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Anarchismo e democrazia

anarchia_graffito_web--400x300Spesso nei movimenti sociali – ma non solo – emerge la tendenza a considerare l’anarchismo una sorta di democrazia radicale. Niente di meno vero, perché l’anarchismo si definisce nel rigetto di ogni delega istituzionale e nel rifiuto del principio di maggioranza come criterio decisionale.
Sin dalla propria costituzione l’anarchismo vive in opposizione alla nascente democrazia, di cui denuncia il carattere intrisecamente autoritario basato su un’uguaglianza formale tra uomini divisi da un divario di classe inscritto nelle costituzioni liberali, che consentono la proprietà privata dei mezzi di produzione.
In tempi in cui sempre meno forte è la spinta ad una trasformazione radicale, nei movimenti sociali si sono definiti concetti come quello di democrazia partecipativa, che taluni considerano contigui all’anarchismo, una sorta di anarchia ragionevole, conscia dell’intrascendibilità dell’ordine esistente e invischiata nel tentativo di aprire spazi di libertà, forzando la democrazia a mantenere le proprie promesse di accesso egualitario alla facoltà decisionale.
Spesso i fautori della democrazia partecipata non sono che l’ennesima trasfigurazione di una sinistra orfana di partito che prepara il prossimo cartello elettorale o, in subordine, si organizza come lobby, come gruppo di pressione sulle istituzioni, cui promette il controllo dei movimenti. Che sinora queste operazioni abbiano avuto gambe molto corte non deve confortare, perché la loro influenza può comunque contribuire a indebolire l’autonomia dei movimenti, seminando l’illusione di una possibile rivoluzione pacifica, che cambi tutto senza spaccare nulla.
Lo spazio che acquisiscono è direttamente proporzionale alla difficoltà di radicare un immaginario ed una pratica che mirino a spezzare l’ordine politico e sociale.
La versione parodistica della partecipazione diretta è andata in scena con l’abbuffata elettorale grillina e segna l’emergere di fermenti populisti di destra come quello da cui è scaturito il lancio della giornata del 9 dicembre. La retorica del popolo, come quella del cittadino eletto, in un mixer tra giacobinismo, fascismo rivoluzionario e leghismo della prima ora, rischia di accelerare processi autoritari nel segno dell’antipolitica, favoriti dal rapido decomporsi del quadro istituzionale.

Ricostruire la polis fuori e contro i municipi, moltiplicare le esperienze di riappropriazione dal basso, di autogestione reale è l’unica prospettiva concreta per i movimenti che oggi crescono nell’opposizione alla grandi opere, nella lotta per i servizi e le tutele, contro la servitù del lavoro salariato.
Certo non sarà facile.

Anarres ne ha discusso con Massimo Varengo.

Ascolta la lunga chiacchierata

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Soldi per le avventure belliche dell’Italia

militari_italiani_missioniMercoledì alla Camera e giovedì al Senato, il parlamento ha trasformato in legge il decreto sul finanziamento delle missioni militari all’estero.
I militari italiani sono impegnati in 25 missioni internazionali. La spesa complessiva del dl è di circa 265 milioni di euro – 265.801.614 per la precisione – tra rifinanziamento delle missioni, competenze del ministero degli esteri e “interventi umanitari”. Per le prime due voci il costo è di 256 milioni di euro.
La legge approvata continua a sostenere che “Le missioni delle Forze Armate e di Polizia italiane sono “iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione“. Quelli approvati questa settimana e più volte finanziati dal parlamento non sarebbero interventi di guerra, ma operazioni di mantenimento, istruzione, formazione e controllo di territori a rischio, dove sono in corso conflitti.
I dati a nostra disposizione, specie per l’Afganistan dove l’Italia è maggiormente impegnata, raccontano un’altra storia, la storia di un’occupazione militare violenta, fatta di bombardamenti, mitragliamenti, perquisizioni notturne, assassini di civili. Una storia di guerra.
Continued…

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Stati Uniti. La rivolta dei lavoratori/spazzatura

Demonstrators protesting low wages and the lack of union representation in the fast food industry chant and hold signs in New YorkLo chiamano sciopero dei fast food, ma in realtà i lavoratori che “girano hamburger” sono la testa di ponte di un movimento più vasto che mira ad innalzare la paga minima oraria, che negli Stati Uniti è ferma a 7,25 dollari dal 2009. Giovedì è stato indetto uno sciopero di categoria, che mira ad ottenere 15 dollari orari.
Negli Stati Uniti gli scioperi generali sono illegali: chi li indice rischia la galera. Quelli di domani in oltre cento città saranno tanti scioperi autonomi, uniti dal comune obiettivo di dare una robusta spallata al consolidato sistema di sfruttamento dei lavoratori delle catene che cucinano e distribuiscono il cibo/spazzatura che mangiano la gran parte degli americani poveri. Quelli che nelle statistiche e nell’iconografia sono rappresentati nella gonfia obesità che è il tratto caratteristico di chi mangia hamburger tripli, pollo fritto e patatine.
Sino alla crisi i lavoratori dei fast food erano soprattutto giovani e adolescenti, che consideravano quell’impiego come un’occupazione momentanea per pagarsi gli studi o nell’attesa di una possibilità migliore.
Le paghe da fame, le condizioni di lavoro servili, l’assoluta mancanza di tutele erano sopportate perché considerate transitorie. La crisi ha modificato sensibilmente il quadro. Sono approdati tra i banchi del cibo spazzatura lavoratori più anziani, spesso espulsi da occupazioni meglio pagate, che consentivano loro di mantenere i figli, di versare soldi ad un fondo pensione, di vivere più dignitosamente.
Con 7,25 euro all’ora, pur lavorando, si resta sotto la soglia di povertà.
Questi lavoratori, in buona parte ispanici o di altre minoranze, non hanno altra prospettiva che lottare per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Se la loro lotta, iniziata oltre un anno fa, raggiungesse gli obiettivi prefissati si calcola che oltre 30 milioni di americani potrebbero sollevarsi oltre quella soglia.
Nel novembre del 2012 la prima protesta è scoppiata davanti al McDonald’s sulla Madison Avenue e Quarantesima strada, a Manhattan. Il fenomeno si è diffuso in fretta, perché i nuovi lavoratori anziani e permanenti erano più inclini a entrare nei sindacati, rispetto ai giovani di passaggio che un tempo servivano nei fast food. Quindi si sono organizzati, soprattutto grazie a due gruppi chiamati «Fast Food Forward« e «Fight for 15», che si ispirano al movimento «Occupy Wall Street».

Ascolta la diretta di Blackout con Stefano, un compagno che segue ed analizza con attenzione le lotte che si sviluppano in giro per il pianeta.

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Spray al peperoncino: repressione sempre più piccante

spray-urticanteSpray al peperoncino in dotazione a poliziotti e carabinieri. La sperimentazione partirà a gennaio a Roma, Milano e Napoli. Via libera, dunque, allo spray che nebulizza un principio attivo a base di Oleoresin Capsicum, sostanza irritante, a non più di 3 metri di distanza.
Lo spray sarà inizialmente assegnato poliziotti della Polfer Stazione e Volanti di Milano, nonché ai carabinieri dei reparti operativi di Roma e Napoli. Sono esclusi, per ora, i reparti mobili.
Il principio attivo del gas, il “capsicum” è considerato nocivo per la salute: nello spray in dotazione sperimentale sarebbe diluito rispetto alla proposta iniziale dell’ex capo della polizia Manganelli, ma comunque superiore a quello in vendita per i comuni cittadini.
La polizia statunitense e quella francese ne fanno ampio uso ormai da molti anni.
Gli spray al peperoncino sono usati negli Stati Uniti dalla polizia in funzione di ordine pubblico, in Francia viene utilizzato soprattutto nei confronti dei partecipanti alla movida, ma non ne è disdegnato l’uso in occasione di manifestazioni politiche. Ne sanno qualcosa i No Tav che lo scorso anno parteciparono al presidio contro il vertice italo-francese di Lyon.
Negli Stati Uniti il blog di tossicologia “Poison review” ha pubblicato uno studio sul “pepper spray” in dotazione alle forze dell’ordine del paese. Il principio attivo è il medesimo in sperimentazione alla polizia italiana.
Poison Review riprende un articolo pubblicato sul Journal of Pharmacy Practice che tratta non solo dell’effetto tossico della capsaicina del peperoncino, ma anche di altri agenti chimici.
Secondo questo studio la capsaicina contenuta nel peperoncino è estremante irritante per la cute, la gola e le alte vie respiratorie ed è in grado di determinare lacrimazione, visione confusa, ipersalivazione, nausea e vomito.
All’effetto tossico della capsaicina si sommerebbe quello contenuto nelle bombolette ed usato come propellente che, a seconda del tipo usato, può contenere idrocarburi alogenati come freon, tetracloroetilene, o cloruro di metilene oppure altri composti come alcol o solventi organici.
E’ forse all’inalazione di questi composti che si devono gli effetti collaterali più gravi quali insufficienza respiratoria, aritmie ed alterazioni neurologiche.
E’ poi verosimile che effetti avversi più importanti possano manifestarsi in pazienti in qualche modo predisposti come gli asmatici.
Il capiscum, spruzzato direttamente negli occhi, rischia di danneggiare la cornea se chi ne è colpito di sfrega spontaneamente gli occhi.
Questa, così come le altre armi cosidette “non letali” rischia di fare danni permanenti alla salute e fors’anche di mettere a repentaglio la vita di chi ne viene colpito.

Ascolta di diretta di blackout con Robertino, autore di numerosi articoli sulla sui mezzi e i meccanismi disciplinari adottati dai vari stati.

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I conti dell’Italia tra le bacchettate di Rehn e la mini IMU

Europa-i-tre-obiettivi-economici-per-l-Italia_h_partbReazioni irritate di Napolitano e Letta alle dichiarazioni del commissario agli affari economici dell’UE Olli Rehn, che ieri ha sostenuto che l’Italia non starebbe rispettando gli obiettivi di riduzione del debito fissati dall’UE. Napolitano nega ma nei fatti rilancia sostenendo che oggi occorre privilegiare la crescita e la ripresa dei consumi. Letta gli fa eco, sostenendo che il prossimo anno sarà decisivo per l’Europa, che rischia, se non prende il volo, di avvitarsi.
Sullo sfondo il pasticcio dell’IMU, che riapparirà il prossimo anno travestita da IUC, mentre, nel gioco delle aliquote e dei rimborsi tra potere centrale ed amministrazioni locali, c’é la concreta possibilità che il prossimo 16 gennaio ci tocchi pagare la differenza tra l’aliquota base del 4% e quella effettivamente applicata da numerosi comuni. A Torino è del 5,75%.

Per capirne di più ascolta l’intervista realizzata dall’info di radio Blackout con Francesco Carlizza.

Ascolta la diretta

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Torino. Via i fascisti da Barriera!

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I fascisti di “Fratelli d’Italia” fanno le ronde per la “sicurezza” in Barriera di Milano. Per loro la “sicurezza” sono polizia, tribunali e carceri.

Vogliono imporre con la forza gli interessi di chi si fa ricco sfruttando il lavoro. Sono dalla parte di chi vuole che precarietà, disoccupazione, lavoro nero, salari sempre più bassi siano il nostro pane quotidiano. Un pane duro da mangiare in silenzio senza alzare la testa.

I fascisti fanno guerra ai poveri. Oggi come nel 1920. Oggi come ai tempi della guerra partigiana.

In questo quartiere ad ogni angolo ci sono le lapidi che ricordano la gente di qui, gli operai e gli artigiani che combatterono e morirono per le strade di Barriera.

I fascisti ce l’hanno con chi spaccia un po’ di fumo, per distogliere la nostra attenzione dalle questioni vere, da questa società ingiusta dove pochi campano sulle spalle di chi vive nelle nostre periferie, di chi fatica ad arrivare a fine mese.

Tu da che parte stai?

Noi stiamo con chi lotta per casa, trasporti, ospedali e scuole per tutti.

Noi stiamo con chi lotta contro una società divisa in sfruttati e sfruttatori.

Noi stiamo con i poveri, quelli che occupano le case vuote, si inventano un mestiere per arrivare a fine mese, quelli che non ce la fanno a pagare le tasse, che il governo usa per esercito e spese militari.

I fascisti ce l’hanno con i poveri di Barriera, ce l’hanno con gli immigrati e i senza casa. Quanti di noi sono stati derubati da un poveraccio?
La consigliera regionale di “Fratelli d’Italia”, la fascista Augusta Montaruli, ha sfilato dalle nostre tasche 41.551 euro.
Questa “signora” che capeggia le ronde in Barriera si è comprata vestiti, borse di lusso, gioielli. Tutto pagato con i soldi della Regione. Con i nostri soldi.

Tu con chi stai?

(questo manifesto è comparso in questi giorni sui muri di Barriera)

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La sfida imperiale tra Cina e Stati Uniti

055260-japan-china-disputed-islands-senkakuLe isole Senkaku sino a pochi giorni fa le conoscevano in pochi. Poco più di grandi bellissimi scogli tra Okinawa e la costa cinese, non lontano da Taiwan, queste isole erano cinesi sino al 1995, quando se ne impadronì il Giappone. Dopo la seconda guerra mandiale le Senkaku ebbero lo stesso destino delle grandi isole che costituiscono il Giappone: rimasero sotto il controllo statunitense sino al 1971. Dall’anno successivo vennero restituite al governo nipponico.
Sia la repubblica popolare cinese sia Taiwan le hanno sempre reclamate per se.
Il governo giapponese, pur non mollando la presa, ha sempre avuto una politica molto prudente, evitando sia insediamenti sulle isole che erano e sono ancora disabitate, sia installazioni militari.

La decisione di Pechino di includere le Senkaku nello spazio di protezione aerea della Cina ha suscitato la pronta reazione degli Stati Uniti che hanno spedito i B52 a sorvolare l’area. In questi giorni tra aerei militari cinesi, giapponesi, sudcoreani, statunitensi il cieli delle Senkaku sono molto affollati.
Chi controlla queste isole controlla l’accesso alla costa cinese: hanno quindi un discreto valore strategico, che tuttavia non giustificherebbe in se la mossa del governo di Pechino. In ballo c’é la decisione cinese di cominciare a contrastare l’egemonia militare statunitense, giocando la propria carta di grande potenza regionale in un mondo sempre più multipolare. La mappa geopolitica si sta ridisegnando, moltiplicando le aree di instabilità ed accelerando possibili escalation belliche. Se un confronto diretto a pochi passi dal confine cinese appare improbabile, così come un incrudirsi delle relazioni tra le due Coree, un eventuale conflitto tra potenze nucleari come il Pakistan e l’India, potrebbe scatenare una guerra dalle conseguenze incalcolabili.
Il nodo del Kashimir potrebbe essere il detonatore di una guerra che vedrebbe gli Stati Uniti a fianco del Pakistan e la Cina alleata dell’India.

Anarres ne ha parlato con Stefano Capello.

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La Grande guerra. Rieducazione patriottica

PATRIOTTISMO-02Il governo Letta è stato molto generoso con le forze armate italiane. La falce che ha tagliato stipendi e servizi, non si è abbattuta sull’apparato militare italiano. Anzi!
La sola marina militare ha fatto un incasso miliardario per l’ammodernamento della flotta: il ministro Mauro ha portato a casa un bel malloppo per la guerra, per chi la fa e per chi produce le armi.
Le avventure belliche italiane debbono essere sostenute da un forte apparato propagandistico, perchè nel nostro paese l’avversione alla guerra è ancora molto forte.
Quale migliore occasione del centenario della prima guerra mondiale per lanciare una nuova tappa del piano di rieducazione patriottica cominciato con le celebrazioni dei centocinquant’anni dell’unità di Italia?
Per la celebrazione del centenario della Grande Guerra il governo Letta ha stanziato 8 milioni di  euro per l’anno 2014 e 5 milioni di per ogni anno dal 2015 al 2018. Inoltre “per promuovere la conoscenza” del conflitto tra i giovani è prevista la spesa di 1,5 milioni dal 2014 al 2016.
In tutto 32,5 milioni di euro dedicati alla propaganda tricolore: quasi 4 volte il contributo assegnato alla minoranza slovena friulana per la salvaguardia della lingua e del territorio;
50% in più dei 20 milioni stanziati per l’emergenza alluvione in Sardegna…

Anarres ne ha parlato con Claudio Venza, storico, anarchico ed antimilitarista triestino, che vive su quella frontiera per la quale venne versato tanto sangue cent’anni fa.
Claudio ha ricostruito le tappe e gli interessi della guerra di conquista italiana verso est, una guerra costata seicentomila morti, decenni di occupazione militare e repressione alle popolazioni di lingua slovena e croata annesse al regno d’Italia.
E’ stata altresì una buona occasione per cominciare ad analizzare la rinascita del patriottismo italiano, sino a pochi anni fa relegato tra i nostalgici fascisti, ora collante trasversale che attraversa una sinistra che a lungo ha conservato una certa, sia pur debole, nuance internazionalista.

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Il trionfo del berlusconismo

berlusconismo27 novembre. Oggi il Senato ha votato la decadenza di Silvio Berlusconi. Il funambolo dalle mille risorse e dalle infinite trovate, capace di vendersi per oltre vent’anni meglio di una rock star, esce dalla scena parlamentare italiana.
Ne usce – e non paia un paradosso – da vincitore.
Il cavaliere ha calcato la scena politica con le qualità di un attore consumato, capace di interpretare più ruoli, di cogliere e, insieme, creare il clima più propizio. La metafora teatrale riassume con efficacia la parabola politica di chi ha traghettato il nostro paese dal Novecento dell’ideologia al secondo millennio del lunapark globale, tra la roulette russa della finanza e l’effimero perenne della merce.
Nella sua cassetta degli attrezzi tanto avanspettacolo anni Trenta, reinterpretato assorbendo gli umori di un paese, che a dispetto di bordelli e ruberie, o, meglio, grazie a bordelli e ruberie si è identificato e ancora si identifica in lui.
Una sinistra moralista senza alcun barlume di etica ne è stata risucchiata, frullata e risputata fuori a Sua immagine e somiglianza.
Tra un paio di settimane Matteo Renzi potrebbe essere il nuovo segretario del Partito Democratico, la formazione politica della seconda repubblica che più ha resistito all’omologazione alla politica post ideologica. Renzi non è l’uomo immagine del PD, Renzi è immagine pura, disincarnato più di un cartone animato ma vivo, vero e sexy come Jessica Rabbit. Perfetto per il ruolo.
Oggi indubbiamente preferito da chi gestisce le leve di una governance transnazionale che, già due anni fa, spinse per la fine anticipata del governo Berlusconi. Troppe clientele ed interessi da soddisfare per risultare ancora affidabile.
Il berlusconismo ha coinciso son la chiusura, anticipata ma non compiuta dal craxismo, del compromesso socialdemocratico ed il conseguente affermarsi di una democrazia autoritaria. Il rafforzarsi dell’esecutivo è andato di pari passo con l’affievolirsi del ruolo degli organismi rappresentativi ma, insieme, con il rafforzamento e autonomizzazione dell’apparato giudiziario.

Certo. Non tutti stanno al gioco. Le ultime consultazioni elettorali, dal Trentino alla Basilicata hanno fotografato un paese, dove più della metà di chi ne avrebbe diritto, va a votare. Negli anni Settanta erano meno del dieci per cento.
Se questo in se non può bastare ad invertire la rotta, è tuttavia un indicatore di un disagio profondo verso le dinamiche istituzionali, chiunque se ne faccia interprete.

L’info di radio Blackout ne ha discusso con Stefano Boni, antropologo e docente all’università di Modena e Reggio Emilia.

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Rom a Milano. Sgomberi e sfruttamento

romrubattino-thumb700 persone gettate in strada all’inizio dell’inverno. E’ successo a Milano il 25 novembre. Una vecchia fabbrica dismessa tra via Montefeltro e via Brunetti era il rifugio per uomini, donne e bambini senza casa, in buona parte rom rumeni. Per portare a termine l’operazione sono stati impiegati 400 tra vigili e poliziotti dell’antisommossa.
Liquami e topi, immondizia e fetore, un brutto posto per vivere, ma pur sempre meglio della strada alla quale sono stati consegnati dopo lo sgombero invocato da tanti “bravi” cittadini contrari al degrado. Tanti bravi cittadini cui poco importa dove vivano i rom: l’importante per loro è che siano cacciati. Lontano. Lontano dalle loro case, lontano dalle paure alimentate dal pregiudizio.
L’amministrazione comunale ha promesso una sistemazione nei centri di emergenza, ma tutti sanno che la gran parte delle persone sgomberate non potrà accedere ad alcun alloggio.
Da lunedì vagano per Milano. Il tentativo di occupare una cascina dismessa ai margini del nulla metropolitano è stato bloccato dai vigili che hanno rispedito in strada chi provava, senza chiedere nulla, a procurarsi un riparo.

La politica dell’amministrazione Pisapia è in linea di continuità con quelle del centrodestra che ha governato per vent’anni Milano.
La formula è sempre la stessa: i campi. In quelli legalizzati c’é il filo spinato come nei lager e tutto è regolato come in una caserma: le visite, l’orario di entrata e di uscita, la selezione di chi entra e di chi esce.
A controllare e a lucrare il multiforme universo dell’umanitario, che sui rom ha fatto e fa lauti guadagni.
Milano è lo specchio dell’Italia, un paese dove il governo italiano sin dal dopoguerra ha scelto di puntare sui campi rom. Campi di transito per una popolazione nomade, cui tuttavia è stata progressivamente negata la possibilità di esercitare i mestieri tradizionali, poi seppelliti dalla modernità che li ha resi desueti.
Oggi i rom non sono più nomadi, tuttavia la politica di relegarli in campi fatti di baracche e roulotte non è mai stata abbandonata, rendendo stabile, oltre alla baracca, anche l’emarginazione.

Un vicolo cieco. In fondo al vicolo fango, topi, polizia e un persistente pregiudizio.

Ascolta la diretta realizzata dall’info di radio Blackout con Paolo Finzi, redattore di Arivista, curatore del libro e DVD “A forza di essere vento”, dedicato allo sterminio nazista di rom e sinti.

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La grande partita del medioriente

403x296_231362_libano-autobomba-esplode-in-quartierMartedì 19 novembre un duplice attentato ha colpito il quartiere Bir Hassan nel sud della capitale libanese. Una zona elegante dove si trova sia l’ambasciata iraniana sia la dirigenza di Hezbollah, la milizia shiita, che affianca il regime di Bashar Hassad nella guerra civile contro l’esercito libero della Siria. L’attentato nel quale sono morte 23 persone e altre 146 sono rimaste ferite, è stato rivendicato dal gruppo jihadista delle Brigate Abdullah Azzam. La televisione libanese Lbci riportato le dichiarazioni di uno dei portavoce del gruppo, affiliato ad Al Quaeda, Sirajeddine Zreikat che ha dichiarato che “la duplice operazione di martirio è stata portata a termine da due eroi sunniti libanesi”. In un messaggio su Twitter, il responsabile ha avvertito che gli attentati in Libano proseguiranno fino a quando il movimento Hezbollah non si ritirerà dalla vicina Siria.

Un messaggio chiaro che mostra in modo inequivocabile come la guerra civile siriana si stia estendendo anche nel vicino Libano, acuendo le tensioni tra sunniti e shiiti.

A far da eco alle bombe di Beirut, il giorno successivo, ben sette autobomba sono scoppiate in altrettanti quartieri di Baghdad, tutti a maggioranza shiita. Il bilancio è stato di 20 morti e 60 feriti.
Le esplosioni sono avvenute attorno alle sette e mezza di mattina nei quartieri di Sadriya, Karrada, Shaab, Tobchi, Azamiya e Amil. L’episodio più grave si è verificato a Sadriya, una zona abitata per lo più da sciiti, dove l’autobomba è esplosa nei pressi di un mercato popolare.
In Iraq l’ultima ondata di attentati e violenze era coincisa domenica con la festività religiosa dell’Ashura. In un solo giorno erano state uccise più di 40 persone. Secondo la Missione di assistenza dell’Onu in Iraq (Unami), dall’inizio dell’anno le vittime della guerra civile non dichiarata che continua a scuotere il paese sono state 5700.
A pochi mesi dalle elezioni legislative, in programma ad aprile, il governo dello sciita Nouri Al Maliki ha fatto incarcerare nella regione di Baghdad numerosi attivisti sunniti, accusati di appartenere a gruppi affiliati ad Al Qaida.

La grande partita mediorientale si gioca anche sulla pelle delle tante persone che vengono tritate in un infinito stillicidio di morti.

Il quadro delle alleanze sta subendo alcuni mutamenti inediti, che segnalano il riposizionamento dei maggiori attori sulla scena.
Le relazioni tra Stati Uniti e Israele sono al minimo storico, persino peggiori del 1982, quando Israele attaccò ed invase il Libano meridionale contro la volontà del potente alleato.
Israele sta facendo di tutto per inceppare il processo di pace tra Iran e Stati Uniti, che invece sta faticosamente andando avanti.
Gli Stati Uniti stanno cercando di ridefinire la propria posizione nell’area, smarcandosi progressivamente dall’ingombrante alleanza con i sauditi. Non è certo casuale che l’ammnistrazione Obama abbia annunciato un programma energetico che dovrebbe portare gli Stati Uniti ad una sostanziale autosufficienza nell’approvigionamento degli idrocarburi, che sarebbe limitata all’area del Nafta, la zona di libero scambio tra gli stessi Stati Uniti, il Canada e il Messico.
La decadenza dal ruolo di potenza mondiale assoluta e l’affermarsi di una stagione caratterizzata di un’estesa multipolarità spinge gli Stati Uniti ad evitare la contrapposizione secca con l’Iran, che oggi, grazie ad Hezbollah in Libano e alla situazione favorevole in Iraq, è molto più forte che in passato. Era dai tempi di Ciro il Grande che i persiani non avevano uno sbocco agevole sul Mediterraneo.
Nell’area lo scontro, che è anche confessionale, tra le aree a prevalenza shiita e quelle sunnite si sta intensificando. Ne sono il segno tangibile i morti di Beirut e Baghdad della scorsa settimana.

Ne abbiamo parlato con Stefano Capello.

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Il gioco dell’economia. Chi vince e chi perde al di là della retorica sulla crisi

paperoneQuesta sera sarà a Torino per una conferenza Francesco Carlizza. Un’occasione per parlare dell’ultimo coniglio uscito dal cappello del governo Letta, le privatizzazioni degli ultimi gioielli di famiglia, la crisi fatta pagare ai poveri, il mega regalo alle banche.
Non solo. Un’occasione per ragionare sulla categoria dell’economico, sulla sua straordinaria pervasività, sulla necessità di costruire percorsi di autonomia dall’istituito che gettino sabbia in una macchina che trita le vite di miliardi di esseri umani nel tempo di un click sulla tastiera di un computer.
Anarres, nella puntata odierna, ha fatto una lunga chiacchierata con Francesco.
Un anticipo delle discussioni e dei temi che verranno affrontati questa sera.
L’appuntamento è alle ore 21 in corso Palermo 46, presso la sede della Federazione Anarchica Torinese

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Una crociera per piazzisti di guerra

cavourSi sono messi insieme tre ministeri – Esteri, Sviluppo economico, Beni culturali – per dare manforte a quello della Difesa. Una grande alleanza per organizzare una crociera molto particolare. Un mega spot galleggiante per il Made in Italy. La flotta, partita il 14 di novembre da Civitavecchia, è costituita dalla portaerei Cavour,‭ ‬dalla fregata Bergamini,‭ ‬dalla nave di supporto logistico Etna e dal pattugliatore Borsini. ‭
‬Scopo ufficiale di questa “campagna navale” è presentare‭ le accellenze italiane in “aree considerate strategiche” per gli interessi del Bel Paese.
A bordo ci sarà sicuramente qualche forma di parmigiano e vari pacchi di pasta, ma il piatto forte è un altro.
Il costo della campagna navale è previsto in‭ ‬20‭ ‬milioni di euro,‭ ‬di cui‭ ‬7‭ ‬a carico dello stato e‭ ‬13‭ ‬dei‭ «‬partner dell’industria privata‭»‬.‭ ‬Soldi ben spesi:‭ ‬essi potranno usare la portaerei,‭ ‬lunga‭ ‬244‭ ‬metri e larga‭ ‬39,‭ ‬come una grande fiera espositiva itinerante.‭ ‬A bordo sono stati installati gli stand in cui espongono i loro prodotti e contattano i clienti.‭ ‬La missione della portaerei Cavour,‭ ‬ha assicurato il ministro Mauro intervenendo il 13 novembre alla Camera durante l’esame del dl missioni,‭ ‬non è di‭ «‬vendere sistemi d’arma italiani all’estero‭»‬.‭ ‬Non si capisce allora perché al centro dell’Expo galleggiante ci siano le maggiori industrie belliche italiane con il loro campionario,‭ ‬che sarà mostrato ai potenziali acquirenti di porto in porto.‭ ‬In primo piano quelle di Finmeccanica:‭ l’AgustaWestland che presenta elicotteri da guerra,‭ ‬di cui due sono esposti sulla Cavour‭; ‬la Oto Melara,‭ ‬che espone il sistema d’arma‭ ‬127/64‭ ‬LW Vulcano caratterizzato da un elevato ritmo di fuoco‭ (‬fino a‭ ‬35‭ ‬colpi al minuto‭ ‬e dalla possibilità di utilizzare munizioni guidate‭; ‬la Selex ES,‭ ‬specializzata in sistemi radar e di combattimento; ‬la Wass,‭ ‬che presenta nello stand Finmeccanica il siluro pesante Black Shark‭; ‬Telespazio,‭ ‬che offre i suoi sistemi di telecomunicazioni militari,‭ ‬anche satellitari‭; ‬la Mbda,‭ ‬che espone i missili Aspide,‭ ‬Aster,‭ ‬Teseo/Otomat e altri.‭ ‬La Elt offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea,‭ ‬terrestre e navale‭; ‬la Intermarine,‭ ‬vascelli militari.‭ ‬I clienti che non possono permettersi i cannoni Otomelara a fuoco rapido potranno sempre trovare,‭ ‬nello stand Beretta sulla Cavour,‭ ‬una vasta gamma di pistole automatiche.‭ ‬I prodotti civili degli altri stand sono in genere di lusso,‭ ‬come gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape.‭
‬Accanto alle armi esposte negli stand,‭ ‬ci sono sulla Cavour cinque caccia Sea Harrier a decollo verticale,‭ ‬quattro elicotteri,‭ ‬una settantina di fucilieri della Brigata San Marco e specialisti subacquei del Comsubin.‭ ‬La campagna navale infatti,‭ ‬oltre a promuovere le‭ «‬eccellenze italiane‭»‬,‭ ‬serve a‭ «‬operazioni di contrasto alla pirateria‭» ‬e all‭’«‬addestramento di personale militare‭» ‬soprattutto in Africa.‭ ‬Per‭ «‬l’assistenza umanitaria‭» ‬ci sono a bordo della Cavour la Croce Rossa e le onlus Fondazione Francesca Rava e Operation Smile. ‭
‬Una organizzazione perfetta.‭ ‬Si vanno a vendere altri armi ai paesi mediorientali e africani,‭ ‬dominati da oligarchie e caste militari,‭ ‬provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa. ‭
‬Ogni cannone,‭ ‬ogni missile,‭ ‬ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altri migliaia di bisognosi,‭ ‬affamati e morti,‭ ‬soprattutto tra i bambini,‭ ‬per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate.‭ ‬Tranquilli.‭ Perché sulla Cavour ci sono anche gli‭ «‬operatori umanitari‭» ‬pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi,‭ ‬per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare‭ «‬le popolazioni bisognose‭»‬.
Ne abbiamo parlato nell’ultima puntata di anarres.

Ci è tornata l’info di Blackout che ne ha parlato con con Manlio Dinucci, autore con Tommaso Di Francesco‭ ‬di un articolo uscito su‭ “‬Il Manifesto” del 14 novembre.
E’ stata anche l’occasione per parlare della “cannoniera volante” italiana, di cui l’Areonautica militare italiana ha deciso di dotarsi, senza nemmeno prendersi il disturbo di passare dal Parlamento. Il nuovo velivolo da guerra è stato comperato da una ditta italiana l’Aermacchi. Una bella operazione off shore. Infatti per acquistare la cannoniera l’Areonautica non è andata allo stabilimento Aermacchi ma lo ha fatto al salone areonautico di Dubai.
Un nuovo micidiale giocattolo per le avventure di guerra del governo delle larghe intese.

Ascolta la diretta con Dinucci

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Cota. La festa è finita?

cota-giullareIeri sono stati recapitati 43 avvisi di garanzia ad altrettanti consiglieri regionali, compreso il governatore Cota e il presidente del consiglio regionale Valerio Cattaneo. Tra gli indagati gran parte dell’ex Pdl: 19 sono infatti esponenti del vecchio Popolo della Libertà, 12 della Lega, 3 dell’Italia dei Valori, 2 dell’Udc. Un indagato c’è anche fra i Moderati, nel Gruppo Misto, in Insieme per Bresso, in Uniti per Bresso, tra i Verdi Verdi e tra i Pensionati per Cota. Restano fuori solo i consiglieri del PD, anche se Mercedes Bresso, l’ex presidente della Regione per il centro sinistra ha ricevuto il suo avviso.
Peculato, truffa, rimborso illecito ai partiti: sono le accuse – con responsabilità e coinvolgimenti diversi – mosse per “rimborso poli” ai consiglieri della Regione Piemonte. A tutti viene chiesto conto delle spese pazze a carico del contribuente: cibi (tartufi compresi), abbigliamento, oggetti per animali, profumi, fiori.
I consiglieri regionali si sono fatti pagare di tutto: dal ristorante alle gite.
Vi ricordate di quel consigliere regionale leghista che mise in conto spese della Regione le briglie per il cavallo? Non era che il più estroso dei tanti che si sono nutriti alla mangiatoia pubblica piemontese.
Fuori dall’inchiesta restano in ben pochi: quelli che si sono accomodati più tardi in poltrona e qualcuno che, ricco del suo, di questo si è pudicamente accontentato.
Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, ha dichiarato di essere stato sul punto di rassegnare le dimissioni, dopo la notizia che anche lui era sul punto di ricevere l’avviso di fine indagini. Questi avvisi sono la premessa del rinvio a giudizio.
Cota, dopo essersi consultato con i suoi avvocati e con il segretario leghista e presidente della Lombardia Maroni, ha pensato bene che di questi tempi una poltrona è sempre meglio tenersela stretta. Ieri mattina, nella consapevolezza della bufera che stava per abbattersi sulla maggioranza il vertice che si è tenuto in Regione i consiglieri della maggioranza hanno dichiarato che non intendono mollare.
Forse, complice la mutata congiuntura politica, il PD potrebbe tentare di chiudere in anticipo l’avventura del governatore leghista. Sempre che, dopo la condanna definitiva di Michele Giovine per la vicenda delle liste pro Cota truccate, il consiglio regionale non venga comunque sciolto in anticipo.
Sullo sfondo di una vicenda sin troppo normale, tanto normale che la corruzione non è l’eccezione ma la regola, resta una Regione che giorno dopo giorno paga il prezzo che le impone la politica.
Ce ne accorgiamo ogni volta che dobbiamo fare un esame medico, pagare il biglietto del tram, prendere un treno che è stato appena soppresso.

Per capirne di più vi suggeriamo di ascoltare l’intervista a Renato Strumia realizzata dall’info di Blackout ieri mattina, poche ore prima del recapito dei 43 avvisi di conclusione indagini.

Ascolta la diretta

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Susa 16 novembre. Una scommessa vinta

DSCN0013Ad ottobre ci credevano in pochi: qualcuno si era persino azzardato a dire che saremmo stati pochissimi, che era un autogoal, che avremmo regalato la partita a nostri avversari, a chi ci sperava lacerati da un’estate fatta di marce e sabotaggi ma anche di arresti, botte, repressione.
Sino a pochi giorni prima del corteo No Tav di sabato c’era chi faceva l’uccello del malaugurio.
Gli oltre 30.000 di Susa hanno smentito chi prediceva disgrazie, chi temeva che il trenino lento dei No tav si sarebbe fermato lungo la strada.
Persino il meteo è stato sconfitto: le previsioni che disegnavano freddo e pioggia sono state smentite da una giornata tersa e limpida che ha consegnato una bella foto ricordo ai tanti che si sono radunati a Susa per una marcia di sette chilometri, che ha attraversato i luoghi simbolo dell’occupazione militare e della devastazione della Valle. La caserma dei carabinieri, la sede della polizia stradale e della Sitaf, la società che gestisce la A32, l’autostrada divenuta via maestra delle truppe di occupazione, la pizzeria Mirò dove mangiano e l’albergo Napoleon dove vengono ospitati i carabinieri di stanza a Chiomonte.
La manifestazione No Tav del 16 novembre è stata la risposta forte di un movimento che non si piega e non si divide.

Qui puoi vedere alcune foto della manifestazione e dello spezzone rosso e nero
Continued…

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