare da un’altra avventura militare dopo quella del 2011.

Il confine tra guerra interna e guerra esterna è sempre più impalpabile.

Ascolta la diretta realizzata dall’info di Blackout con Antonio Mazzeo, giornalista e blogger, in prima fila sul fronte dell’informazione.

Posted in controllo, immigrazione, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , , , .


Ex Moi. Un anno di autogestione

mg_6316-copiaIl 30 marzo dello scorso anno 200 profughi rimasti in strada dopo la fine “dell’emergenza nordafrica“, occuparono una casa del villaggio olimpico, la “ex Moi” in via Giordano Bruno.
Tre palazzine rimaste vuote per 7 anni, divennero la nuova casa per uomini e donne, che il governo italiano aveva buttato in strada dal 28 febbraio 2013, quando per decreto era stata fissata la fine della protezione. Chiuse le strutture di accoglienza, ai profughi sono stati dati 500 euro in cambio di una firma su documento che liberava lo Stato italiano di ogni responsabilità nei loro confronti.
Nonostante la spesa esorbitante di un miliardo e 300 milioni di euro, ai profughi della guerra in Libia non era stato garantito alcun percorso di inserimento nella nostra società.
Per un anno e mezzo trascorso i profughi erano stati parcheggiati senza prospettive, tra incuria, assistenzialismo e mera carità.
Strutture in condizioni indegne, senza acqua calda e riscaldamento, persone stipate in posti sovraffollati, disservizi e malaffare sono stati il risultato della gestione emergenziale imposta da un governo che aveva deciso di elargire un miliardo e 300 milioni di euro ad una miriade di associazioni del terzo settore, che garantirono poco o nulla nulla di quanto previsto per loro sulla carta.
Ai rifugiati provenienti dalla Libia non venne data alcuna opportunità di rendersi autonomi, indipendenti ed inserirsi nei nostri territori. Niente corsi di formazione, nessuna traccia dell’inserimento lavorativo, zero inserimento abitativo.
Ancora una volta “l’emergenza umanitaria” era stata una buona occasione di lucro per le tante organizzazioni del terzo settore che l’avevano gestita, bandando a ricavarne il più possibile.

Occupare una casa vuota è stata la scelta di lotta e di autonomia di gente che lo Stato italiano voleva invisibile, dispersa tra le vie di una nuova cavalcata per l’Europa delle frontiere, nascosta in qualche buco per clandestini, accampata nelle campagne della raccolta e delle schiavitù.

Il 17 gennaio di quest’anno alle palazzine dell’Ex Moi si è aggiunta la casa occupata in via Madonna delle Salette, uno stabile di proprietà dei preti, abbandonato del 2008. Una prima risposta alle crescenti esigenze abitative dei profughi accorsi anche da altre regioni, una possibilità in più di costruire percorsi di autogestione.

Per un primo bilancio di un anno di lotta ascolta l’intervista con Nicola del Comitato di appoggio ai profughi.

Posted in autogestione, immigrazione, Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , , , .


Tav, sabotaggi, ragion di Stato

cavallino4Leggere le carte dei pubblici ministeri non è uno sport dei più appassionanti. Tuttavia a volte nelle argomentazioni proposte con grazia e stile da inquisitori, appare l’ordine di un discorso, che i più credono sepolto sotto le macerie della Bastiglia. Il discorso del potere che ri-assume nella sua interezza l’assolutismo della regalità. È assoluto, perché sciolto da ogni vincolo, perché nega legittimità ad ogni parola altra.
Lo fa con la leggerezza di chi sa che l’illusione democratica è tanto forte da coprire come nebbia fitta un dispositivo, che chiude preventivamente i conti con ogni forma di opposizione, che non si adatti al ruolo di mera testimonianza.
Corollario di questo dispositivo la delega politica all’apparato giudiziario delle questioni che l’esecutivo non è in grado di affrontare.
L’abolizione per un vizio formale della legge sulle droghe in vigore da ormai otto anni, la dice lunga sul ruolo suppletivo del potere giudiziario rispetto a quello politico.
Questa decisione, come già quella sul porcellum elettorale, toglie le castagne dal fuoco sia al parlamento che all’esecutivo, incapaci di prendere decisioni su questioni di grande importanza come la legge che definisce le regole per la delega elettorale.
La delega alla magistratura della questione No Tav, ha in se ben di più della rinuncia a legiferare su alcuni temi di un parlamento senza una maggioranza definita.

Provate ad immaginare.
Immaginate che il governo dichiari che chi si oppone alla Torino Lyon è un terrorista. È lecito ritenere che persino i quotidiani più asserviti agli enormi interessi che si raggrumano intorno alle grandi opere non oserebbero avallare tout court una tesi così espressa.
Quando lo fa la magistratura l’operazione passa inosservata. O quasi.
È successo a Torino con l’arresto e il rinvio a giudizio di quattro No Tav accusati di terrorismo.
Leggere le carte della Procura diventa un esercizio indispensabile per cogliere la genealogia di un meccanismo disciplinare, che va ben oltre il singolo procedimento penale.
Si scopre che la mera professione di opinioni negative sugli accordi per la realizzazione della nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon crea il “contesto” sul quale viene eretta l’impalcatura accusatoria che trasforma il danneggiamento di un compressore in un attentato. Un attentato con finalità terroriste.
Qualcuno in piemontese potrebbe commentare: “esageruma nen! – non esageriamo!”. La prima impressione è che la Procura abbia dilatato un episodio banale, per mandare un segnale forte al movimento No Tav, ma che, secondo il buon senso, la loro accusa non abbia gambe per camminare.
Attenzione. Il teorema dei due PM, Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, affonda le radici in un insieme di norme che danno loro amplissimo spazio di discrezionalità.
Vediamo come.

14 maggio 2013. Un gruppo di No Tav compie un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte.
Quella notte venne danneggiato un compressore. Un’azione di lotta non violenta che il movimento No Tav assume come propria.
Nonostante non sia stato ferito nessuno, gli attivisti sono stati accusati di aver tentato di colpire gli operai del cantiere e i militari di guardia. Una follia. una lucida follia.
14 maggio 2014. Quattro attivisti verranno processati per quell’azione. L’accusa è “attentato con finalità di terrorismo”. Lo Stato mette in scena un rituale di grande violenza simbolica, scegliendo il primo anniversario di quella notte di lotta per affermare la propria forza.
Non solo. I quattro compagni arrestati il 9 dicembre, dopo 40 giorni nel reparto di alta sorveglianza del carcere delle Vallette, vengono trasferiti in altre prigioni.
Mattia e Nicolò ad Alessandria, Claudio a Ferrara, Chiara a Roma. Le condizioni di detenzione loro inflitte sono molto pesanti, più di quello che il regime duro cui sono sottoposti prevede.
I riti di un potere sciolto da qualunque vincolo divengono un monito per tutti coloro che li appoggiano e potrebbero seguirne l’esempio.

Come si trasforma un’azione di sabotaggio in un atto terrorista?
L’ordinamento mette a disposizione delle procure l’articolo 270 sexies, l’ultima incarnazione del famigerato 270, l’articolo che descrive i reati associativi di natura politica. Dal 270 sexies i PM torinesi hanno desunto la definizione di terrorismo sulla quale hanno incardinato l’imputazione contro i quattro No Tav arrestati il 9 dicembre. Per questa norma “sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto (…)”.
Il Tribunale del riesame motiva così la decisione di mantenere in carcere i quattro attivisti No Tav: “È ravvisabile la finalità di terrorismo tenuto conto che l’azione è idonea, per contesto e natura, a cagionare grave danno al Paese, ed è stata posta in essere allo scopo di costringere i pubblici poteri ad astenersi dalla realizzazione di un’opera pubblica di rilevanza internazionale”.

Questa argomentazione ricalca il 270 sexies, introducendo un elemento cruciale, perché chiunque si opponga concretamente ad una decisione dello Stato italiano o dell’Unione Europea rischia di incappare nell’accusa di terrorismo.
Queste ragioni oggi valgono per quattro No Tav, domani potrebbero valere per chiunque lotti contro le scelte non condivise, ma con il suggello della regalità imposto dallo Stato Italiano.
Fermare il Tav, costringere il governo a tornare su una decisione mai condivisa dalla popolazione locale è la ragion d’essere del movimento No Tav.
Ogni gesto, ogni manifestazione, ogni passeggiata con bimbi e cagnolini, non diversamente dalle azioni di assedio del cantiere, di boicottaggio delle ditte, di sabotaggio dei mezzi mira a questo scopo.
Con questa logica gran parte della popolazione valsusina è costituita da terroristi. E con loro i tanti che, in ogni dove, ne hanno condiviso motivazioni e percorsi.
Non serve molta immaginazione per capire cosa accadrebbe se il teorema dei PM torinesi dovesse essere accolto.

Ma…
La Procura torinese va oltre. Non si accontenta di equiparare le lotte al terrorismo, pretende di dimostrarlo.
Come gli inquisitori che tormentavano Winston, il protagonista del Grande Fratello orwelliano, la più modesta e pasticciona coppia di PM torinesi, non si accontenta di piegare il proprio nemico, vuole che la verità di Stato venga sancita dalle aule del tribunale.
Rinaudo&Padalino vogliono provare che la vittoria dei No Tav, la cancellazione della nuova linea tra Torino e Lyon, la rinuncia al progetto possano “arrecare grave danno ad un Paese”.
Nel farlo scendono con ineffabile sicumera su un terreno molto scivoloso.
La nozione di “grave danno” per un intero “Paese” suppone che vi sia un “bene pubblico”, un “interesse generale” che verrebbe irrimediabilmente leso se l’opera non si facesse.
Questo significa che il Tav deve necessariamente rientrare nell’interesse generale. Ma cosa definisce l’interesse generale, cosa costituisce il bene pubblico? Per i due PM la risposta è ovvia, quasi una tautologia: quello che un governo decide, gli accordi che stringe, gli impegni che si assume in nome di tutti. Nelle carte con cui sostengono l’accusa di terrorismo fanno un lungo elenco di prese di posizione, trattati che dimostrerebbero la loro tesi.
In altre parole la ragion di Stato e il bene pubblico coincidono, chi non è d’accordo e prova a mettersi di mezzo è un terrorista, nonostante attui una pratica non violenta, contro l’imposizione violentissima di un’opera non condivisa dalla gran parte della popolazione valsusina.
Vent’anni di studi, informazione, conoscenza capillare del territorio e delle sue peculiarità, le analisi sull’incidenza dei tumori, sulla presenza di amianto, sull’inutilità dell’opera non hanno nessuna importanza.
Un potere assoluto, sciolto da ogni vincolo di rappresentanza, foss’anche nella forma debole della democrazia delegata, prova a chiudere la partita nelle aule di tribunale.
Ne va della libertà di tutti. Persino della libertà di pensare ed agire secondo i propri convincimenti.

La ragion di Stato diviene il cardine che spiega e giustifica, il perno su cui si regge il discorso pubblico. La narrazione della Procura si specchia in quella offerta dai vari governi, negando spazio al dissenso.
Non potrebbe essere altrimenti. Le idee che attraversano il movimento No Tav sono diventate sovversive quando i vari governi hanno compreso che non c’era margine di mediazione, che una popolazione insuscettibile di ravvedimento, avrebbe continuato a mettersi di mezzo.

In questi anni, di fronte alle manifestazioni più nette della criminalità del potere tanti hanno parlato di “democrazia tradita”. Una illusione. Una illusione pericolosa, perché ha in se l’idea che questo sistema sia correggibile, che la violenza delle forze dell’ordine, la ferocia della macchina delle espulsioni, l’inumanità delle galere, la tortura nelle caserme, i pestaggi nei CIE e per le strade, le facce spaccate dai manganelli, le gole bruciate dai lacrimogeni, i lavoratori che muoiono di lavoro, i veleni che ammorbano la terra siano eccezioni, gravi, estese, durevoli ma eccezioni. La democrazia avrebbe in se gli anticorpi per eliminare i mali che la affliggono, per correggere la rotta, costruire partecipazione nella libertà.
L’introduzione nell’ordinamento di norme come il 270 sexies e il suo utilizzo contro attivisti No Tav è lo specchio di una democrazia che lungi dall’essere tradita, tradisce la propria intima natura, (di)mostra che l’unica possibilità offerta al dissenso è la testimonianza ineffettuale.

Chi disapprova le scelte del governo, delle istituzioni locali, delle organizzazioni padronali e dei sindacati di Stato rischia sempre più di incappare nelle maglie della magistratura, perché le tutele formali e materiali che davano qualche spazio al dire e al fare, sono state poco a poco annullate.
Le Procure hanno un ruolo sempre più forte nel disciplinamento dell’opposizione politica e sociale.
Non hanno neppure cambiato le leggi: è bastato un uso disinvolto di quelle che c’erano. Una violenta torsione del diritto per ottenere anni di carcere e lunghe detenzioni preventive.
Reati da tempi di guerra come “devastazione e saccheggio”, l’utilizzo di fattispecie come “associazione sovversiva”, “violenza privata”, “associazione a delinquere”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “vilipendio” della sacralità delle istituzioni sono le leve potenti utilizzate per colpire chi agisce per costruire relazioni all’insegna della partecipazione, dell’eguaglianza, della libertà.

La rivolta ultraventennale della Val Susa è per lo Stato un banco di prova della propria capacità di mantenere il controllo su quel territorio, fermando l’infezione che ha investito tanta parte della penisola.
Allo Stato non basta vincere. Deve chiudere la partita per sempre, spargere il sale sulle rovine, condannando i vinti in modo esemplare.
Da ormai quasi tre anni siamo in guerra. L’occupazione militare della Maddalena, le recinzioni di cemento e acciaio, il filo spinato, i soldati che alternano un turno in Clarea con uno in Afganistan ne costituiscono la materialità. In rapporto alla popolazione ci sono più uomini e donne in armi in Val Susa che ad Herat.
Presto dovranno allargarsi, piazzare le recinzioni e il filo spinato, costruire gli alloggiamenti per le truppe nella piana di Susa, per sbancare l’autoporto e costruire il cantiere per il tunnel mostro di 57 chilometri, il core business del grande affare della Torino Lyon.
L’osmosi tra guerra e politica è totale. La guerra interna non è la mera prosecuzione della politica con altri mezzi, una rottura momentanea delle usuali regole di mediazione, la guerra è l’orizzonte normale. In guerra o si vince o si perde: ai prigionieri si applica la legge marziale, la legge dei tempi di guerra.

In ballo non c’è solo un treno, non più una mera questione di affari. In ballo c’é un’idea di relazioni politiche e sociali che va cancellata, negata, criminalizzata.
Tra i No Tav non c’è un modello preciso, non c’è neppure una generale spinta rivoluzionaria che oltrepassi, frantumandolo, il mondo in cui siamo forzati a vivere.
Non è stata nemmeno abbandonata la pratica del voto, anche se tanti non votano e per chi lo fa, non è che un modo per  rallentare una corsa che solo l’azione diretta popolare può fermare davvero.
C’è tuttavia una consapevolezza diffusa, maturata nelle assemblee, nelle nottate ai presidi, nella materialità della lotta che costruire percorsi di libertà, giustizia sociale, solidarietà è davvero possibile. Lo abbiamo vissuto in quella breve frattura della  norma statuale delle Libere Repubbliche di Venaus e Maddalena, lo viviamo in quella prolungata vacanza dall’istituito, che ci siamo scavati in anni di lotta che hanno mutato le relazioni quotidiane, la pratica politica, le prospettive per il futuro.
Quando il tribunale del Riesame di Torino tira in ballo la nozione di “contesto” per giustificare un’accusa di terrorismo, lo fa a ragion veduta, in Val Susa spira un vento pericoloso, un vento di sovversione e di rivolta.
Intendiamoci. Lo Stato non ha paura di chi, di notte, con coraggio, entra nel cantiere e brucia un compressore. Lo Stato sa tuttavia che intorno ai pochi che sabotano c’é un’intera valle.
Maria Matteo
(quest’articolo è uscito sull’ultimo numero di Arivista)

Posted in idee e progetti, Inform/Azioni, no tav.

Tagged with , , , .


No Tav. Video intervista agli avvocati sugli arresti per “terrorismo”


Il 14 maggio comincia il processo contro quattro No Tav accusati di “terrorismo” per un’azione di sabotaggio al cantiere No Tav di Chiomonte dell’anno precedente. Nella lunga video intervista “Una giusta resistenza”, vari avvocati smontano un dispositivo, costruito per colpire quattro No Tav e, con loro, un intero movimento.

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà.

Tagged with , , , .


Sabotaggio. Dalle lotte operaie alla Val Susa

2014 03 21 manif fat sabotaggio copyGiovedì 27 marzo ore 21
Introducono il dibattito Cosimo Scarinzi della Cub e Maria Matteo del comitato No Tav Autogestione.

Sul tema ascolta la chiacchierata con Cosimo di qualche puntata fa di anarres

Sabot, in francese, significa “zoccolo”. Una calzatura che ormai usano in pochi. A cavallo tra l’Otto e il Novecento era molto diffusa tra contadini ed operai.
Gettare il proprio sabot in una macchina era un buon modo per incepparla, per “sabotarla”, per interrompere la produzione, per mettere i bastoni tra le ruote al padrone che sfruttava la tua vita per farsi ricco.
In tutta la storia delle lotte operaie c’è stato sabotaggio. A volte era pratica individuale o di un piccolo gruppo di lavoratori, che magari volevano solo guadagnarsi una pausa, altre volte era mezzo di lotta esplicito nei confronti del padrone.
In una società che difende la proprietà privata come fosse un bene comune, il sabotaggio è un gesto illegale.
Quando la diseguaglianza è sancita dalla legge, chi lotta per l’uguaglianza è considerato un fuorilegge.
In una società dove alle comunità locali è sottratta la facoltà di decidere di decidere sulla propria vita, chi si batte per la libertà è considerato un sovversivo.

Durante l’occupazione nazifascista il sabotaggio era pratica usuale delle formazioni partigiane. Per le truppe di occupazione i partigiani, i ribelli, erano considerati banditi, dopo la guerra divennero eroi di un’epopea di liberazione, che venne subito imbalsamata, perché i poveri e gli oppressi ne perdessero la memoria viva.

Da tre anni in Val Susa ci sono le truppe di occupazione. I governi hanno militarizzato la Valle per imporre con la forza un’opera inutile, costosa, dannosa per la salute e per l’ambiente.
Decine di migliaia di persone, della valle e solidali, si sono messe di mezzo per inceppare la macchina, per cacciare gli occupanti.

Centinaia di No Tav sono stati pestati, gasati, feriti. Sono quasi mille i procedimenti penali contro chi ha lottato contro il Tav.

Quattro No Tav sono in carcere accusati di “attentato con finalità di terrorismo”. Nel mirino della Procura un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte dello scorso maggio. Quella notte venne danneggiato un compressore. Un’azione di lotta non violenta che il movimento No Tav assunse come propria.
La Procura si avvale di un articolo del codice che stabilisce che chi si oppone attivamente ad una decisione del governo è un terrorista.
Fermare il Tav, costringere il governo a tornare su una decisione mai condivisa dalla popolazione locale è la ragion d’essere del movimento No Tav.
Ogni gesto, ogni manifestazione, ogni passeggiata con bimbi e cagnolini, non diversamente dalle azioni di assedio del cantiere, di boicottaggio delle ditte, di sabotaggio dei mezzi mira a questo scopo.
Con la logica della Procura gran parte della popolazione valsusina è costituita da terroristi.

Banditi, ribelli, partigiani della libertà

Posted in Inform/Azioni, lavoro, no tav, torino.

Tagged with , , , , , .


Il giorno di san Matteo

san matteoIl commissario alla spending review di Renzi, Carlo Cottarelli, ha presentato in Senato un piano di tagli che avrebbe l’obiettivo di raccogliere cinque miliardi.
Cottarelli, indossando i panni del tecnico neutrale, nella sua relazione ha tenuto a precisare che i “risparmi” proposti andranno sottoposti al vaglio della politica.

Il com­mis­sa­rio ha par­lato ieri di «sce­nari illu­stra­tivi». Uno di questi scenari contemplerebbe un “con­tri­buto di soli­da­rietà” da parte dei pen­sio­nati: Cot­ta­relli parte da chi ha 26 mila euro di reddito annuo, pari a poco più di 2000 euro lordi al mese. Non certo pen­sioni d’oro.

Le scelte finali le farà Mat­teo Renzi, saltando a piè pari lo stesso mini­stro dell’Economia Pier Carlo Padoan: Cot­ta­relli ha dichiarato che entro la pros­sima set­ti­mana spo­sterà il suo uffi­cio a Palazzo Chigi, dove defi­nirà il qua­dro dei tagli in vista del Def e del piano com­ples­sivo che verrà ulti­mato in set­tem­bre.

La cifra che più ha colpito i commentatori politici sono gli 85.000 esuberi nella pubblica amministrazione. Secondo Cottarelli si otterrebbe la riduzione dei lavoratori del pubblico impiego, bloccando del tutto il turn over, già oggi sensibilmente ridotto. Il commissario ha tenuto a precisare che la sua era «una prima stima di mas­sima che va affi­nata in base alle effet­tive riforme che dovranno essere chia­rite nel corso del 2014», con­fer­mando dun­que che la minac­cia c’è.
Non pare peregrino sospettare che una cura alla greca, con migliaia di licenziamenti, attenda l’Italia.

Se si mescolano gli scenari di Cottarelli con le suggestioni di Renzi, il quadro che emerge non è molto allegro. Estensione della precarietà, controllo delle insorgenze sociali tramite il sussidio di disoccupazione condizionato alla schiavitù, licenziamenti nel pubblico impiego, tagli alle pensioni. Chi sa? in questo modo Renzi potrebbe anche farcela a mantenere la promessa di san matteo: pagare i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese.
Chi sa se Renzi aveva chiara l’ambivalenza simbolica del richiamo al proprio santo protettore. Per chi non lo ricordasse, l’evangelista Matteo prima di darsi alla letteratura fantastica, faceva l’esattore delle tasse.
La solidarietà all’italiana: dal povero al ricco per il bene di tutti.

Ascolta la diretta di blackout con Francesco Carlizza

Se quelli di Cottarelli sono al momento solo scenari, la cura Renzi la possono già assaggiare i precari.
Il primo provvedimento sul lavoro ad entrare in vigore è quello che rende più flessibili i contratti a termine. Il decreto legge, approvato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri, è stato firmato il 20 marzo dal presidente della Repubblica Napolitano, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Un provvedimento pienamente nello spirito del Job Act. Le misure introdotte nel decreto sul lavoro riguardano soprattutto i contratti e l’apprendistato, rafforzando una condizione di precarietà senza limiti.

Ascolta, sempre dall’info di Blackout, la diretta con Andrea Fumagalli, ordinario di economia all’università di Pavia

Anarres ha provato a delineare le prospettive del governo Renzi, in equilibrio tra la continuità del modello post ideologico della seconda repubblica e nuovi strumenti di ammortizzazione delle possibili insorgenze sociali.
Ascolta l’approfondimento

Posted in economia, Inform/Azioni, lavoro.

Tagged with , , , , .


Big Pharma. Affari o salute?

farmaciBig Pharma è il cartello che riunisce in se tutte le più grandi multinazionali del farmaco, ovvero la potentissima lobby che detiene il monopolio delle cure sulla nostra salute. Ciò premesso, sono proprio le malattie che affliggono la popolazione, soprattutto quelle più terribili a costituire la fonte dei suoi guadagni. Per Big Pharma quindi le malattie croniche rappresentano una vera manna dal cielo poiché come noto lo scopo dichiarato delle Corporations non è aiutare il prossimo ma incassare guadagni. Di conseguenza, per le multinazionali produrre un farmaco a basso costo che sia realmente efficace in modo definitivo non si rivela mai un buon investimento.
L’iniziativa della Procura di Torino di mettere sotto inchiesta Novartis e Roche per la vicenda di due farmaci contro la maculopatia l’Avastin e il Lucentis ha riaperto il vaso di Pandora delle malefatte dell’industria dei medicinali.
La successiva decisione dell’Antitrust di multare con 180 milioni a testa le due multi per violazione delle leggi della concorrenza ha inferto un duro colpo a Roche e Novartis, ma nulla che intacchi realmente un sistema di lucro che può essere spezzato solo sottraendo al mercato la nostra salute.
Proviamo a capire meglio la vicenda Avastin/Lucentis.
Avastin e Lucentis sono i nomi con cui vengono commercializzati gli anticorpi monoclonali bevacizumab e ranibizumab, rispettivamente. Entrambi inibiscono il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (Vegf), funzionando pertanto come degli antiangiogenici, bloccando cioè la crescita di nuovi vasi sanguigni.

Avastin è registrato come farmaco per la cura del cancro, sebbene off-label, e basandosi su diversi studi, sia impiegato anche per la cura di patologie oculari. Lucentis, al contrario, è registrato per il trattamento di queste patologie, in particolare per quello della degenerazione maculare senile.
Avastin e Lucentis hanno prezzi molto lontani: un’iniezione di Avastin può arrivare a costare massimo 81 euro, mentre una di Lucentis si aggira intorno ai 900 euro (e tempo fa, ricorda l’Antitrust, costava anche di più: 1.700 euro). L’accordo tra Novartis e Roche per la vendita di Lucentis a discapito di Avastin, secondo l’Antitrust, sarebbe costato al Sistema sanitario nazionale circa 45 milioni di euro in più solo per il 2012.
L’Antitrust accusa le due aziende farmaceutiche di essersi accordate per ostacolare la vendita di Avantis a favore del ben più costoso Lucentis. Come? “Le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le filiali italiane, hanno concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, presentando il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari”, scrivono dall’Agcm. In questo modo, e grazie a rapporti che legano le due aziende, entrambe avrebbero ricevuto i propri guadagni. Roche infatti avrebbe interesse a favorire le vendite di Lucentis, perché otterrebbe così da Novartis royalty: il farmaco (così come Avastin) è stato infatti sviluppato dalla Genentech, controllata di Roche. Novartis, oltre a guadagnarci direttamente, lo farebbe anche indirettamente, attraverso la sua partecipazione (oltre il 30%) in Roche.

Farmaci di nicchia, a elevata specializzazione e, soprattutto, sempre più costosi. La vicenda dei due grandi gruppi farmaceutici multati dall’Antitrust italiano apre una finestra su un futuro sempre più probabile, disegnato dalle strategie intraprese da Big Pharma per uscire dalla sua crisi. Gli ultimi anni sono stati tra i più difficili da affrontare per le multinazionali farmaceutiche, strette come in una tenaglia tra la spending review dei governi alle prese con le restrizioni di bilancio e la scadenza ravvicinata di numerosi brevetti che avevano garantito per anni introiti sicuri alle principali società.

L’esplosione del mercato dei farmaci equivalenti ha ricevuto una spinta decisa dalle politiche sanitarie: in Giappone, dove l’invecchiamento della popolazione porterà a un rapido aumento della spesa per medicinali, il governo ha fissato la soglia minima per le prescrizioni di generici al 60% entro il 2018. Un livello quasi doppio rispetto a quello attuale in Italia, ed elevatissimo anche per Germania e Gran Bretagna dove con difficoltà si sfiora il 50%.

Il calo del fatturato dovuto al cosiddetto patent cliff è stato stimato in 170 miliardi di dollari fino al prossimo anno per i grandi gruppi, che per superare l’ostacolo hanno deciso di rivedere le strategie.
Sempre meno ricerca vera su nuove molecole, sempre maggiore riproposizione di vecchi farmaci, magari truccati ad arte per aumentare prezzi e profitti.
La ricerca è soprattutto in settori di nicchia, dove con difficoltà un piccolo competitore potrebbe, alla scadenza del brevetto, proporre prodotti equivalenti e minor prezzo.
Va da se che per le malattie dei poveri non ci sono investimenti perché non garantirebbero profitti adeguati.

Ascolta la diretta di radio blackout con Ennio Carbone, docente alla facoltà di medicina dell’ateneo “Magna Grecia” di Catanzaro

Posted in economia, Inform/Azioni.

Tagged with , , , , , .


Tav. Polveri sottili, bugie pesanti

Schermata-2014-03-14-a-09.27.42-720x375I dati sui primi campionamenti ambientali del cantiere di Chiomonte confermano i timori dei No Tav per la salute. Sono conferme amare, tanto più amare perché riguardano solo un cantiere piccolissimo a paragone di quelli che proveranno ad aprire per la realizzazione dell’opera. I dati sono di Ltf, il General Contractor della Torino Lyon. Non possono esserci dubbi sullo schieramento si Tav, di chi, per obbligo di legge, li ha forniti. I dati sintetizzano i valori di pm10, polveri sottili responsabili di un gran numero di patologie anche mortali, riscontrati nel punto di rilevamento denominato 5.4 a La Maddalena, con un campionamento giornaliero da marzo a settembre 2013.

Le bugie del commissario alla Torino Lyon, Virano, dei partiti Si Tav, di LTF, di stampa e TV e di alcuni sindaci collaborazionisti hanno le gambe corte.
Vale la pena ricordare che sul territorio di Chiomonte, come in ogni altro comune italiano, la massima responsabilità della salute dei cittadini ricade sul sindaco, quel Renzo Pinard, fanatico sostenitore dell’opera, che da anni minaccia a vuoto le dimissioni in caso di militarizzazione del “suo” paese. Centinaia di militari di guardia al fortino/cantiere, posti di blocco asfissianti non sono bastati per indurlo alla coerenza.
Se la salute dei suoi compaesani gli sta a cuore quanto la loro libertà, c’é ben poco di buono da aspettarsi. Staremo a vedere.

Ma diamo un’occhiata ai dati.

legislazione-pm10

Il valore massimo di pm10 consentito per legge nelle 24 ore è di 50μg/m3, viene permesso uno sforamento a questo valore per un massimo di 35 giorni all’anno. La media annuale non deve superare i 40μg/m3.

Noi abbiamo a disposizione nel 2013 i dati per 189 giorni, da marzo a settembre, durante i quali ci sono stati ben 88 sforamenti! Corrisponderebbero a 170 sforamenti l’anno. 5 volte il consentito. Particolarmente allarmanti i valori riscontrati in alcune giornate: il 4 marzo il valore medio era di 179μg/m3, il 12 dello stesso mese 189μg/m3, il 18 aprile 127μg/m3, il 31 luglio 140μg/m3. E stiamo parlando di valori medi giornalieri, non di picchi.

Il valore medio di concentrazione delle polveri è anch’esso inquietante. In nessun mese è stato inferiore al valore limite (40μg/m3) e la media totale è di 53,3μg/m3. Tenete conto che stiamo parlando di un punto di rilevazione che seppur non distante da una autostrada è pur sempre situato in una ventosa valle alpina! Ma veniamo proprio all’autostrada. Qualcuno potrebbe pensare che questi valori siano dovuti alla circolazione autostradale, cosa sicuramente vera, ma solo in parte. Abbiamo infatti a disposizione anche i rilevamenti fatti da Ltf ante operam, nel 2012 (che poi davvero ante operam non sono, dato che dal luglio 2011 sono iniziati i lavori preparatori). Su 63 giorni campionati ci sono stati 6 sforamento del limite di 50μg/m3, e la media della concentrazione di pm10 è stata di 34,9μg/m3. Nel 2012 vi è 1 sforamento ogni 10 giorni campionati, non quasi 1 sforamento ogni 2 giorni come nel 2013. Non è credibile che emissioni così importanti siano causate dal traffico autostradale, che è rimasto sostanzialmente identico con un leggero calo. Tenete conto che i dati del 2013 si riferiscono per di più a un periodo in cui ancora non era incominciato lo scavo vero e proprio del tunnel, con le colonne di polveri visibili a chiunque abbia la ventura di passare per la Clarea.
Crediamo che questi dati non abbiano bisogno di commenti. Sono la mera la conferma delle tesi di chi si oppone all’opera: il Tav oltre ad essere un enorme spreco di risorse pubbliche per un’opera inutile, è anche un grosso rischio per la salute di tutti quanti noi. In nome del profitto di pochi il governo di turno mette a repentaglio la vita di tutti.

Ascolta su blackout l’intervista  con Luca Giunti, naturalista e consulente della Comunità montana

Posted in ambiente, Inform/Azioni, no tav.

Tagged with , , , , , , .


Europa. Madre e matrigna

pensatore-500x254La paura genera mostri. La crisi, l’estendersi della disoccupazione, la precarietà come orizzonte normale, la perdita di tutele da parte di ceti impoveriti e rancorosi, favoriscono la chiusura identitaria. Tornano le patrie, le bandiere, la voglia di serrare le porte.
Quando l’internazionalismo degli sfruttati e degli oppressi non è più lessico comune, aspirazione capace di liberare, utopia concreta, tornano i fantasmi della nazione, dell’identità che si alimenta dell’esclusione, delle frontiere e delle barriere.
Il sogno del paradiso perduto coincide con quello dello Stato che tutela, dei padroni buoni che producono contro i banchieri cattivi che speculano, dei politici onesti contro la casta dei corrotti.
La destra, quella istituzionale non meno di quella più estrema trae linfa vitale da questa diffusa seduzione nazionalista. Dalla Grecia all’Italia, alla Francia tira un’aria grama.
Gli istituti di statistica prevedono una significativa affermazione delle forze nazionaliste ed anti UE alle prossime elezioni europee.
La molla di questa possibile svolta a destra è il bisogno di chiudersi tra le mura domestiche per proteggersi da un’Europa, dove la Germania gioca con Italia, Grecia, Portogallo, Spagna il ruolo che il Piemonte ebbe con le regioni del sud dopo la conquista e l’annessione del regno delle due Sicilie.
I fascisti alimentano la paura e se ne alimentano, contando di riuscire a raccogliere voti, giocando sull’illusione di poter fermare il treno in corsa, di poter erigere una barriera protezionista intorno ai sacri confini.
L’ondata “forcona” di dicembre, sebbene abbia avuto adesioni ampie solo in alcuni luoghi, ha mostrato che la spinta anti casta, anti sistema, contro le tasse, le lentezze della burocrazia, il sistema immobile dei partiti, la corruzione dilagante che un anno fa si era espressa elettoralmente nel successo del Movimento Cinque Stelle, poteva assumere un carattere potenzialmente eversivo. Per la prima volta un movimento fatto di nulla, nato da un’aggregazione di destra ma decisamente improbabile, lanciava una lotta ad oltranza per mandare tutti a casa.
Tutto è finito in farsa, ma le spinte che muovevano quelle piazze non si sono certo chetate. Probabilmente stanno cercando altre strade, altre possibilità.
Piazza Indipendenza a Kiev, ribattezzata Euromaidan, con i suoi preti, fascisti, cecchini, bandiere e passioni pareva la versione tragica delle piazze tricolori dei forconi italiani.
Il paradosso che il nazionalismo ucraino si incanalasse verso l’abbraccio con l’Unione Europea, mentre le piazze nostrane erano attraversate da tensioni esplicitamente antieuropeiste è solo apparente, perché la spinta è la medesima: paura di restare ai margini, sogno di un benessere che fugge, bisogno di protezione.
L’Ucraina è, oltre alla Moldova, l’unico stato della galassia post sovietica dove le condizioni di vita della popolazione siano peggiorate, dopo la caduta del muro di Berlino. Le mura della fortezza Europa paiono agli ucraini dell’Euromaidan una protezione, una viatico verso un futuro migliore.
Al contrario, per chi, nell’UE, patisce le conseguenze delle politiche economiche dettate dalla governance transnazionale, l’Europa a guida tedesca diventa il nemico da abbattere.
Sui social network, nei bar di periferia, tra la gente al mercato girano le moderne teorie del complotto, una riedizione nel secondo millennio delle paccottiglia degli anni Trenta del secolo scorso. Roba che puzza di terra e sangue, di terra intrisa del sangue degli estranei, degli stranieri, dei nemici da eliminare per preservare la propria purezza.
Le chiacchiere sul “signoraggio”, il club Bildeberg e il grande complotto delle banche per governare il mondo, girano sottobanco come le rivistine porno negli anni Cinquanta, e infettano il corpo sociale, dando corpo alle proprie paure, individuando i nemici da abbattere.

Nella grande partita per le elezioni europee, Beppe Grillo, consapevole del rischio che una parte del proprio elettorato navighi verso destra fa un gran coup de theatre, sperando di intercettare i voti in libera uscita dal Carroccio.
Le recenti dichiarazioni di Grillo sul possibile successo di spinte secessioniste centrifughe in tutta la penisola la dicono lunga sull’astuzia politica di chi capisce l’aria che tira. Come tutti gli animali da palcoscenico Grillo sa cogliere gli umori della propria platea, e li fa propri.
Grillo sostiene che viviamo un «incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant’anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore di pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all’estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche». Subito dopo Grillo evoca l’immagine di un’Italia dove risorgono la Serenissima, il Granducato di Toscana, il Regno delle due Sicilie, ma gli argomenti sono i medesimi che animano le piazze “forcone” e la propaganda di destra. Solo gli esiti sono diversi, perché, dopo un anno in parlamento, al Movimento cinque stelle non resta che dichiarare irriformabile la democrazia italiana, puntando sulle macroregioni come fucina di una democrazia rinnovata. Un trucco elettorale? Un gioco delle tre carte? Probabile. Resta il fatto, che, nonostante tutti sappiano che quelli che girano le carte vincano sempre, tuttavia i loro banchini sono sempre affollati.
I venditori di sogni di carta non perdono mai.

Chi invece perde sempre è la sinistra civilizzata, quella che crede che l’Europa possa essere cambiata e diventare un terzo polo. Imperialista ma buona, democratica. Sono gli stessi che non vogliono gli F35 fabbricati dalla Loockeed Martin, perché preferiscono il bombardiere europeo, l’Eurofighter.
È sempre la stessa compagnia di giro della COSA e della lista Ingroia: con qualche sali e scendi dalla carrozza, che tra un pantano e l’altro, arranca sul margine sempre più stretto tra partito e movimento. L’illusione della rappresentanza si sta lentamente dissolvendo, mentre qua e là persiste quella della tutela istituzionale. Nel calderone intellettuali, politici di professione rimasti senza stipendio, vecchi disobba in cerca di autore. Al momento di fare le liste si sono aperte le prime crepe, perché, al di là dei proclami, è sempre lo stesso triste gioco delle poltrone.
La lista Tsipras, l’ennesima incarnazione della galassia della sinistra orfana di rappresentanza istituzionale, è l’ultimo esperimento di un ceto politico alla canna del gas, che spera di candidarsi alla rappresentanza di movimenti che se la cavano benissimo senza padri e padrini. E ne sono sempre più consapevoli.
La scommessa è che questa consapevolezza si traduca in percorsi di autonomia dall’istituito, che sappiano prefigurare prospettive di autogoverno e autogestione territoriale, dove i legami si danno nella solidarietà e nella pratica di lotta fuori e contro vecchie e nuove frontiere. Vecchi e nuovi muri.

Posted in Inform/Azioni, politica.

Tagged with , , , , , .


Renzi. La mossa del cavallo

renzi-landini-camussoMatteo Renzi ha accennato la mossa del cavallo con Susanna Camusso, annunciando una riduzione del cuneo fiscale per i redditi medio bassi. Per la prima volta, sorpassando in audacia anche il cavaliere dalle mille maschere, Renzi interviene sui salari, aggirando CGIL, CISL, UIL. Il flirt con Landini, l’educata nonchalance con cui congeda Camusso che minaccia lo sciopero generale, buttando lì la battuta “ce ne faremo una ragione”, danno la misura dell’attacco alle burocrazie sopravvissute alla prima repubblica, quelle democristiane non meno di quelle postcomuniste. Bindi e Camusso sono l’incarnazione – anche fisica – del nemico da abbattere, il cui spazio – anche immaginario – è nell’alterità radicale che esprimono rispetto al maschio, giovane, rampante, spregiudicato, leggero.
La mossa di Renzi è l’affondo più duro mai sferrato a CGIL, CISL, UIL. Nulla che non si potesse prevedere. Colpire a fondo un ceto burocratico, sempre più inutile nell’ammortizzare un conflitto sociale, che non è nemmeno capace di re-suscitare per giustificare le notevoli risorse che assorbe, è un passaggio necessario al consolidamento della propria leadership.
Renzi ha vinto di slancio contro avversari indeboliti dalla mancata vittoria elettorale dello scorso anno, ma oggi, senza passaggio elettorale, Renzi governa con un parlamento dove i suoi avversari interni possono contare su numeri molto forti.
La mossa sul cuneo ha un effetto di detournemant notevole: Renzi può accreditarsi come l’uomo che interviene sui salari, dando fiato ai lavoratori dal reddito più basso, mentre si prepara a giocare davvero la carta della riforma del lavoro. Oggi qualche soldo in busta, domani il job act.
Il Primo Ministro cammina sul filo del rasoio. La partita è aperta.

Aggiornamento al 13 marzo. Alla fine CGIL, CISL, UIL se ne “sono fatta una ragione”. Oggi, dopo l’annuncio del taglio del cuneo fiscale per 10 milioni di lavoratori, pur continuando a lamentarsi per essere stati ignorati, i segretari delle tre maggiori confederazioni sindacali plaudono il premier. Camusso si sbilancia e dichiara: “Mi verrebbe quasi da dire che il Governo abbia letto il piano di lavoro della Cgil», aggiungendo « Vedo che il presidente ci ha ascoltato».

Ascolta l’intervista fatta dall’info di blackout a Cosimo Scarinzi della Cub

Posted in Inform/Azioni, politica.

Tagged with , , , .


Fukushima. La morte lenta

fukushimaDopo tre anni dal terremoto e dallo tsunami in Giappone, la centrate Daiichi di Fukushima, che ebbe un incidente gravissimo, secondo solo a quello di Chernobyl, continua a mietere vittime.
Recenti studi sui bambini rivelano un moltiplicarsi di patologie da radiazioni, che ne compromettono la salute.
In questi anni la propaganda del governo ha cercato di minimizzare i pericoli per giustificare il progressivo ritorno al nucleare dopo lo stop imposto dalle grandi proteste che seguirono il disastro di Fukushima.
Nei fatti per un’area di 30 chilometri intorno alla centrale non è possibile vita umana. Chi abita intorno a quel perimetro è obbligato ad adottare misure di sicurezza per evitare di ammalarsi.
Il grave inquinamento delle acque e dei terreni fa sì che, di settimana in settimana gli alimenti entrino od escano dalla tabella di quelli consentiti. Basta una lieve oscillazione perché un cibo finisca sopra o sotto l’asticella che convenzionalmente divide la zona a richio da quella “sicura”.

Nei fatti solo al reattore quattro della centrale, che al momento dello tsunami era spento per manutenzione, sono state rimosse dalla piscina le barre di combustibile irraggiato. Negli altri tre impianti numerosi sono i segnali che la situazione è del tutto fuori controllo.
E’ di settembre la notizia che, intorno ai reattori nucleari, verrà costruito un muro di ghiaccio sotterraneo per tentare di impedire altre infiltrazioni e fuoriuscite di liquidi contaminati dalla centrale di Fukushima.
Attualmente migliaia di tonnellate di acqua radioattiva sono conservate in serbatoi temporanei e vengono usate per raffreddare i reattori. La Tepco ha ammesso che quest’acqua, altamente contaminata, potrebbe raggiungere l’oceano Pacifico, oltre alle zone vicine alla centrale. Ogni giorno circa 300 le tonnellate di acqua contaminata finiscono in mare.

Ascolta l’intervista realizzata dall’info di Blackout con con Marco Tafel, attivista antinuclearista.

Posted in ambiente, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , .


Una bandiera No Tav per l’ANPI

anpi no tav1Sabato 8 marzo. Sulla cancellata di ingresso della sede della sezione ANPI “Renato Martorelli” di via Poggio è stato appeso nella notte uno striscione con la scritta “No Tav liberi”, accanto è stata issata una bandiera No Tav.
Un anonimo reporter di passaggio nel cuore di Barriera di Milano ha scattato qualche foto.
Facile intuire le ragioni di un gesto che parla da solo. Il giorno prima proprio da quella sezione ANPI era partita l’iniziativa di una serata in cui si mescolavano la mafia, il terrorismo e il movimento No Tav. Ospiti d’onore l’ex Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli e l’ex parlamentare del Partito Comunista Italiano Dino Sanlorenzo. Un esponente di punta del “nuovo corso” della sinistra dopo la caduta del muro di Berlino e un anziano stalinista.
Quella stessa sera circa 150 No Tav hanno fatto un presidio rumoroso a pochi metri dalla sala di via Leoncavallo, dove, circondati da camionette e poliziotti in tenuta antisommossa, parlavano Caselli e Sanlorenzo.
Il presidio è poi diventato corteo nelle vie limitrofe.

L’arresto di quattro No Tav in carcere da tre mesi con l’accusa di “attentato con finalità di terrorismo” è stato il sigillo finale della carriera di Caselli. Un curriculum vitae che culmina con la missione di attaccare con inaudita violenza il movimento No Tav. La facciata del “democratico” che persegue i “fatti” e non le idee si infrange nel mare di carte processuali che dimostrano un fatto solo: la volontà di trasformare usuali pratiche di lotta in reati gravissimi. L’accusa di terrorismo per un compressore danneggiato è solo la punta di un iceberg. Nella neolingua di Caselli e dei suoi tutto cambia di segno: un blocco stradale si trasforma in violenza privata, un banale sabotaggio diventa terrorismo, la resistenza ad uno sgombero un atto eversivo.
Di Sanlorenzo è sufficiente ricordare il famigerato questionario anonimo, che invitava alla delazione per scovare i “terroristi”. Erano gli anni Settanta e, con il pretesto della lotta armata, quelli come Sanlorenzo tentarono ogni mezzo, persino quelli più vili, per tappare la bocca ai tantissimi, specie nelle periferie operaie come Barriera, lottavano per un mondo senza padroni, sfruttamento, dominio.

Pochi lo sanno. Proprio negli anni Settanta il circolo Risorgimento di via Poggio, lo stesso che ospita la sezione ANPI “Renato Martorelli”, venne commissariato dai vertici del Partito Comunista.
Oggi come trent’anni fa offre l’immagine di un centro sociale frequentato soprattutto da anziani, tra caffè, vino, gioco delle bocce.
Nessuno avrebbe oggi potrebbe immaginare che in quel circolo sonnacchioso, dove si ritrovavano anche tanti partigiani, negli anni Settanta qualcuno avesse osato discutere la linea del Partito, sostenendo che le insorgenze sociali di quegli anni fossero legate con un filo rosso alla guerriglia partigiana.
Ogni 25 aprile proprio da quel circolo un drappello sempre più sparuto di anziani con la banda e i gagliardetti esce per un breve giro nelle strade vicine.
A volte chi conserva la memoria è il primo a tradirla.

L’auspicio è che la bandiera No Tav offerta all’ANPI questa notte, una bandiera di lotta e di Resistenza, ricordi che la lotta partigiana era lotta di ribelli, fuorilegge, banditi.

Chi ricorda oggi la Barriera delle barricate elettrificate del 1917, quella degli scioperi di mesi, le casse di mutuo appoggio e i bambini mandati in campagna in una rete di solidarietà che permetteva ai loro genitori di resistere meglio sapendoli nutriti?

Chi ricorda gli operai della Fiat Ricambi – adesso di chiama IVECO – che bloccavano le strade, la produzione in scioperi senza regole né lacci?
Chi ricorda che mettere qualcosa nell’ingranaggio, sabotare la produzione, magari solo per riposare un’oretta e fare due chiacchiere, era normale in lungo Stura Lazio?
Chi ricorda una Barriera dove la gente, anche quella che non sapeva di barricate e sabotaggi, sapeva però sempre da che parte stare?

Lo ricordano quelli che oggi, in questo quartiere, in Val Susa, in ogni dove, quella memoria la fanno propria nella lotta.

Posted in antifascismo, Inform/Azioni, no tav, torino.

Tagged with , , , , , .


Antifascisti in manicomio. I lager della follia

2014 02 28 antifa manicomio copyVenerdì 7 marzo
“Capaci di intendere e volere. La detenzione in manicomio degli oppositori al fascismo” di Marco Rossi.

Presentazione del libro con l’autore alle 21 in corso Palermo 46

La psichiatria nasce come scienza dedita alla normalizzazione e alla reclusione e, da quando esiste, svolge il suo ruolo repressivo affiancando poteri politici, sociali e religiosi.
In Italia il sistematico utilizzo del manicomio per reprimere silenziosamente gli oppositori era stato teorizzato nell’Ottocento dal criminologo Cesare Lombroso e applicato dallo Stato liberale contro il nascente movimento operaio e contadino.

Ascolta l’intervista con Marco Rossi

Durante il regime fascista centinaia di donne e di uomini, “schedati” per le loro idee e il loro agire in contrasto con l’ordine costituito, sono stati privati della libertà, non solo in carcere o al confino, ma anche dentro strutture manicomiali.
La psichiatria diventa complice del potere, il sapere medico viene asservito al potere poliziesco e giudiziario: la detenzione manicomiale venne praticata con logica totalitaria e disumana, nel tentativo di zittire le voci del dissenso e di annientare le vite e le intelligenze non sottomesse, rinchiudendo e torturando i corpi delle persone libere nei lager della follia.

Le diagnosi usate per internare oppositori e dissidenti erano “politiche”: epilessia politica, follia bolscevica, squilibrio politico, altruismo morboso, pericolosità sociale. Queste etichette dimostrano come un pensiero possa subire lo stravolgimento della propaganda e possa essere fatto passare per deviante, e messo pertanto fuori gioco. Se infatti all’interno di un carcere o al confino, l’individuo mantiene la sua dignità di oppositore, all’interno del manicomio esso è un “folle” come tanti e il suo pensiero è frutto della sua malattia.

Ancora oggi, a trent’anni dalla chiusura dei manicomi, la psichiatria continua nelle pratiche di etichettamento diagnostico, marginalizzazione, repressione e manicomializzazione di individui ed esperienze non allineate e non allineabili. Oggi l’internamento viene fatto attraverso pratiche “eccezionali e di urgenza”, come il trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Vicende tragiche come quella di Franco Mastrogiovanni, morto dopo essere stato abbandonato legato ad un letto per quattro giorni, ne hanno svelato la violenza e atrocità.
Gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), lontana eredità della scuola di Lombroso, avrebbero dovuto chiudere un anno fa, resteranno aperti sino al 2018. Sono luoghi di reclusione e tortura, dove uno psichiatra può decretare la reclusione a vita, anche se il reato per il quale si è stati dichiarati “incapaci di intendere e volere”, è un banale furtarello.

Oltre alla reclusione coatta, la psichiatria oggi più di ieri continua ad inventare nuove malattie, ad etichettare comportamenti finora ritenuti “normali” e che diventano “devianti” e da curare, allargando così il suo bacino di utenti e consumatori di psicofarmaci. L’invasione della diagnosi nelle nostre vite e l’uso istituzionale di pseudopatologie, smitizzano anch’esse la pretesa imparzialità della psichiatria, così come le storie raccontate in questo libro.

Ancora una volta la follia non è quella degli ospiti dei manicomi, ma piuttosto la follia degli psichiatri e delle loro diagnosi, la follia delle parole di Lombroso, la follia di una scienza asservita al potere.

Posted in antifascismo, controllo, Inform/Azioni, repressione/solidarietà, torino.

Tagged with , , , , .