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Il Procuratore, lo Stalinista e i No Tav

no tav bandiera terrostatoTorino, giovedì 6 marzo. Questa sera presso la sede della VI circoscrizione nella sala delle circoscrizione di via Leoncavallo la sezione Anpi “Renato Martorelli”, il comune di Torino, la sesta circoscrizione, e l’associazione I.SO.LE organizzano un incontro con l’ex Procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli e l’ex parlamentare del PCI Dino Sanlorenzo. Nadia Conticelli, presidente della sesta circoscrizione, farà il saluti, il dibattito sarà presieduto da Francesco Vercillo, il presidente della sezione ANPI “Renato Martorelli” di via Poggio.
Di cosa parleranno?
Qui comincia il giallo.
Se andate sul sito della sezione Anpi “Renato Martorelli” trovate una locandina dal titolo “Abbiamo sconfitto il terrorismo, non la mafia”. Più sotto c’è qualche riga in più:
“Come riconoscere il terrorismo e la mafia, per arginarne la diffusione.
Come isolare le frange anarco insurrezionaliste in guerra contro lo Stato e le sue istituzioni.
Come difendersi e attaccare mafia e terrorismo.
Il terrorismo può radicarsi nel movimento contro la Tav?
Esiste un pericolo terrorismo in questo momento?”

Se invece andate sul sito della sesta circoscrizione trovate la stessa locandina, con la medesima grafica e lo stesso titolo ma il testo sotto è diverso. Monco: mancano due righe.
“Come riconoscere il terrorismo e la mafia, per arginarne la diffusione.
Come isolare le frange violente in guerra contro lo Stato e le sue istituzioni.
Come difendersi e attaccare mafia e terrorismo.
Esiste un pericolo terrorismo in questo momento?”

Chi ha cambiato le carte? I vecchi stalinisti dell’Anpi di Barriera hanno avuto l’idea e quelli della Circoscrizione l’hanno prudentemente ammorbidita? Hanno fatto confusione? Non sono d’accordo tra di loro?
Difficile dirlo.

Di una cosa siamo sicuri. L’ex Procuratore di Torino Caselli e Dino Sanlorenzo, due generazioni di autoritari con in mezzo il muro di Berlino, hanno le carte in regola per meritare un folto pubblico di No Tav.

Una vecchia canzone partigiana diceva “Il bersagliere ha cento penne, l’alpino ne ha una sola, il partigiano ne ha nessuna, ma sta tra i monti a guerreggiar”.
È tempo che la memoria tenuta in ostaggio dall’ANPI sia liberata, restituendo a chi ha combattuto ed è morto per le strade di Barriera di Milano, la propria dignità politica e morale.

Quattro No Tav saranno processati per terrorismo perché accusati di aver partecipato ad un’azione di sabotaggio al cantiere/fortino di Chiomonte. Un’azione fatta propria dal movimento No Tav, che in questi anni, tra manifestazioni popolari, azioni dirette, blocchi, occupazioni, ha dimostrato di avere le idee chiare sul “terrorismo”. Terrorista è chi devasta, saccheggia e occupa militarmente il territorio.
Caselli è l’uomo che ha voluto quest’ennesima operazione repressiva contro i No Tav, il suo fiore all’occhiello prima della pensione, e, chi sa?, il volano per una nuova carriera in politica.

Noi non sappiamo se tutti i partigiani di Barriera oggi sarebbero con noi o con quell’anziano stalinista di Dino Sanlorenzo, l’inventore negli anni Settanta dei questionari sul terrorismo, messaggi anonimi per denunciare il vicino di casa un poco strano, o a fianco di Caselli, il procuratore “antimafia” che perseguita i No Tav e chiude gli occhi di fronte agli appalti allegri per il cantiere di Chiomonte.
A dire il vero ne dubitiamo.
Siamo però convinti che uno come Ilio Baroni, anarchico dell’UAI, operaio delle Ferriere, capo del Sap della sua fabbrica, ucciso in combattimento dai nazisti all’angolo tra corso Novara e corso Giulio Cesare, probabilmente una capatina in via Leoncavallo la farebbe.

L’appuntamento è questa sera alle 20 in via Leoncavallo angolo corso Novara

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Esodo, conflitto, rivoluzione

39cd050084895d4471f87fa785416aa4Potere è temine carico di un’ambiguità semantica costitutiva, che ne divarica gli ambiti di senso. Nella nozione di “potere” è racchiuso sia il “poter fare” che il “poter far fare”. Non per caso qualche anno fa Amedeo Bertolo sulle pagine della rivista “Volontà” fece la proposta di separare il poter fare dal poter far fare, definendo il primo “potere”, il secondo “dominio” ed introducendo la mozione di autorità, come esercizio di influenza che non si impone ma si propone.
Il poter fare mantiene tuttavia un’ambiguità che si alimenta nella divaricazione politica tra il poter fare come “diritto” ed il poter fare come “condizione di libertà”. Pensarlo nella categoria dei “diritto” ne limita l’esercizio a quanto accettato e reso possibile dalle istituzioni statali, declinarne il senso come “condizione di libertà” apre alla sperimentazione, al dispiegarsi di realtà istituenti che si diano fuori e contro l’ambito statuale, foss’anche in chiave democratica.

Una riflessione attenta al tema del potere, ci aiuta a ragionare sui margini ed i limiti della pratica libertaria a metà del secondo decennio del secolo. Un secolo che si afferra alla coda dolente di quello che l’ha preceduto, nel lungo distacco dalla politica ideologica, dalla ferocia dispiegata dei totalitarismi, e, insieme, dalla vischiosità della democrazia, dal lieve ma fortissimo abbraccio delle merci, catene immateriali di un vivere asservito.

In tempi di crisi pare che l’orizzonte politico e sociale sia intrascendibile. Le lotte che si limitano al qui ed ora, provando a limitare i danni, ne sono il segno. Si va dall’impedire la chiusura di una fabbrica, negoziando sulla nostra pelle il prezzo, alla protesta contro l’erosione dei servizi elargiti dallo Stato, a quella per impedire la gentrificazione di un quartiere.
Eppure. Eppure la crisi, la perdita irreversibile di un ampio sistema di garanzie e tutele, la fine dello scambio socialdemocratico tra sicurezza e conflitto, ci offre prospettive inesperite. E, qua e là, paiono aprirsi anche altre possibilità.
Possibilità per costruire nel conflitto, possibilità per fare dell’esodo il punto di forza per l’estendersi di lotte che non vogliono negoziare i propri obiettivi con l’istituito.
La possibilità di riprenderci le nostre vite, sperimentando i modi per garantir(ci) salute, energia, cura degli anziani e dei bambini fuori e contro il recinto statuale. La scommessa è tentare percorsi di autonomia che ci sottraggano al ricatto del “peggio”, alla continua evocazione dell’apocalisse che abbatte chi non segue i diktat della politica nell’epoca del liberismo trionfante, della finanza anomica, della logica del fare per il fare, perché chi fa mette in moto l’economia, fa girare i soldi, “crea” ricchezza.
Sappiamo che questa logica “crea” solo macerie.
Frammenti di questo percorso sono talora nelle lotte territoriali, dove nei momenti più alti si ri-crea uno spazio pubblico strappato alla delega democratica: in questi ambiti l’emergere della coscienza collettiva allude all’incompatibilità tra capitalismo e salute, tra capitalismo e futuro, offrendo spazi all’emergere di un immaginario, che mette all’ordine del giorno, come necessità di sopravvivenza, la rottura dell’ordine della merce.
In questo puzzle la cui trama è costantemente in fieri, altri pezzi si possono rintracciare nelle lotte contro gli sfratti e per l’occupazione di spazi vuoti. Lotte che spesso non si limitano a (cercare) di sottrarre alcuni beni al controllo del mercato, ma negano legittimità alla nozione stessa di proprietà privata.
Chi si illude che esista uno spazio di negoziazione, chi ha costruito una teoria dei beni comuni, che sottrae e sacralizza alcuni ambiti, lasciando però intatta la struttura relazionale basata su sfruttamento e dominio, è un illuso, nostalgico della socialdemocrazia delle mutue e del liberalismo delle favole. Non solo. Nella materialità trasforma una pratica radicale di riappropriazione in terreno di mediazione politica per l’ennesima escrescenza partitica della sinistra “radicale” italiana, orfana di partito dopo l’esplosione della supernova rifondata.
Da evitare come la peste, peggio della peste, perché alimenta ancora una volta l’illusione che sia possibile riformare la democrazia, un sistema di potere che, per quanto corrotto e corruttibile, manterrebbe un proprio nucleo assiologico potente, capace di ri-portare la barra al centro, ri-consegnando al “popolo” la propria sovranità.
I guai cominciano quando scendono in campo gli specialisti della mediazione, ceto politico che prova a rappresentare i movimenti. Specialisti del “realismo”, del buon senso, della necessità di fare cassa, di portare a casa il risultato. I loro spazi di manovra oggi sono ridotti dall’asprezza stessa del conflitto sociale, dalla difficoltà dei governi a porsi sul piano della mediazione, dalla sempre più marcata attitudine disciplinare nel trattare le questioni sociali.
Può tuttavia capitare che il governo sia obbligato a cercare una mediazione, per evitare una sconfitta plateale. Un buon esempio sono le ricette che negli ultimi mesi stanno provando a mettere in campo per nascondere il tracollo della macchina delle espulsioni, il fallimento del sistema CIE. Nella ricetta c’è sia l’esternalizzazione della repressione, ancora una volta affidata a caro prezzo al governo libico, sia una possibile attenuazione della durezza della reclusione amministrativa messa in mano agli specialisti dell’umanitario a pagamento, a consorzi e cooperative del sociale, più che disponibili a riprendere in mano un lucroso affare.

Nei tempi che viviamo ci sono ben poche carote e tante bastonate. L’insorgenza sociale è affrontata dallo Stato con crescente violenza poliziesca, e con una sempre più marcata delega al potere giudiziario, cui è affidato il compito di chiudere i conti con i movimenti più radicali. Questa situazione, che nel nostro paese non si verificava da decenni, inasprisce uno scontro, che allarga il fronte di chi non è disponibile a chinare la testa ma ci pone di fronte al rischio di accelerazioni senza prospettive di reale trasformazione sociale.
Occorre rimettere in pista una narrazione rivoluzionaria. Non la grande narrazione che pretende di anticipare e descrivere la storia, ma la narrazione che emerge dalla pratica concreta dei movimenti sociali.

Esodo, sperimentazione nel conflitto, conflitto che si alimenta ed alimenta dell’autogestione di quanto riesce a strappare con le lotte è la prospettiva radicale e libertaria che emerge nell’attraversamento di tanta parte dei movimenti di lotta nel nostro paese.
La scommessa non è giocare una partita di diritti ma di libertà.

Maria Matteo
(quest’articolo è uscito sul numero di questa settimana di Umanità Nova)

Sul tema del conflitto, dell’esodo e dell’autogestione Anarres ha discusso con Stefano Boni, antropologo con una riflessione attenta al tema del potere. Ascolta la diretta

Di beni comuni, autogestione, conflitto abbiamo discusso con Salvo Vaccaro dell’università di Palermo. Ascolta la diretta

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Turchia. Una fabbrica occupata contro padroni e burocrati

turchia pugno“Abbiamo usato il potere della produzione con l’unica arma disponibile: il dito sul pulsante della macchina. E questo e solo l’inizio, continueremo a lottare”
(Un operaio GREIF in lotta)

Istanbul febbraio 2014. Domenica 23 febbraio ci siamo recati alla fabbrica di sacchi di fibra plastica GREIF che si trova nella periferia europea di Istanbul. Per questa giornata, gli operai che da due settimane hanno bloccato la produzione occupando lo stabilimento, hanno lanciato un appello a chiunque volesse conoscere la loro situazione e i motivi che li hanno portati a occupare.

Premettiamo che un’esperienza simile, ma decisamente più circoscritta nel numero di operai e dimensione dello stabilımento, si era avuta alla fabbrica di vestiti Kasova nel quartiere Bomonti nel centro di Istanbul nella scorsa primavera. Qui la protesta è partita a maggio a causa del ritardo del pagamento degli stipendi dovuto dalla volontà della proprietà di spostare il capitale in un altro settore, e infatti dopo poco tempo è arrivato l’annuncio della chiusura della Kasova. Dodici operai su ottanta non si sono persi d’animo e senza l’appoggio del sindacato DISK (la cui sede distava cento metri dalla stabilimento) hanno occupato la fabbrica, aggiustato i macchinari e fatto ripartire simbolicamente la produzione. La solidarietà popolare è arrivata subito: le magliette e gli altri vestiti hanno cominciato a essere venduti negli stand dei forum che da questa estate animano Istanbul. Così a settembre i dodici operai hanno deciso di andarsene e con i fondi raccolti ma soprattutto grazie alla solidarietà hanno iniziato a produrre in un nuovo stabilimento autogestito.

Domenica abbiamo avuto una lunga discussione con diversi operai molto felici di raccontare la loro lotta nella sala mensa, che potete vedere in numerosi video delle loro assemblee dove vengono scanditi slogan col pugno chiuso come: “GREIF/grev è resitenza”(giocando sul fatto che grev in turco significa sciopero). Rıportiamo fedelmente quello che che ci hanno raccontato. Tutto è iniziato deci mesi fa quando quattro operai, provenienti da contesti territoriali turchi molto conflittuali e quindi portatori di una forte coscienza politica, hanno iniziato a fare propaganda rıuscendo a far iscrivere 228 operai al sindacato rivoluzionario DISK, cosa che ha permesso la possibilità di aprire una trattativa con l’azienda. La lotta si è organizzata attraverso la creazione di diversi comitati nei differenti settori della fabbrica. Oggi il numero degli iscritti al DISK é salito a 700.
L’otto novembre la padronanza ha presentato una lista di 16 operai politicamente molto attivi dicendo che sarebbero stati licenziati. Il primo è stato licenziato il giorno stesso, ne è seguito uno sciopero di otto ore che ha portato alla sua riassunzione.
Di questi 1500 operai, circa 500 sono assunti direttamente alla GREIF mentre gli altri 1000 sono assunti attraverso 44 aziende esterne nonostante la legge n° 4857 consenta al solo settore terziario la pratica dell’esternalizzazione. Manco a dirlo questi 1000 operai non hanno gli stesso diritti e la stessa retribuzione.
Tra novembre e dicembre si è aperta la trattativa attraverso portavoce scelti direttamente dai lavoratori che hanno presentato 66 articoli di cui i 56 meno rilevanti sono stati accettati, mentre i dieci più importanti, come ad esempio la fine dell’esternalizzazione, l’aumento salariale, la tredicesima, l’aiuto per gli studenti-lavoratori e per i figli a carico dei lavoratori, sono stati rigettati dall’azienda che ha minacciato di licenziare tutti quanti.
Dopo le minacce di licenziamento di massa ricevute, il dieci febbraio i comitati dichiarano lo sciopero e la sera stessa occupano la fabbrica prendendo su di sé tutte le responsabilità.
Nello stesso tempo continuava il processo legale, tutt’ora in corso, ma gli operai hanno deciso di occupare comunque senza aspettarne la fine perché la lotta non venisse indebolita dai lunghissimi tempi dei tribunali, e perché soltanto i lavoratori interni hanno la possibilità di aprire una vertenza legale con l’azienda mentre tutti gli esterni non hanno nessuna copertura legale rispetto alla GREIF ma fanno riferimento all’azienda che li ha assunti.
Gli occupanti, inizialmente 228 ad oggi 700 operai, hanno creato 2 gruppi di sicurezza interna e esterna di 60 persone per controllare e prevenire l’eventualità di sabotaggi da parte del padronato tesi a delegittimare la lotta. Sono stati creati gruppi antincendio e pronto soccorso, è stato aperto un cinema e molte attività ricreative come sport, ballo, creazione di slogan, di ascolto di musica rivoluzionaria e di discussione politica. Tutti gli operai sono informati sia attraverso assemblee dei diversi comitati e plenarie sia attraverso la stampa quotidiana di un bollettino informativo.
Continued…

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No Tav. Dall’aula bunker alla Clarea

2014 02 28 bunker clarea 01Il processo contro 53 No Tav, alla sbarra per le giornate di resistenza del 27 giugno e 3 luglio 2011 alla Maddalena, continua a ritmo serrato nell’aula bunker del carcere delle Vallette.
Il presidente Bosio preme sull’acceleratore, perché vuole finire in fretta, per chiudere la partita prima del suo prossimo pensionamento.
Gran parte delle normali garanzie della difesa sono saltate, tra udienze fiume, e repliche impossibili.
I No Tav sotto processo hanno deciso di reagire.
Questa mattina, in apertura dell’udienza, nonostante le proteste di Bosio, è stato letto un comunicato nel quale si annunciava la decisione di abbandonare l’aula per dirigersi al cantiere/fortino di Clarea, nel luogo dove la lotta è partita per estendersi poi in tutt’Italia.
Due No Tav, per le stesse ragioni, hanno annunciato la decisione di rinunciare alla difesa ricusando i propri avvocati, finché le condizioni del processo non fossero cambiate. Inutile dire che i media hanno immediatamente tirato in ballo le proteste dei prigionieri degli anni ’70,suggerendo analogie improbabili con la lotta armata.
Dalle file del pubblico si sono levati slogan e canti. Poi tutti sono usciti e hanno raggiunto Giaglione dove li attendeva una folta delegazione di valligiani.
Insieme sono partiti verso la zona occupata. La polizia in assetto antisommossa li aspettava sul ponte del Clarea. Slogan, canti ed un lungo faccia a faccia con i poliziotti.
Un No Tav ha a incollato un adesivo sullo scudo di uno dei picchiatori di professione, che è scattato a molla elargendo manganellate. Altri si sono uniti ma i No Tav hanno resistito ed il presidio è continuato ancora per un’ora. Il bilancio al ritorno a Giaglione è stato di qualche lieve ferita.
Chi credeva di chiudere la lotta No Tav nelle aule di tribunale ha fatto male i conti.

Qui un breve video delle cariche

Qui il video del Fatto Quotidiano

Di seguito il comunicato letto in aula dai No Tav sotto processo.

Continued…

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Erri De Luca. Le parole in manette

de luca finestra“Ricevo dalla Procura di Torino la incriminazione per avere istigato al sabotaggio della TAV in Val di Susa. Citano le mie parole a sostegno. Per uno scrittore il reato di opinione e’ un onore”.
Con queste poche righe Erri De Luca ha annunciato sulla propria pagina facebook di aver ricevuto la notizia di conclusione indagini dalla Procura torinese.
De Luca è accusato di istigare a “sabotare il cantiere tav-ltf, il quale risulta essere di interesse strategico Nazionale”.
Lo scrittore ha dichiarato ai media: “Non sono accusato di aver sabotato materialmente, dunque di aver compiuto dei gesti di danneggiamento, ma sono accusato di aver detto delle parole di critica nei confronti del cantiere, quindi di aver detto che va fermato, arrestato, sabotato. Nel campo di imputazione non ci sono i miei atti, ma ci sono le mie parole tra virgolette. Vengono usate quelle come incriminazione, come prova del crimine commesso. Ho commesso per i magistrati il crimine di parola, un crimine che rientra nel reato di opinione. Sono pochi in Italia quelli che possono vantare l’onore di essere incriminati per questo.

De Luca ha scritto la propria risposta alla Procura: “trattandosi di mie convinzioni e opinioni personali non posso che esser recidivo e quindi ho ribadito le stesse parole con le quali sono stato incriminato. Mi ha fatto un po’ impressione vedere su un capo di imputazione le mie parole messe tra virgolette, mi sembravano in manette ed io non posso scioglierle, però posso ribadirle.”

Ascolta la diretta con De Luca realizzata dall’info di blackout

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Omofobia in Africa

omofobIl presidente dell’Uganda Museveni ha firmato la legge che condanna chi promuove l’omosessualità a 14 anni di reclusione, che, in caso di recidiva, possono giungere sino all’ergastolo. In Uganda omosessuali e lesbiche sono discriminati e perseguitati duramente. La pratica dell’outing, anche prima di questa legge omofoba, era rara e rischiosa. Alcuni attivisti gay sono stati uccisi per la loro attività politica.
In Africa, con alcune eccezioni, l’omofobia, leggi discriminatorie e violenza contro le persone glbt sono molto diffuse.
L’omossessualità è duramente condannata dagli integralisti cristiani e da quelli musulmani. In generale all’origine della violenta discriminazione vi è anche la diffusa convinzione che l’omossessualità sia un retaggio dell’occidente colonialista, una vergogna per l’identità africana.
Nell’Africa precoloniale l’omosessualità era un concetto inesistente, perché in genere l’indentificazione delle persone con un genere diverso da quello biologico veniva trattata come diversità, che, a seconda delle diverse culture, si traduceva in un ruolo specifico talvolta di grande importanza simbolica. Se a ciò si aggiunge che le pratiche sessuali non procreative non venivano investite di importanza particolare, poiché solo la sessualità procreativa era rigidamente normata, si ha un quadro culturale che il colonialismo ha scompaginato.
L’occupazione coloniale ha portato in Africa sia il concetto di omosessualità sia quello di omofobia.

Lia Viola, antropologa e attivista glbt, che ha condotto studi sia in Sudafrica sia in Kenia.
Tra i suoi libri citiamo “Al di là del genere. Modellare i corpi nel Sud Africa urbano”, in cui l’autrice analizza una società complessa e contraddittoria.
A meno di vent’anni dalla fine dell’apartheid il Sud Africa è uno dei pochissimi paesi del mondo che nella propria costituzione tuteli esplicitamente la popolazione LGBTI. Eppure la realtà sociale è molto complessa e l’omofobia è a livelli altissimi. Le donne lesbiche sono spesso vittime del così detto “stupro correttivo”, una pratica diffusa per cui un uomo eterosessuale si arroga il diritto di stuprare una donna così da insegnarle qual è la sua “vera” sessualità, il suo ruolo sociale. La violenza fisica e psicologica verso transessuali ed omosessuali è a livelli assolutamente drammatici e il complesso sistema legislativo di protezione dei diritti umani non riesce a divenire realtà sociale. In questo complesso contesto fatto sia di violenza a cielo aperto che di lotta per i diritti LGBTI, le vite dei transessuali e degli intersessuali divengono strumento di analisi della società, delle categorie di genere e del sistema bio-medico che patologizza la diversità perpetuando il sistema etero-normativo.

Ascolta la diretta realizzata dall’info di Blackout con Lia Viola

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Gli universi paralleli di Zerocalcare. Per Chiara, Claudio, Mattia, Nicolò

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22 febbraio. Il vento sta cambiando

DSCN0022Un sabato con il sapore della primavera anticipata. Impossibile fare il conto esatto delle città attraversate dalla giornata di lotta del 22 febbraio. Tra cortei, presidi, punti info, azioni simboliche l’intero paese è stato attraversato da iniziative grandi e piccole: decine di migliaia di persone sono scese in piazza contro il Tav e la repressione.
Nelle stesse ore Matteo Renzi prende la campanella dalle mani di un Enrico Letta ancora stordito per la rapida congiura di Palazzo, che gli aveva sfilato la poltrona in meno di due settimane. Renzi sale al trono, Letta prende la via dell’esilio.
In Ucraina, dopo cento morti, il parlamento decreta la cacciata dell’autocrate e miliardario Yanucovich e apre le porte della galera della sua antagonista, condannata per aver favorito gli interessi russi, la miliardaria oligarca Timoshenko. Mentre l’uno scappava nella Crimea filorussa, l’altra arringava una folla di gente, accolta come un’eroina.
Due brutti film. Uno ci racconta dell’Italia che continua a cambiare testimonial, sperando di trovare quello con la faccia giusta, con il piglio adatto per contendere gli spazi al Cavaliere delle mille risorse. Una tristissima commedia.
L’altra pellicola, tra le divise improvvisate e truci, il fumo nero dei roghi, i liquami scuri che si mescolano al sangue e alle bandiere, ci raccontano dell’ennesima follia identitaria che frantuma il cuore dell’Europa, che mette a nudo la paura dei poveri, gente che lotta e muore tra preti e fascisti, sperando che i muri d’Europa li possano proteggere. O, forse, illudendosi che le strade dell’emigrazione siano più facili da solcare. Tinte fosche come nei “Giovani leoni”, ma con scene da “Apocalipse now”.

Difficile non pensare alla distanza infinita, culturale, politica di pratica e di esempi tra le piazze No Tav del 22 febbraio e le feroci battaglie di potere che di giocavano nelle stesse ore a Roma e Kiev.

Nelle piazze che si sono strette intorno a Chiara, Claudio, Nicolò, Mattia c’era la forza di chi passo dopo passo ha imparato a camminare con le proprie gambe, a non delegare ai professionisti della politica il proprio futuro. Non solo. Le piazze che da Chiomonte a Caltanissetta hanno risposto all’appello del movimento No Tav sono la rappresentazione migliore del fallimento delle strategie del governo, dei media, della magistratura.
Hanno fallito se speravano di seminare la paura, di indurre i più al mugugno silente del bar sport, all’invettiva tra le mura di casa.
L’utilizzo di una fattispecie di reato che colpisce quattro attivisti per ammonirne cento, ha prodotto un effetto boomerang.
Di fronte alla criminalità di una classe politica che sistematicamente depreda le risorse pubbliche per fini del tutto privati, di fronte a chi non esita ad avvelenare la terra e chi ci vive, di fronte a chi saccheggia e devasta, a chi abbandona al degrado le scuole e i treni locali, a chi risparmia sulla nostra salute per arricchirsi, è chiaro chi sono i terroristi. Siedono nei consigli di amministrazione della CMC e della Rocksoil e delle tante ditte che lucrano sulle grandi opere inutili e dannose, siedono sui banchi del governo di turno, siedono sugli scranni dei giudici e sulle poltrone del Procuratori della Repubblica. Sempre più persone sanno che di fronte alla criminalità del potere, non basta la testimonianza, occorre mettersi in mezzo, agire concretamente per inceppare il dispositivo disciplinare nel quale stringono interi territori.
Non era un esito scontato. Chi in questi tre anni ha spinto sul pedale che accelera la repressione, chi rende sempre più dura l’occupazione militare, chi ricatta la materialità stessa delle nostre vite, sperava che un simile dispiegamento di violenza fermasse le lotte.
Le piazze del 22 febbraio sono la dimostrazione di quanto si sbagliassero.
In valle, ma non solo in valle, i vari governi hanno sperato che questi lunghi e difficili anni di lotta spaccassero il movimento, rompessero quell’unità nella diversità che ne ha cementato la forza.

Come dimenticare la marea di menzogne che certa sinistra gettò sulle giornate del luglio 2001 a Genova? Come dimenticare la miriade di becchini che si avventarono sul nascente movimento antiglobalizzatore nel nostro paese, annegandolo in una marea di melassa?
Quel movimento pagò il proprio scarso radicamento, una radicalità del fare che si esprimeva in maniera sostanzialmente simbolica, l’illusione che l’altro mondo possibile potesse sostituire in maniera fluida ed indolore quello che contestava.
Venne frantumato, fatto a pezzi da certa sinistra di governo, da chi, come la CGIL, ambiva a farsene un bel fiore da portare all’occhiello. La denuncia sulle violenze della polizia, sulle torture di Bolzaneto venne depotenziata dalla presa di distanza dal blocco nero, dai manifestanti più radicali.

I governi di turno hanno operato perché la Val Susa offrisse uno scenario simile a quello genovese. Si sono sbagliati. La sinistra civilizzata, istituzionale, la sinistra del meno peggio è affogata nelle tristi avventure di governo. Quel poco che ne resta non ha potuto che mettersi in coda ai cortei del 22 febbraio, cortei in cui si sono espressi i tanti movimenti di lotta che stanno crescendo nel nostro paese.
Tanta gente, gente comune rifugge la violenza e vorrebbe più giustizia sociale e più libertà politica, tanta gente non è rivoluzionaria, ma considera le pratiche più radicali una risposta necessaria alla violenza di Stato, all’occupazione militare, alla ferocia nei confronti di chi resiste.
Sabato 22 febbraio questa gente è scesa in piazza in sostegno di quattro anarchici, nemici dello Stato e del capitalismo, accusati di aver attaccato il cantiere/fortino della Maddalena con bombe carta e molotov.
Il vento sta cambiando. È un vento teso, forte, che ci racconta di un paese dove tanti, troppi, fanno fatica a vivere, dove tanti non sono più disposti a chinare la testa.
Nei prossimi mesi occorrerà mantenere ferma la rotta, per rompere le catene nelle quali stanno stringendo le vite di quattro No Tav, per moltiplicare le iniziative, per far sì che la radicalità delle lotte si innesti nel radicamento territoriale.
(quest’articolo è uscito su Umanità Nova di questa settimana)

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No Tav. Legge di guerra

no tav bandiera color blu 22 feb14 maggio 2013. Un gruppo di No Tav compie un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte.
14 maggio 2014. Quattro attivisti verranno processati per quell’azione. L’accusa è “attentato con finalità di terrorismo”. La vendetta di Stato mette in scena una cerimonia in grande stile, scegliendo il primo anniversario di quella notte di lotta per affermare la propria forza .
Non solo. I quattro compagni arrestati il 9 dicembre, dopo 40 giorni nel reparto di alta sorveglianza del carcere delle Vallette, vengono trasferiti in altre prigioni.
Mattia e Nicolò ad Alessandria, Claudio a Ferrara, Chiara a Roma. Le condizioni di detenzione loro inflitte sono molto dure, più di quello che il regime cui sono sottoposti prevede.

Chiara a Torino è rimasta per 40 giorni in isolamento, a Rebibbia può fare la socialità con le altre. Mattia e Nicolò sono rinchiusi con altri ma non possono comunicare tra di loro ed hanno dimezzate sia le due ore di socialità sia le due ore di aria.
La condizione più dura tocca a Claudio, in isolamento assoluto da quando è stato trasferito a Ferrara.
La sua situazione è trapelata il 10 dicembre dopo la visita di sua mamma e di suo fratello.
A tutti, dopo un mese e mezzo di visite di amici e compagni, è concesso di vedere solo i parenti stretti. La loro posta, in entrata e in uscita, è sottoposta a censura.
La richiesta di revisione del regime carcerario è stata rigettata il 19 febbraio.
E’ chiara la volontà di annientare questi compagni, di cercare di spezzarne la resistenza.

Altrettanto chiaro, ed emerge anche dalle carte esibite dalla Procura, che questa esibizione di violenza a malapena mascherata da norme e dispositivi, mira a fiaccare la lotta dei No Tav. Mira a mettere in ginocchio un intero movimento.
Le botte, i gas, le manganellate, gli oltre 600 attivisti sotto processo non bastano? Allora l’affondo deve essere ancora più duro.
Nella stessa direzione vanno i mega risarcimenti a Ltf, il general contractor dell’opera, che il tribunale civile ha inflitto ad Alberto, Giorgio e Loredana. Oltre 212.000 euro. Si vuole far paura, diffondere il terrore che in questa lotta ci si gioca la libertà, la casa, i risparmi.
La risposta corale immediata dei solidali ha permesso di superare di slancio la cifra, con una sottoscrizione che tocca i 275.000 euro.

Era una storia di treni. Lo è stata a lungo, ormai non lo è più da un pezzo.
Ormai è una sfida che lo Stato non vuole perdere. Una sfida che, di questi tempi, non può permettersi di perdere.
Perderla significherebbe aprire la porte alla speranza. La speranza che un altro mondo sia davvero possibile, che ciascuno di noi può costruirlo.
Continued…

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22 febbraio. Piazza No Tav ad Atene

ateneIl 22 febbraio anche ad Atene ci sarà una manifestazione in solidarietà con i compagni in carcere con l’accusa di terrorismo.

La Grecia in questi anni è stata attraversata da lotte durissime contro la devastazione ambientale, la predazione delle risorse, l’imposizione di opere inutili.
Esemplari le lotte condotte in Hakidiki, a Keratea, a Oropos.
Nella penisola Calcidica per pochi grammi di un minerale imutile rischiano di essere distrutte foreste, il suolo verrebbe avvelenato con l’arsenico, l’acqua diventerebbe imbevibile.
Contro una nuova cava d’oro si batte un popolazione intera, con manifestazioni, blocchi, atti di sabotaggio molto radicali. Anche la repressione è stata molto dura con centinaia di arrestati, paesi bloccati, ragazzini di 12 anni fermati a scuola.

A Keratea la lotta è contro una gigantesca discarica. Dopo la dura repressione delle manifestazioni popolari, gran parte della gente ha scelto di resistere in modo più energico. Gente che mai l’avrebbe pensato ha cominciato a fabbricare molotov e a usarle. Emblematica l’immagine del prete che ha benedetto le bottiglie incendiarie.

A Oropos c’é stato di recente l’episodio più radicale della lotta degli abitanti del nord est del paese contro l’imposizione di nuove autostrade, la chiusura delle vecchie strade, l’obbligo a percorrere e pagare il biglietto, per attraversare il paese, portare a scuola i figli, andare al lavoro.
Qualche giorno fa gli abitanti del paesino, ormai esasperati, dopo aver a lungo praticato il passaggio gratis dal casello, si sono dati appuntamento alla barriera e hanno dato fuoco ai caselli.

Un filo ideale unisce queste lotte a quelle della Val Susa.

Gli anarchici di vari gruppi ateniesi hanno indetto per domani una manifestazione a Monastiraki.

Anarres ne ha parlato con Gheorgo del gruppo dei comunisti libertari di Atene.

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Seduzioni tricolori. Dai forconi alle celebrazioni della Grande Guerra

patriaMuri, frontiere e barriere. Dai forconi alle celebrazioni della grande guerra: l’illusione nazionalista ai tempi dell’economia globalizzata e della governance mondiale nell’Europa delle polizie.

La paura genera mostri.
La crisi, l’estendersi della disoccupazione, la precarietà come orizzonte normale, la perdita di tutele da parte di ceti impoveriti e rancorosi, favoriscono la chiusura identitaria. Tornano le patrie, le bandiere, la voglia di serrare le porte.

Quando l’internazionalismo degli sfruttati e degli oppressi non è più lessico comune, aspirazione capace di liberare, utopia concreta, tornano i fantasmi della nazione, dell’identità che si alimenta dell’esclusione, della fantasia del capitalismo “buono” perché produttivo che sconfigge i parassiti della finanza.

Il sogno del paradiso perduto coincide con quello dello Stato che tutela, dei padroni buoni contro i banchieri cattivi, dei politici onesti contro la casta dei corrotti.

2014 02 17 manif fat staraLa destra, quella istituzionale non meno dei quella più estrema trae linfa vitale da questa diffusa seduzione tricolore.
Dalla Grecia all’Italia, passando per la Francia tira un’aria grama.

Ne discuteremo insieme

venerdì 21 febbraio
ore 21

in corso Palermo 46

Introdurrà la serata Pietro Stara
Autore per i tipi di Zero in Condotta de “La Comunità escludente”

Ascolta l’intervista con Pietro a radio blackout

Una riflessione su forconi e teoria del complotto la trovi in quest’articolo uscito sul mensile A rivista. Sulle spese pubbliche per la celebrazione della prima guerra mondiale dai un’occhiata a questo post.

Sulla natura mitica della grande nostalgia dell’euro, una riedizione modernizzata del
complotto giudeo massonico degli anni Trenta del secolo scorso, ascolta quest’intervista dell’ultima puntata di dicembre a Francesco Carlizza sul “signoraggio”, una delle fantasie più radicate e diffuse nei bar delle nostre periferie.

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Chi non volta lo sguardo

violinista1-400x294Due lettere. Da entrambe traspare una sorta di preoccupazione per le sorti della “democrazia”, tradita, in pericolo, da difendere. Ai tempi dei regimi totalitari in Unione Sovietica venne coniata l’espressione “comunismo reale”, per segnare lo iato profondo tra immaginazione e realtà.
La democrazia, e non da oggi, vive di questo stesso iato, vive nell’illusione che vi sia un’altra democrazia possibile. Un’illusione pericolosa, perché l’unica democrazia è quella reale. Quella che priva della libertà quelli che non ci stanno, quelli che non voltano lo sguardo altrove. Come scrivono, nella loro bella lettera, i familiari dei quattro compagni in carcere con l’accusa di terrorismo.
Leggetela. Ne vale la pena.

Leggete anche quella degli avvocati. Anche qui uno jato, un fossato invalicabile tra i principi altisonanti della Corte Europea di Giustizia e la realtà dell’isolamento, della tortura quotidiana del carcere.

Se volete provare a far pressione qui trovate gli indirizzi.

°°°°°

In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?
Continued…

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Il sindaco d’Italia

matteo-renziLa corsa al potere di Matteo Renzi ha il sapore della cavalcata tumultuosa, del nuovo che irrompe, della giovinezza che rottama una politica anziana, lenta, immutabile.
Il Fonzie della scena politica nostrana – così lo descrivono i media anglosassoni sedotti dai suoi giubbottini di pelle – ha dalla sua il potere dell’immagine, la capacità seduttiva del nuovismo, della velocità, dell’auto in corsa.
Roba da primo Novecento, che, con abile restilyng, torna nel secondo decennio di questo secolo.
Il nuovo leader del PD ha vinto la sua partita all’interno del proprio partito grazie ad una promessa semplice semplice: avere la faccia giusta per seppellire Berlusconi.

Il giovanotto, letti i sondaggi, ha rinunciato a giocarsi subito le elezioni e, mandato a casa ormai ingombrante Enrico Letta, si prepara a governare sino al 2018. Civati ed Alfano permettendo, of course.

Al di là del pacchetto ben confezionato abbiamo provato a capirne di più dell’uomo che ha bloccato un provvedimento di amnistia già bello che pronto.

Ne abbiamo parlato con Claudio Strambi, un compagno dell’USI di Firenze, con il quale abbiamo percorso gli itinerari di Renzi nel capoluogo fiorentino.
Ne è emersa l’immagine di una gestione giustizialista e repressiva delle questioni sociali, tra sgomberi e violenze. L’amicizia con l’imprenditore di sinistra Oscar Farinetti, quello della multinazionale “EaTaly”, l’uomo che fa lavorare solo precari ad 800 euro al mese per 365 giorni l’anno, la dice lunga sulle politiche sociali di Renzi.
Dulcis in fundo il Job Act, per ora poco più di una suggestione, in cui accanto a provvedimenti di semplificazione, la prospettiva è quella di una relazione di lavoro eternamente precaria. Il modello alla tedesca in salsa toscana. Decisamente piccante.

Ascolta la chiacchierata con Claudio

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Droghe e castagne

antiproibizionismo1L’abolizione per un vizio nelle modalità di approvazione della legge sulle droghe in vigore da ormai otto anni, la dice lunga sul ruolo suppletivo del potere giudiziario rispetto a quello politico.
Questa decisione, come già quella sul porcellum elettorale, toglie le castagne dal fuoco sia al parlamento che all’esecutivo, incapaci di prendere decisioni su questioni di grande importanza come la legge che definisce le regole per la delega elettorale.
Se la cancellazione della Fini Giovanardi dovesse avere l’effetto sperato di svuotare un poco le carceri, forse l’Italia scamperebbe le sanzioni imposte dalla corte europea di giustizia per trattamenti inumani e degradanti nelle sovraffollate carceri italiane.
Al tempo stesso il governo di turno non dovrebbe fare i conti con il Nuovo Centro Destra di Alfano e Giovanardi, ben poco disponibili a fare passi indietro nelle politiche proibizioniste.
Due piccioni con una sola fava.

Anarres ne ha parlato con Robertino Barbieri, storico esponente del movimento antiproibizionista, tra gli animatori di CanaPisa. Ascolta l’intervista

Di seguito un articolo di Robertino uscito sul numero di questa settimana di Umanità Nova

Dal gennaio 2006 in Italia era in vigore sulle droghe la cosiddetta “legge Fini-Giovanardi” che aveva inserito nella stessa tabella droghe leggere e droghe pesanti (coll’unico risultato di affollare le carceri di consumatori e coltivatori di ganja, mentre le strade e le piazze sono state invase da eroina e cocaina ai prezzi più bassi di sempre in valori assoluti) e che aveva stabilito la presunzione di reato di spaccio anche per la semplice detenzione di sostanze proibite oltre certi quantitativi stabiliti dal Governo.
Da mercoledì 12 febbraio, la Fini-Giovanardi non c’è più.
Continued…

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Torino e Val Susa. Verso il 22 febbraio

d7e92def2a4faaf50471359648f5c2f9_500Torino, 10 febbraio. L’assemblea cittadina No Tav al teatro Espace è stata una boccata di aria fresca in una città strangolata dall’informazione omologata.
Qualche centinaio di persone ha risposto all’invito dei no tav torinesi per una serata di informazione, di confronto sulle prospettive, di solidarietà con i quattro attivisti in carcere dal 9 dicembre.
Le brutte notizie sulle condizioni detentive imposte a Claudio nel carcere di Ferrara sono state un motivo in più per stringerci idealmente a lui e agli altri compagni, per cercare di capire meglio una manovra repressiva che mira a colpire ogni forma di opposizione sociale nel nostro paese.
Nel mirino non ci sono solo i No Tav tutti coloro che in questi anni non si sono tirati indietro, non hanno accettato il furto delle loro vite, la devastazione del territorio, l’annientamento di ogni possibilità di decidere del nostro futuro.

L’assemblea ha promosso varie iniziative per la giornata di lotta nazionale contro il Tav e la repressione, in solidarietà ai quattro compagni e compagna in carcere in regime di alta sorveglianza con l’accusa di attentato con finalità di terrorismo.

In mattinata ci saranno sei piazze tematiche animate dalle tante anime dei movimenti di opposizione sociale nella nostra città.

Una piazza No Tav per l’azione diretta e l’autogestione si terrà al Balon dalle 10,30 alle 13. Appuntamento in via Borgodora angolo via Andreis

Le altre piazze saranno tutte alle 13. Piazza Madama Cristina (lavoro), piazza Nizza (casa), piazza Baldissera (trasporti locali), piazza XVIII dicembre (no tav, no muos), via Garibaldi (difesa della terra/contro il terrorismo di Stato)

Nel pomeriggio i No Tav di Torino e dintorni si sono dati appuntamento alle ore 15 per un corteo da piazza Castello a piazza Carlo Felice (di fronte alla stazione di Porta Nuova).

DSCN0011Nelle scorse settimane c’erano stati due presidi informativi al Balon e in via Po promossi dalla Federazione Anarchica Torinese.

Villarfocchiardo, 13 febbraio. Affollata l’assemblea svoltasi nella palestra del Villar per fare il punto sulla situazione dei compagni in carcere e discutere le iniziative per il 22.
In Valle l’appuntamento è alla stazione di Chiomonte per un corteo che raggiungerà il cancello che da quasi tre anni chiude la strada dell’Avanà. Un appuntamento di lotta, un appuntamento per tutti.

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